Ascesa e caduta di un quasi presidente: così è nato il giornalismo del fango

In Cinema

“The Front Runner” di Jason Reitman, il regista di “Juno”, racconta la drammatica parabola del senatore democratico John Hart, che nel 1988 perse la corsa alla Casa Bianca per una relazione extraconiugale. Un cast eccellente (Hugh Jackman, Vera Farmiga, J.K. Simmons) rievoca il primo scandalo politico americano a sfondo sessuale (seguiranno il caso Clinton e altri) e la nascita di una stagione di inchieste sempre più trash. Assai lontana dalla gloriosa epopea dei Watergate Files

Gary Hart (Hugh Jackman), il personaggio al centro di The Front Runner di Jason Reitman, è bello, democratico e baciato dal successo. In piena corsa presidenziale – siamo nel 1988 – pare non avere rivali: tutti i sondaggi lo danno per favorito, la sua squadra si muove come un efficiente meccanismo a orologeria, la sua famiglia lo sostiene, l’intero paese è pronto ad acclamarlo. L’epoca del presidente-attore Ronald Reagan sta per essere archiviata definitivamente e il candidato repubblicano, un certo George H. W. Bush (padre), arranca senza speranze con ben dodici punti di svantaggio.

Ma i giornali non si accontentano dell’immagine pubblica che Gary Hart vuole dare di sé: bravo marito e buon padre, ottimo oratore e senatore in camicia di flanella da boscaiolo doc (viene dal Colorado e ci tiene a farlo notare), capace di vincere una gara a chi tira più lontano un’ascia. Vogliono saperne di più della sua vita privata, che lui invece difende con le unghie e coi denti, fino a lanciare un vero e proprio guanto di sfida ai reporter che lo tallonano come detective privati: seguitemi pure 24 ore su 24, non ho nulla da nascondere.

La fine è nota: Gary Hart non è l’integerrimo padre di famiglia che sostiene di essere, perché ha una relazione extraconiugale con una bellissima (e piuttosto ingenua, forse) fotomodella, Donna Rice. Tutti i giornali d’America si buttano sul ghiotto boccone e la privacy del candidato alla presidenza e della sua famiglia finisce in un vero e proprio tritacarne. Il risultato è la fine della carriera politica del senatore Hart e l’inizio ufficiale della politica fatta a colpi di titoli cubitali sui “tabloid”. Un passaggio epocale che ha aperto la strada a tutto quello che è venuto dopo, compreso il povero presidente in carica Bill Clinton costretto dieci anni dopo a discutere davanti a un Gran Giuri delle macchie di dubbia provenienza sul vestito di una stagista di nome Monica Lewinsky.

Clinton, con più faccia tosta e potere (alla Casa Bianca c’era arrivato), sarebbe riuscito a sopravvivere al grande circo mediatico, che ha invece banchettato senza pietà con la carriera e la vita di Gary Hart: probabilmente sarebbe stata un’ottima guida degli Stati Uniti d’America, ma si è rivelato del tutto incapace di affrontare la bufera scatenata dal Miami Herald. La sua pretesa di difendere il proprio diritto alla privacy e rimandare al mittente le critiche pseudo moralistiche avanzate da reporter ridotti al rango di guardoni, appostati nella notte dietro i cespugli, pronti a tutto pur di scattare la foto dello scandalo, si rivelò drammaticamente destinata al fallimento.

Se film come Il caso Spotlight e The Post hanno di recente descritto la gloriosa età d’oro del giornalismo americano (e non solo), seguendo la scia del grande cinema civile degli anni Settanta, The Front Runner si occupa invece di dipingere l’inizio dell’età del fango. Un momento di passaggio che tutti ricordiamo, forse inizialmente passato un po’ inosservato. In fondo, e questo il film di Jason Reitman lo mostra molto bene, il senatore Hart era andato a cercarsi rogne con i suoi atteggiamenti predicatori e moralistici prima, ed esageratamente rigidi poi. In fondo, nessuno lo ha obbligato a ritirarsi dalla vita politica, e forse da un candidato alla presidenza ci si aspetta una pelle un po’ più coriacea. Tutto vero, ma l’accanimento con cui il teatrino della politica viene trasformato in una becera pochade resta in qualche modo unico, irripetibile nella sua violenza senza senso. E senza ritorno.

Tutto questo, il passaggio di un’epoca e di un paese intero, ma anche il singolo destino di un uomo straordinariamente forte, vitale ed energico – e però intimamente debole nella sua incapacità di mettersi in discussione – viene raccontato con grande precisione nel film di Reitman, ma forse in modo piuttosto convenzionale. Rispetto ai suoi film precedenti, la scelta del regista di Juno sembra essere quella di rinunciare a ogni forma di empatia, rimanendo un passo indietro e lasciando semplicemente che gli eventi prendano forma davanti ai nostri occhi. Una scelta che rende questo film meno emozionante di quanto avrebbe potuto essere, ma comunque godibile.

Certo molti meriti ha il cast, dove spiccano la brava Vera Farmiga (The Departed) nei panni della moglie tradita, il sempre immenso J.K. Simmons (Whiplash) in quelli del capo dello staff del senatore Hart, e naturalmente Hugh Jackman, perfetto nel dipingere un uomo politico carismatico ma freddo, un perfezionista, forse un ottimo presidente mancato ma certo un pessimo concorrente alla carica. Tanto da regalare la Casa Bianca all’inizialmente super-sfavorito George H. W. Bush (e ai suoi discendenti).

The Front Runner di Jason Reitman, con Hugh Jackman, Vera Farmiga, Molly Ephraim, Kaitlyn Dever, J.K. Simmons, Sara Paxton.

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