Torna Star Wars: perché la Forza è cult

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L’evento al cinema nel 2015 sarà “Star Wars Episode VII”: a J. J. Abrams (“Lost”) il compito, esaltante e immane, di riportarci nella “galassia lontana lontana”

Chiedete a chi volete: è bastata la musica. È bastato parlare di Forza e Lato Oscuro. O mostrare un accenno di mantello nero e spada laser. È bastata una porzione di deserto e una piroetta dell’astronave più famosa del cinema (e non solo). È bastata la scritta Star Wars, gialla su sfondo nero e stelle.

E siamo di nuovo tutti lì. In attesa di Star Wars: Episode VII – The Force Awakens, il cui debutto è previsto a fine 2015. Lo dirige J. J. Abrams, protagonisti Oscar Isaac, Andy Serkis, Gwendoline Christie, Adam Driver, Lupita Nyong’o, Max Von Sydow. Più i “vecchi” Harrison Ford, Carrie Fisher, Mark Hamill.

È passato un secolo, e non è passata un’ora. Sono passati in realtà 65 anni da quando lo studioso americano di mitologie comparate Joseph Campbell pubblicò le sue ricerche nel volume L’eroe dai mille volti, illustrando una teoria destinata a fare le fortune di intere generazioni di sceneggiatori e registi. L’idea, cioè, che esista un unico “monomito”, una struttura narrativa ancestrale di sicuro successo, un viaggio dell’eroe in fieri attraverso tappe ben individuabili, in grado di garantire l’immedesimazione e il coinvolgimento emotivo degli spettatori di qualunque epoca.

Quando il primo Star Wars faceva la sua comparsa nelle sale, nel 1977, mito ed eroi sembravano passati di moda. La cronaca, soprattutto politica, in quegli anni racconta di un’America impaurita, smarrita e disillusa di fronte alla realtà (erano gli anni post-Vietnam dello scandalo Watergate) più brutta di qualsiasi finzione. Anche il cinema di genere, dal western alla fantascienza, era lo specchio fedele del momento storico: si era fatto crepuscolare e pessimista, dipingeva storie di ribellioni e antieroi destinati alla sconfitta.

Ma a volte il successo è questione di tempismo. E così, quello che avrebbe potuto essere, secondo le parole dei suoi stessi creatori, «solo un altro Flash Gordon», si rivelò quella irresistibile deflagrazione di ottimismo e voglia di ricominciare che il pubblico di Hollywood da tempo sognava e chiedeva a gran voce.

Star Wars è la favola dell’uomo comune che diviene eroe, simbolo di cambiamento, è il recupero degli assoluti di base dei miti universali, sia sul piano tematico (il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la scelta tra bene e male) che su quello stilistico (un design minimalista squisitamente anni ’70), a ribadire anche visivamente lo stacco dalla cartapesta barocca della S/F classica. Nei primi tre film della saga, rispettivamente l’episodio IV, V e VI della continuity lucasiana, c’è tutto (da Freud al bushido, dall’animismo al sogno americano), e tutto rigorosamente illustrato per archetipi che accompagnano lo spettatore, attraverso “una galassia lontana lontana”, che è in realtà parte di ognuno di noi. C’è il conflitto e la riconciliazione tra padre e figlio, la redenzione attraverso il sacrificio, la sete di avventure che diventa impegno civile. C’è il giovane di umili origini predestinato al ruolo di leader, il pirata avido e materialista che scopre la dedizione alla causa, la principessa in pericolo. E il vecchio mago-mentore, custode di un’arma invincibile. C’è il viaggio, attraverso la frontiera, fino al centro del labirinto e ritorno, affrontato spegnendo ogni macchina e affidandosi alla forza dell’uomo.

E quando, nel 1992, lo story analyst Chris Vogler pubblicò il manuale di sceneggiatura ancor oggi più usato dagli studios hollywoodiani, Il Viaggio dell’Eroe, le teorie di Campbell e le scelte di Lucas erano le prime indicazioni per la rotta da seguire. Perché Star Wars è la storia che il pubblico non si stancherà mai di ascoltare, purché presentata in una forma capace ogni volta di stupire di nuovo: il fan devoto, si sa, è lo spettatore più esigente, non dimentica mai e raramente perdona. Così, capita che la regia dei tre prequel alla saga originale (La minaccia fantasma, L’attacco dei cloni, La vendetta dei Sith), ad opera dello stesso Lucas, risulti piatta e irritante nelle sue concessioni a un pubblico più mainstream, tanto quanto vincente si era invece rivelata, a suo tempo, la scelta di affidare L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi a registi lontani dalle logiche di mercato del prodotto blockbuster, e attenti piuttosto allo sviluppo di trama e personaggi.

In questo, l’investitura di J.J. Abrams pare una mediazione promettente. Autore del convincente reboot di un altro mostro sacro della fantascienza come Star Trek, il creatore di Lost è atteso ora alla prova più difficile: ripartire ancora una volta da quella “galassia lontana lontana”, insieme sfidandone e onorandone il mito.

Star Wars Episode VII – The Force Awakens, di J.J. Abrams, con Oscar Isaac, Andy Serkis, Gwendoline Christie, Adam Driver, Lupita Nyong’o

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