A inaugurare il 7 dicembre con una scelta inconsueta e dunque interessante sarà “Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Šostakovič. Seguirà un cartellone che solo di rado preme sull’acceleratore. “Pelléas et Mélisande” firmata dal’iconoclasta Castellucci e, nel balletto, Pina Bausch che interpreta il “Sacre du printemps” di Stravinskij. E intanto inizia l’era Ortombina, nuovo sovrintendente
Tranquilli. Nel 2026 la Scala viaggerà col cruise. Nessun rischio di superare i limiti di velocità. Solo in poche occasioni si preme sull’acceleratore. Vediamo dove e quando.
Chailly
La partenza è a razzo, il 7 dicembre 2025, grazie a Riccardo Chailly, che per l’ultima inaugurazione come direttore musicale, dopo la bella cifra di dodici (tra prima e dopo), ha scelto di lasciare il segno con un’opera che fa ribollire il sangue in scena e in platea: Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitri Šostakovič (dal 7 al 30 dicembre 2025). Opera del 1934, che Chailly dirigerà nella prima versione (ritoccata nel 1950 e più a fondo nel 1963 col titolo di Katerina Izmailova). A una replica del 1936, la Lady il sangue lo fece ribollire a Stalin, che commissionò a un pennivendolo della Pravda, Zazlavskij, un articolo che massacrò il musicista, lo portò sull’orlo del suicidio e gli fece vivere anni d’inferno dai quali stentò a riprendersi.
Šostakovič rinunciò a scriverne un’altra, opera, per fortuna salvando una produzione sinfonica e cameristica senza la quale la musica del Novecento sarebbe una vedova in gramaglie. Dopo uno dei 7 dicembre più potenti degli ultimi anni, quello con il Boris Godunov di Musorgskij nella scabra e modernissima versione originale, intoccata dalle rielaborazioni di Rimskij-Korsakov (la più edulcorata) e dello stesso Šostakovič (più onesta e incisiva), Chailly prosegue imperterrito lungo uno degli assi portanti della sua linea d’interprete e promette di arricchire con un colpo da maestro la linea russa che da sempre fa vibrare le sue corde migliori. E questo è il primo dei pochi colpi di acceleratore.
Ma l’asse verdiano non si dimentica, soprattutto nell’ultima stagione alla Scala da protagonista in carica, così l’estate 2026 lo vedrà tornare con Nabucco, anzi Nabucodonosor, per il quale Chailly non rinuncia a tirare fuori dal cassetto qualche pagina “altra”: in questo caso i ballabili scritti nel 1848 per Bruxelles, in omaggio al pubblico francese e francofono che, se in un’opera (almeno quattro atti per favore, anche cinque) non c’è almeno un balletto, fin dai tempi di Lully difficilmente esce di casa. I due spettacoli chiamano registi, rispettivamente Vasily Barkhatov e Alessandro Talevi, che la Scala non ha ancora assaggiato.
Opera
Oltre alla promettente coppia? L’affondo più coraggioso se non rischioso della Stagione 2025-2026, presentata l’altro ieri dal nuovo sovrintendente (e direttore artistico) Fortunato Ortombina davanti a un raro parterre politico che comunque non si vedrà a nessuna opera che non sia l’inaugurazione, per dovere non per piacere, è nella regia di Pelléas et Mélisande di Debussy, firmata dall’iconoclasta Romeo Castellucci (dal 22 aprile 2026). Con il prevedibile no grazie di Daniele Gatti, sgraziatamente bruciato da una candidatura di stampo pubblico (leggi sindaco) che viola lo statuto stesso della Scala (il direttore musicale lo sceglie il sovrintendente, è scritto nero su bianco), la direzione è affidata a Maxime Pascal, riducendo l’impatto della proposta.

Romeo Castellucci
Che cos’altro ci attende nella prossima stagione, che Ortombina ammette con prudenza e realismo di aver ereditato quasi per intero da Dominique Meyer? Sei titoli di rassicurante repertorio.
Turandot di Puccini nello spettacolo lampeggiante di Davide Livermore, con la direzione di Nicola Luisotti, che manca da molto (dall‘1 aprile).
Una Carmen di Bizet che anticipa il debutto del nuovo direttore musicale Myung-Whun Chung (dal 2026), con una regia di Damiano Michieletto che in Europa hanno già visto (dall‘8 giugno).
Una Lucia di Lammermoor che riporta alla Scala Speranza Scappucci, nello spettacolo tranquillo firmato da Yannis Kokkos nel 2003 (dal 26 giugno).
Un altro Donizetti, L’elisir d’amore, ch’è il contributo alla stagione di serie A dei giovani dell’Accademia (voci e orchestra), direttore Marco Alibrando, regista Maria Mauti (dal 5 settembre).
La ripresa dell’ormai trentacinquenne Traviata – regia di Liliana Cavani, scene post-viscontiane di Dante Ferretti, costumi altrettanto post-viscontiani di Gabriella Pescucci – creata nel 1990 da Riccardo Muti con l’invenzione di Tiziana Fabbricini, Violetta poi perduta per strada (ora è Nadine Sierra): dodici recite dal 19 settembre. Sul podio Michele Gamba.
Infine, Faust di Gounod che riporta alla Scala Daniele Rustioni dopo diversi anni, regia di Johannes Erath, protagonista Marina Rebeka (dal 20 ottobre).

Myung-Whun Chung (Foto @ Brescia e Amisano)
Ring
Fa corpo a sé, e corpo massiccio, L’Anello del Nibelungo di Wagner che dilaga nella Stagione per due mesi interi dopo la Lady Macbeth: dall’1 febbraio si completa con Götterdämmerung la Tetralogia firmata da David McVicar: Tetralogia, ovvero Ring, ovvero Anello, che finora non ci ha fatto sognare come spettacolo e molto suggerisce che non passerà alla storia. Unica consolazione la musica, che con la doppia bacchetta dell’esperta Simone Young e del giovane Alexander Soddy, garantisce un ascolto felice, anche nel canto. Le quattro opere del Ring andranno in scena ravvicinate nell’arco della stessa settimana per due settimane adiacenti nel mese di marzo, nella forma che Wagner pensava l’unica giusta e necessaria per entrare nel suo pensiero fatto musica e che Daniel Barenboim ripropose per la prima volta alla Scala al culmine della sua direzione musicale (di fatto, non di nome). Lo schema è ricopiato dalla programmazione di Stéphane Lissner, dalla cui sovrintendenza arrivano in eredità l’anteprima giovani del 4 dicembre e la percentuale di spettatori under 35 conquistata dalla Scala millennial (2005-2025): circa un terzo del pubblico totale. Percentuale di cui la Scala va giustamente orgogliosa e politici e amministratori sbandierano senza aver fatto nulla per crearne le condizioni. Qui ha ragione Ortombina, che negli anni di questa crescita era già in teatro come coordinatore artistico: “la Scala non è uno dei modelli virtuosi di incontro pubblico-privato, è il solo modello in Italia praticato e praticabile”, con l’aurea proporzione di un terzo di botteghino/abbonamenti, un terzo di fondi pubblici, un terzo di soldi privati.
Solidità incontrastabile e inscalfibile di una stagione che non supererà i 130 in autostrada.
Balletto
Per paradosso, pur più vincolato a logiche di repertorio, il Corpo di ballo diretto da Fréderic Olivieri è quello che compie i gesti più insoliti. Anche qui, subito dopo la Lady Macbeth, il Ballo apre una enorme isola con La bella addormentata nel bosco di Čaikovskij nella regia e coreografia che Rudolf Nureyev creò per la Scala nel 1966: la bellezza di 13 recite (dal 17 dicembre 2025 al 13 gennaio 2026), che completano il dominio della danza nel cartellone fino al 31 gennaio e al 3 febbraio del Gala Fracci, che il pubblico ama molto. Ma accanto alla triade di balletto romantico completata dal Don Chisciotte (ancora Nureyev, in luglio), e da Giselle (ottobre), s’innalza il dittico Stravinskij di novembre con l’Apollo di Balanchine e soprattutto il Sacre du printemps di Pina Bausch, che alla Scala mise per la prima e unica volta i piedi dei suoi fantastici ballerini/ballerine con Kontakthof nel 1983. Il suo Sacre questa volta lo danzano i giovani della Scala, e questo è tutto da vedere.
Dei sette spettacoli del Ballo (più la serata dell’Accademia), i tre moderni e contemporanei hanno cose notevoli da proporre anche nel Trittico McGregor/Maillot/Naharin del marzo 2026 e nelle Alice’s Adventures in Wonderland di Christopher Wheeldon il maggio successivo.

Direttori
Il capitolo voci va giudicato cast per cast. Il capitolo Coro è invece da applausi garantiti ogni sera (al maestro Alberto Malazzi anche alla presentazione della stagione). I direttori? A parte i già nominati, toccante è iniziare la lista delle grandi bacchette con Daniel Barenboim, annunciato a inaugurare la Stagione sinfonica il 17, 20 e 22 novembre 2025. Chailly si prende tre programmi diversissimi: Hindemith-Gershwin il 26, 28 e 30 gennaio 2026, la Nona Sinfonia diBruckner il 16, 17, 20 novembre e il Requiem di Verdi il 28 e 30 ottobre. Lorenzo Viotti si assume la responsabilità del concerto di Natale (20 dicembre).
Svetta su tutti, senza paragoni, Esa-Pekka Salonen che il 2, 4 e 6 marzo 2026 farà ascoltare un suo Concerto per corno e orchestra, oltre alla bellissima Quinta di Sibelius. Chung sceglie un dittico vincente con il Triplo Concerto di Beethoven e la Quarta di Brahms l’11, 15 e 17 giugno 2026, mentre è strano vedere Michele Mariotti relegato a un solo concerto sinfonico, il 4, 5 e 7 maggio (Mendelssohn e Dvorak). Con lui alla Scala non è mai scattato nulla di decisivo.
Aspettando Godot
In questa stagione progettata da Meyer e che Ortombina semplicemente firma, con qualche ritocco, al posto di Faust c’era un altro titolo; quale, non si sa. Assente è l’opera di oggi, quasi delegata a una programmazione interno-esterna, quella di Milano Musica, che ha infilato intravena nella stagione della Scala due successi paradossalmente anche di botteghino: nel 2018 il capolavoro di György Kurtág Fin de partie e quest’anno Il nome della rosa di Filidei. Del quale (Filidei) Milano Musica sta proponendo praticamente un festival con solido successo, di qualità e di pubblico. Aspettando Godot, alla Scala.