Disperata e ottimista nonostante tutto: la via crucis di Isabella nel bel film di Vicari

In Cinema

Un’ottima Ragonese è al centro di “Sole, cuore amore”, storia di inesorabile povertà e aspirazione alla bellezza ambientata nella periferia romana. Un film di fiction ma di risoluta aderenza alla realtà, forse con qualche didascalismo di troppo: tra implacabili risvegli nel buio della notte per raggiungere il lavoro, storie “normali” di sfruttamento e alienazione, quattro figli da crescere, sempre col sorriso, in una casa minuscola, e un marito depresso in cerca di un impiego e di un senso di sè.

Eli (Isabella Ragonese), il personaggio chiave intorno a cui ruota tutta la vicenda di Sole, cuore, amore di Domenico Vicari, è una forza della natura. Si alza prima dell’alba tutte le sante mattine ed ogni giorno il primo sguardo che rivolge al mondo è sorridente e innamorato. Osserva i suoi quattro figli (quattro!), suo marito (Francesco Montanari), il minuscolo appartamento in cui abita, e sorride. È alla periferia di Roma la piccola casa dove vive, ma potrebbe essere un sobborgo di qualunque città del mondo. Un posto triste, privo di grazia, dove non può che diffondersi e prosperare una totale indifferenza (destinata spesso a trasformarsi in astio) nei riguardi di qualunque forma di bellezza.

E invece Eli la sua idea di bellezza continua a coltivarla, nonostante tutto, ogni santo giorno, come un fiore prezioso, raro e proprio per questo meraviglioso. Un’idea di bellezza che non ha niente di intellettuale, non è fatta di buone letture e frequentazione di mostre e musei, non si nutre di manufatti artistici e nemmeno di grandi idee di fratellanza universale. È una piccola idea di bellezza quotidiana fatta di fiducia nel prossimo e ottimismo assoluto. Chi potrebbe mettere al mondo quattro figli in una situazione di precarietà lavorativa e povertà incombente, se non una persona dotata di un ottimismo assoluto, contagioso, davvero fuori dal comune?

 

E infatti lei sorride anche quando arriva nel bar pasticceria al Tuscolano dove approda ogni mattina dopo due ore di viaggio in pullman, autobus, metropolitana. Sorride ai clienti, e intanto serve cappuccini e crostatine. Sorride alle persone con cui lavora, non per stupida condiscendenza, ma perché anche un lavoro modesto può avere un senso, e così evitare di trasformarsi in pura alienazione, se lo fai con un minimo di passione. Mantenersi umani, stabilendo rapporti umani con gli altri, è uno dei pochi modi per cercare di vivere ogni giorno, invece di limitarsi a sopravvivere. Un discorso che Eli non saprebbe ripetere, fatto di belle parole e teorie che le sono totalmente estranee: ma è perfettamente in grado di metterlo in pratica nella vita quotidiana.

Eppure, la sua è una vita dominata dalla fatica e da uno sfruttamento spaventoso: lavora sette giorni su sette, dalle otto di mattina alle otto di sera (giusto la domenica ha diritto a un pomeriggio di libertà!), come una schiava senza diritti e senza uno straccio di contratto. Il tutto per una paga miserabile, naturalmente in nero, ma che rappresenta una manna dal cielo per lei, che con quella manciata di soldi deve mantenere tutta la famiglia, visto che suo marito il lavoro l’ha perso. In questo piccolo inferno quotidiano, Eli trova anche il tempo di coltivare l’amicizia con Vale (Eva Grieco), più che un’amica una sorella, un’altra donna abituata a resistere. Alla morte del padre, a una madre che ha sempre offerto più regole che amore, a una vita che si sta rivelando ben diversa dai sogni.

Una donna che resiste e ostinatamente difende un’idea di bellezza in un mondo sempre più marchiato dalla bruttezza, in tutti i possibili sensi. Lei interpreta performance di danza contemporanea di struggente bellezza, messe in scena in squallide discoteche, in mezzo ad avventori distratti quando non molesti, alle dipendenze di un impresario volgare e violento. Insomma, come gettare perle ai porci. Anche questa, una scelta di sconsiderato e meraviglioso ottimismo.

È un ottimismo, a questo punto va detto, che il regista del film pare non condividere. Daniele Vicari – che viene da una lunga esperienza da documentarista, e da film interessanti come Velocità massima e Diaz – Non pulire questo sangue – sembra volersi mantener fedele, ancora una volta, a una scelta netta di realismo e autenticità. Anche se ciò significa mettere in scena lo sfruttamento fino alle sue più terribili conseguenze, fino a una tragedia senza ritorno.

Un film rabbioso e compassionevole, forte e sincero, con qualche momento didascalico ma animato da una forte passione politica e civile, che purtroppo non sempre si trasforma in immagini davvero efficaci. Forse sarebbe stato meglio avere più coraggio e tenere in scena soltanto Eli, consentendo allo spettatore di immergersi fino in fondo, senza residui, in questo ritratto struggente di eroina proletaria. È infatti all’invadenza del secondo personaggio femminile, la danzatrice Vale, che si devono le parti meno riuscite del film, quelle in cui prevale il desiderio di dimostrare, tirare le fila, chiudere il cerchio, scandire il messaggio. Sono le parti visivamente più curate, levigate addirittura, ma troppo costruite e alla fine meno emozionanti.

Le parti dove in scena c’è Eli arrivano invece al cuore, sono perfette nella loro imperfezione quotidiana, grazie anche all’ottima interpretazione di Isabella Ragonese, ancora più brava del solito. È anche grazie a lei che questa eroina del quotidiano rimane nella memoria, con il cappottino rosso e il suo sorriso gentile, capace di resistere, ancora e sempre, al buio, alla notte, alla disperazione.

Sole, cuore, amore di Daniele Vicari, con Isabella Ragonese, Eva Grieco, Francesco Montanari, Francesco Acquaroli, Giulia Anchisi

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