“Sola al mio matrimonio” è il primo film di fiction della documentarista Marta Bergman, affascinata dall’universo Rom. Narra il viaggio di una madre giovanissima, che da Bucarest al Belgio insegue un sogno nato via Skype. Ma alla fine vincerà l’amore per la “principessa” che ha messo al mondo
In Sola al mio matrimonio, debutto nel film di finzione di Marta Bergman, nota per diversi documentari soprattutto con e sulla comunità rom, le nozze descritte nel titolo non hanno mai luogo. Ed è molto più dell’essere soli che parla il film, seguendo una giovane sposa per “corrispondenza digitale”, interpretata con un grintoso fascino da Alina Serban, che viaggia dalla Romania al Belgio per unirsi a un uomo più anziano incontrato su Internet. Nelle due ore del film la costruzione del personaggio si perde un po’, ma emerge un’attenta osservazione su come il matrimonio, a volte, può essere più legato alla sopravvivenza che all’amore.
Pamela (Serban) è una donna rom che vive con la nonna e la figlia di due anni in un villaggio alla periferia di Bucarest. I suoi genitori sono morti e non ci sono prospettive di lavoro nella zona, quindi lei, che sembra avere vent’anni anche se la sua età non viene mai menzionata, vuole andarsene. Dopo una discussione con la nonna, decide di iscriversi a un servizio di matrimonio online, che spera la porti all’estero. La sequenza in cui ha un’imbarazzante conversazione su Skype con il possibile futuro coniuge è al contempo toccante e in qualche modo tragica: Pamela si mette un bel vestito, si fa i capelli e forza un grande sorriso, ma le sue aspettative sono così basse che dice di voler solo trovare “un uomo che faccia la doccia”. Così, presto arriva a Bruno (Tom Vermeir), venditore belga un po’ inquietante e non certo giovane. Non sarà un’amore da favola, piuttosto una scusa per iniziare una nuova vita. Il problema è che Pamela, pur di essere sposata, non dice mai di avere una figlia: deve lasciarla in Romania, e la separazione getterà un’ombra sulla decisione, già travagliata, di unirsi a qualcuno che non ha nulla in comune con lei, e con cui riesce a malapena a comunicare.
Sola al mio matrimonio, passato all’ultimo Festival di Cannes, soffre di un ritmo languido, non sempre giustificato dalla storia, che forse potrebbe essere raccontata con la stessa efficacia in meno tempo. Quando Pamela si trasferisce a Liegi andando a vivere nella deprimente dimora di Bruno, il film aumenta un po’ il ritmo, offrendo diversi momenti forti in cui l’aspirante coppia cerca, pur non riuscendo, di andare d’accordo. I due opposti non si riescono mai ad attrarre; Bruno, invece di permettere a Pamela di vivere nel suo nuovo paese, la tiene rinchiusa in casa mentre va al lavoro, o quando a tarda notte beve drink con i suoi colleghi.
La Serban offre una prestazione eccellente come donna intrappolata tra la sua sete di libertà e le limitazioni che le vengono imposte, e anche Vermeir convince nei panni di un triste uomo che in un certo senso vuole davvero aiutare la sua futura moglie, ma non è in grado di concederle lo spazio di cui ha bisogno. Non lascerà nemmeno che Pamela prenda vere lezioni di francese, installando un sistema scolastico a casa, sul suo iMac. Il tono di Sola al mio matrimonio è più agrodolce che cupo, con la vivace presenza della Serban e la svolta impassibile di Vermeir che danno al racconto una spinta necessaria. E riesce a costruire un finale emotivo, quando la figlia di Pamela torna in scena, costringendo la madre a scegliere tra la sua vecchia vita e quella nuova. Ma le sequenze finali sembrano più formali, già viste, rispetto ad alcune delle precedenti, che mostrano, con compassione e un briciolo di umorismo, il modo in cui una ribelle come Pamela cerchi di adattarsi a un mondo che sembra così lontano da lei e da dove viene.
Sola al mio matrimonio di Marta Bergman, con Alina Serban, Tom Vermeir, Rebeca Anghel, Marian Samu, Viorica Tudor