Fantasmi siciliani di gioventù, amore e mafia: un mix faticoso tra sogno e realtà

In Cinema

Quattro anni dopo il buon debutto con “Salvo”, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza propongono “Sicilian Ghost Story”, in cui di nuovo sono centrali i drammatici eventi della loro terra. E stavolta si rifanno a uno sconvolgente fatto di cronaca del 1996, il terribile delitto del 14enne Giuseppe Di Matteo, ucciso e poi sciolto nell’acido perché figlio di un pentito che stava collaborando con lo Stato. Ma l’innesto di un racconto in gran parte di fiction su fatti veri non funziona fino in fondo

Ai giorni nostri, nel cinema di qualità c’è una forte tendenza a ispirarsi a fatti realmente accaduti, nella convinzione che una storia famosa possa sempre essere rappresentata con successo. Tuttavia, così come un seme deve essere innaffiato per diventare un fiore, anche la migliore delle idee necessita di essere sviluppata. Ciò non è avvenuto in Sicilian Ghost Story, l’ultimo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, presentato la settimana scorsa, in apertura della Semaine de la Critique, al Festival di Cannes, che si ispira a uno dei più macabri fatti della cronaca italiana quasi recente.

Siamo in Sicilia, a metà degli anni ’90: Luna (Julia Jedlikowska) è una ragazza di 13 anni innamorata di un suo compagno di classe, Giuseppe (Gaetano Fernandez), e un giorno, dopo la scuola, lo segue per consegnargli una lettera d’amore. La loro storia però si interrompe quando Giuseppe scompare; all’inizio lei non capisce cosa succede, ma poi si scopre che è stato rapito dalla Mafia, in quanto figlio di un pentito. Luna non si dà pace, e nel tentativo di trovarlo sarà succube di angosce e allucinazioni che la trascineranno in un tormento senza fine.

Nel film, Luna si trova a vivere in un ambiente dove sembra essere l’unica a cui importi di Giuseppe: la madre (Sabine Timoteo) fa di tutto per convincerla a cambiare atteggiamento e costringerla a pensare solo allo studio, ma la cosa è resa ancor più difficile dal fatto che persino la maestra e i compagni sembrano indifferenti alla sorte del “figlio dell’infame”. L’unica persona che si sforza di confortarla è l’amica Loredana (Corinne Musallari), con la quale comunica di notte in codice morse, attraverso la luce delle torce mostrate dalle finestre aperte delle loro case (non dimentichiamo che è la Sicilia prima dell’avvento dei cellulari).

 

Quando Luna inizia le sue ricerche, lo spettatore si ritrova ad assistere, in parallelo agli eventi, a ciò che vedono e sognano Luna e Giuseppe: e il film si immerge in uno scenario fiabesco in cui realtà e immaginazione si mescolano costantemente e dove spesso non capiamo quando siamo nel mondo reale o nella mente di uno dei protagonisti. Forse, questo modo di narrare vuol rendere meno brutale le vicende a cui rimanda: Sicilian Ghost Story è tratto da un racconto di Marco Mancassola, ma il nome di Giuseppe e la sua tragedia potrebbero suonare tristemente familiari a chi ha studiato la Sicilia e Cosa Nostra, perché si parla di un delitto orribilile, quello di Giuseppe di Matteo, figlio di un pentito che nel ’96 fu ucciso e sciolto nell’acido dopo più di due anni di prigionia.

Quattro anni dopo aver esordito insieme con Salvo, anch’esso incentrato sulla mafia siciliana, il duo formato dai palermitani Grassadonia e Piazza cerca nuovamente di affrontare un tema molto sentito nella loro terra. Tuttavia, a livello di regia e sceneggiatura, il film risulta spesso monotono: a parte alcune scene molto toccanti, come quella in cui Giuseppe, imprigionato, legge la lettera di Luna, lo spettatore passa due ore in gran parte senza provare emozioni davvero forti. Così anche le interpretazioni dei due ragazzi, Jedlikowska e Fernandez, non bastano a far sbocciare un fiore che non è stato innaffiato abbastanza.

Sicilian Ghost Story, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, con Julia Jedlikowska, Gaetano Fernandez, Sabine Timoteo, Corinne Musallari, Andrea Falzone, Federico Finocchiaro