Seduzione e trasfigurazione: il tocco di Luganskij su Rachmaninov

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La Philarmonia Orchestra diretta da Carlos Miguel Prieto e accompagnata dallo straordinario pianista russo ha offerto al Lac di Lugano un’esperienza sonora che ricorda il passato glorioso della compagine londinese

Il concerto che il 16 giugno la Philarmonia Orchestra diretta da Carlos Miguel Prieto ha eseguito al LAC ha offerto un’esperienza generosa del suono. Quella che ha segnato il periodo più bello e particolare della storia della registrazione discografica: il dopoguerra inglese, quel momento magico in cui la Philarmonia scavalca le orchestre americane e rende distanti quelle tedesche e austriache, in un certo senso le sorpassa.

Carlos Miguel Prieto ( foto © Benjamin Ealovega)

Certo è ingenuo aspettarsi da questa Philarmonia Orchestra il suono voluto da Walter Legge negli anni ’60 per l’ultimo Richard Strauss (eppure la rilevazione dei timbri, l’impasto degli archi, la malinconia dell’oboe solista sono ancora quelli, hanno ancora e raccontano ancora la storia di una vera, autentica fascinazione mahleriana). Per dialogare con questa compagine, eccezionale nei tempi del balletto novecentesco (Ravel), ci voleva un solista come Nikolaj Luganskij. Quasi malato, malinconico, inerte nella figura e ricchissimo, sorprendente nel tocco. 

Luganskij, poi, col terzo concerto di Rachmaninov, ha una consuetudine e una familiarità fisica. Che toglie un po’ di mistero, l’aspetto seduttivo del concerto famoso, ma apre tanti micro spazi di ascolto. Rallentamenti sottili, godimenti che allargano, la cadenza del primo tempo un po’ ristretta, una specie di racconto si sviluppa tra le sue mani proverbiali nelle ottave alte e negli incroci tra destra e sinistra.

Forse il dialogo più nuovo, alternativo alla serata e nella serata, è venuto dalla conclusione coi Pini di Roma di Respighi. Una volta esaurita la nostalgia del corpo danzante che è così evidente nella rappresentazione orchestrale dell’Alborada e della Valse di Ravel, e una volta che la fisicità di Luganskij ha sciolto le resistenze con quel pezzo immenso di Rachmaninov in cui ogni pianista perde l’identità a favore di un erotismo panico e orchestrale, ecco, una volta che si è arrivati a questo punto, ci si chiede cosa si possa “vedere” di più.

Philarmonia Orchestra (foto @ brass c. Robert)

La scelta di finire con un poema sinfonico, con tempi lenti e crescite graduali – anziché con l’intensificazione del ritmo – ha permesso al bravo direttore Carlos Miguel Prieto di mostrarci qualcosa di nuovo. Quell’insieme sonoro (che probabilmente Respighi ha ripreso da certi passaggi di Puccini) ci fa vedere, come nel teatro di Belasco che mise in scena Butterfly, una copertura maestosa e sinfonica, una specie di Pantheon in cui l’impressionismo di Debussy e l’espressionismo di Ravel sono letteralmente trasfigurati e fissati in una nuova, più icastica, tavolozza tonale, che ha un po’ di Copland e un po’ dell’incipiente cinematografo.

In copertina: Nikolaj Luganskij (foto © Nikita Larionov)

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