Sanremo indiscreto: seconda parte (1968-2014)

In Musica

La geniale storpiatura di Louis Armstrong, De Gregori e Lucio Dalla colpiti dalla censura, l’esordio di Zucchero e Vasco. La scena e i retroscena del Festival e dei suoi protagonisti

1968 – Louis Armstrong
Vince Canzone per te di Sergio Endrigo in coppia con il brasiliano Roberto Carlos (“La festa appena incominciata è già finita, il cielo non è più con noi…”): è il massimo risultato sanremese della canzone d’autore, finora Gino Paoli e Bruno Lauzi, Giorgio Gaber e Umberto Bindi hanno ottenuto al massimo qualche buon piazzamento medio, per non parlare del povero Tenco. Endrigo non si scompone: dice che ha scritto una canzone abbastanza brutta da piacere al pubblico. Quando si dice l’understatement.

Gli occhi di tutti sono però puntati su Louis Armstrong, venuto in Riviera perché gli hanno offerto 15 milioni e può finalmente rifarsi la dentiera. La canzone è Mi va di cantare, Satchmo lo storpia gioiosamente, sul palco tenta di improvvisare anche una jam e lo trascinano via quasi di peso. Che altro? Ah sì, è il primo Sanremo di Pippo Baudo, Celentano rompe con Don Backy (secondo e terzo come autore) che lo accusa di truffarlo sui diritti d’autore, c’è l’esordio di Al Bano (eliminato), un nuovo Mogol-Battisti (La farfalla impazzita, eliminato), fuori anche l’incazzatissimo Domenico Modugno. E, sì, debutta come autore Roberto Vecchioni: la canzone è Sera, niente male, affidata alla Cinquetti e a Giuliana Valci.

1969 – Lucio Battisti
Non c’era Matteo Salvini nei dintorni, se nel 1969 poteva vincere Zingara, cantata da Iva Zanicchi che per l’occasione ha perso tre chili e da Bobby Solo (“Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che destino avrò”: fra gli autori anche Gianni Morandi, uncredited) e se nel 1971 poteva imporsi Il cuore è uno zingaro (Nicola di Bari e Nada) dopo la parentesi conformistica di Celentano nel 1970 (Chi non lavora non fa l’amore). Endrigo è secondo con Lontano dagli occhi, Lucio Battisti alla sua prima e unica apparizione a Sanremo (Un’avventura, con Wilson Pickett) va in finale ma non fa il botto.

Debutta Rosanna Fratello, eliminata, e soprattutto debutta Nada con Ma che freddo fa. Claudio Villa ha già sfoderato gli artigli: “Se mi eliminano è la fine della canzone italiana”. Lo eliminano, Meglio una sera piangere da solo scivola via senza lasciare grandi ricordi, mentre l’autore e cointerprete Mino Reitano grida al complotto. Eliminata anche Gabriella Ferri, assieme a Stevie Wonder (Se tu ragazzo mio).

1971 -Lucio Dalla
Scivolata via anche la vittoria antisciopero di Celentano del 1970, il 1971 vede sfilare cuori zingari e, soprattutto, teneri dropout. Terza, ma vincitrice morale, è 4/3/1943 di Lucio Dalla: una madre sedicenne incinta di un soldato nemico, un adulto con un nome inconsueto: “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, fra i ladri e le puttane sono Gesù Bambino”. Doppia censura Rai al testo: il titolo originale, Gesù Bambino, viene rifiutato, troppo audace per i compagnucci della parrocchietta, “fra i ladri e le puttane” diventa un più rassicurante “fra la gente del porto”.

Sì, poco dopo il ’68 la censura è ancora viva e vegeta: tre anni più tardi, al Disco per l’Estate, l’esordiente Francesco De Gregori, arrivato peraltro ultimo, si vede censurare un verso della splendida Alice: “il mendicante arabo ha un cancro nel cappello”. Un cancro? Andiamo, al massimo “ha qualcosa nel cappello”. A parte l’exploit di Dalla, del festival si ricorda poco: al massimo Che sarà (Ricchi e Poveri con José Feliciano), e tutto il resto è educata noia. Curiosità, ci sono Piero Focaccia e i Mungo Jerry che cantano l’abbastanza atroce Santo Antonio Santo Francisco: l’autore è Paolo Conte, peccati di gioventù.

1973 – Le Figlie del Vento
Sono gli anni di Nicola di Bari (I giorni dell’arcobaleno, 1972) e di Peppino di Capri (Un grande amore e niente più, 1973). Poco altro da ricordare: Piazza Grande di Lucio Dalla, 1972, soltanto in finale, Come le viole di Peppino Gagliardi, 1972, qualche anno fa l’ha rifatta Giuliano Palma, l’esordio di Ivano Fossati con i progressive naif Delirium (Jezahel, 1972, un milione di dischi venduti), quello di Marcella sempre nel 1972 (Montagne verdi), quello di Roberto Vecchioni fino allora soltanto autore (L’uomo che si gioca il cielo a dadi, 1973).

Il resto è educato rumore di fondo, con l’eccezione della demenziale Sugli sugli bane bane del quartetto femminile meneghin-pugliese Le Figlie del Vento: “Sugli sugli bane bane tu miscugli le banane, le misugli in salsa verde, chi le mangia nulla perde”. Troppo bella per essere vera, troppo scema per essere vera.

1979 – Mino Vergnaghi
Tra il 1974 e il 1979 l’appeal del festival si appanna, gli ascolti calano, la qualità tocca il fondo. Vincono Iva Zanicchi (1974), Gilda (1975, chi l’ha più sentita?), Peppino di Capri (1976), gli Homo Sapiens (1977), i Matia Bazar (1978, sono ancora quelli alla Mister mandarino, Vacanze romane deve ancora arrivare), e nel 1979, con Amare, tale Mino Vergnaghi, protegé della Zanicchi. Scomparirà senza lasciare tracce, Vergnaghi, per riaffiorare dieci anni dopo come corista e coautore di Zucchero (c’è anche la sua firma su Diamante, mica da buttare via).

Qualche nome di quegli anni sconclusionati, vecchia guardia sfiatata a parte? Emanuela Cortesi, Valentina Greco, I Domodossola, Kambiz, Antonella Bottazzi, Rossella, Sonia, Franco e le Piccole Donne, Eugenio Alberti, Laura, Paola Folzini, Eva 2000, Annagloria, Antonella Bellan, alzi la mano chi ne ricorda uno. Sfogliando gli elenchi sono poche, pochissime le canzoni che combattono con l’amnesia: la gerontofila Gli occhi di tua madre di Sandro Giacobbe (1976), la melensa Tu mi rubi l’anima dei Collage (1977), la notevole C’è una ragione di Anna Oxa (1978, l’ha scritta Ivano Fossati), Gianna di Rino Gaetano (1978), la bella e sciroccata A me mi piace vivere alla grande di Franco Fanigliulo (1979). Intanto, dal 1977, il palcoscenico è quello del Teatro Ariston.

1981 – Alice
Nel 1980 si impone con Solo noi Toto Cutugno, singolare sintesi caratteriale e artistica di Claudio Villa e Adriano Celentano: ruvido, polemico, abbastanza vittimista. Ha successo di cassetta, ambirebbe anche al consenso critico e invece con la stampa è un continuo beccarsi e magari sarà anche colpa dei giornalisti, che non colgono il genio di “buongiorno Italia gli spaghetti al dente e un partigiano per presidente” e ci vedono soltanto un calcolato esercizio di paraculaggine. Comunque, dopo questo trionfo Cutugno farà la parte dell’eterno secondo, spesso ringhioso. Il festival del 1980, più che Cutugno, è il Woytilaccio di Roberto Benigni e il suo lunghissimo bacio (45 secondi, dicono i cronometristi) a Olimpia Carlisi. Altra musica nel 1981, quando Franco Battiato cuce addosso ad Alice, già Alice Visconti e già Carla Bissi (“Il vento caldo dell’estate mi sta portando via”), il tormentone pop-beethoveniano Per Elisa, destinato a scalare rapidamente le classifiche. Sul versante nazionalpop, si fanno notare Pupo, non ancora bigamo e giocatore compulsivo (Su di noi, 1980), e Loretta Goggi (Maledetta primavera, 1981). Due esordi notevoli: Edoardo de Crescenzo (Ancora) e Fiorella Mannoia (Caffè nero bollente).

1983 – Matia Bazar
Tutt’altro che immortali le canzoni che vincono nel 1982 (Storie di tutti i giorni, Riccardo Fogli) e nel 1983 (Sarà quel che sarà, Tiziana Rivale). Riccardo Fogli è stato qualche anno prima la gioia dei giornali gossipari: ha lasciato per Patty Pravo i Pooh e la moglie Viola Valentino, bella senza voce risarcita facendola diventare cantante (“Comprami, io sono in vendita, e non mi credere irraggiungibile”, qualcuno ricorda?). Viola Valentino partecipa anche a queste due edizioni: come se non avesse cantato. Il tormentone del periodo è Felicità della coppia Al Bano-Romina, in seguito parodiato a destra facendolo diventare inno proto-leghista (“Felicità/è picchiare un terrone/con un bastone, la felicità…”). Che altro c’è? Un frate molesto, Giuseppe Cionfoli (Solo grazie, nell’83 Shalom), L’italiano di Toto Cutugno solo finalista (1983), due esordi importanti: Zucchero Fornaciari (Una notte che vola via, 1982) e Vasco Rossi (Vado al massimo, stesso anno). E tre canzoni bellissime, destinate a restare negli annali: Margherita non lo sa di Dori Ghezzi (1983), Vacanze romane dei Matia Bazar (1983) e E non finisce mica il cielo scritta da Ivano Fossati per Mia Martini: la canzone vince il premio della critica, istituito proprio in quel 1982 e dal 1996 dedicato alla grande e sfortunata Mia.

1986 – Eros Ramazzotti
Che cosa ci si può aspettare da un festival che nel 1983 quasi neanche si accorge di un capolavoro come Vita spericolata di Vasco Rossi? Che fa lavorare le giurie soltanto per le “giovani promesse” (in gara con una sezione ad hoc dal 1984) mentre per i big si affida al Totip? Pochino, e infatti vincono Al Bano e Romina (Ci sarà, 1984) e i Ricchi e Poveri (Se m’innamoro, 1985). Scossone nel 1986 con la vittoria di Eros Ramazzotti, romano della borgata di Cinecittà, 23 anni: Adesso tu arriva dopo la vittoria del 1984 tra i giovani (Terra promessa) e un buon piazzamento nel 1985 (Una storia importante), incoronando un divo pop da globalizzazione imminente, buono anche per l’export.

Per il resto, molto colore e poca sostanza: gli operai dell’Italsider sul palco, il pancione (finto) di Loredana Bertè, la mise da geisha di Patty Pravo, il vedo-non vedo di Anna Oxa, le polemiche sul playback, Fiordaliso che non vuole mica la luna, Mannoia che spiega come si cambia per non morire, Zucchero ultimo con donne (du-du-du) in cerca di guai, Renzo Arbore secondo nell’86 con la goliardata Il clarinetto.

1988 – Figli di Bubba
Gruppi e ammucchiate canore, a seconda dei casi, irripetibili o improbabili. È irripetibile, nel 1988, il trio Morandi-Ruggeri-Tozzi che vince a mani basse con l’inno buonista Si può dare di più (immancabile la parodia, “Si può darla di più”, destinata a questa o quella protagonista dei film a luci rossastre).

Improbabili, ma deliziosi, i Figli di Bubba (il giornalista Roberto Gatti, il critico Alberto Tonti, i comici Enzo Braschi e Sergio Vastano, i musicisti Mauro Pagani e Franz Di Cioccio, il produttore Roberto Manfredi). Cantano Nella valle dei Timbales: “Andrò laggiù nella valle dei timbales/ tra peones, marones, salmones, daiquiri e bonbons/ laggiù dove la femmina è procace/ vivace, mordace, fugace, vorace lo so/ laggiù senza il 740/ Celentano non canta/ la Carrà non c’è più”. Per Beniamino Placido è la canzone di Sanremo 1988 (vince Massimo Ranieri con Perdere l’amore). Da segnalare la doppietta di Fiorella Mannoia Quello che le donne non dicono (1987) e Le notti di maggio (1988). Nel luna park degli orrori, Nostalgia canaglia di Al Bano e Romina. Il festival del 1987 ha record di sempre nello share, nel 1988 presenta Beppe Grillo: è rimasto in quarantena per un anno a causa di una battuta sui socialisti, ma è tornato subito, anche se sul “bando perenne” dalla Rai costruirà una carriera teatral-politica: il chiagne e fotte, in Italia, è sport e scienza nazionale.

1994 – Andrea Bocelli
Tra scandali, accuse di mazzette, rinvii a giudizio per corruzione, il festival va avanti. Pupo, eliminato nel 1992, rivela che nel 1984 si è comprato il quarto posto acquistando schedine del Totip per 75 milioni. La novità è che la macchina del tempo è stata riparata: nazionalpopolare sì, ancora e sempre, ma almeno non fuori tempo massimo. Si premiamo, insomma, divi del momento: Anna Oxa nel 1989 (Ti lascerò, con Fausto Leali), i Pooh (1990, Uomini soli), Riccardo Cocciante (1991, Se stiamo insieme), il romanino garbatino Luca Barbarossa (1992, Portami a ballare), Enrico Ruggeri (1993, Mistero). Nel 1994, a sorpresa, vincono due non vedenti: Aleandro Baldi fra i big (Non amarmi) e Andrea Bocelli fra i giovani (Il mare calmo della sera).

Debutta a Sanremo Enzo Jannacci (Se me lo dicevi prima, 1989; nel 1991 si presenterà con Ute Lemper, nel 1994 con Paolo Rossi). Jovanotti, non più ragazzino scemo e non ancora maestrino del pensiero, va in scena nel 1989 con la ruffiana e perbenista Vasco, Mia Martini porterà al festival due delle sue canzoni più note (Almeno tu nell’universo, 1989, e Gli uomini non cambiano, 1992), Raf Che cosa resterà degli anni ’80 (1989). Rivelazioni: i Tazenda (Spunta la luna dal monte con Pierangelo Bertoli, 1991), Marco Masini con l’enfatica Perché lo fai sulla droga nel 1991 (la ribattezzeranno “Perché ci fai”), Jo Squillo ex punk con Sabrina Salerno (“Siamo donne, oltre le gonne c’è di più”, 1991), Giorgio Faletti non ancora bestsellerista secondo nel 1994 con “minchia signor tenente”. Nel 1993, la sezione giovani incorona l’ultima grande diva del pop italiano emersa da Sanremo, Laura Pausini, la canzone è La solitudine.

1997 – Patty Pravo
Si prosegue fra alti e bassi, con molte invenzioni estemporanee a beneficio delle telecamere. C’è l’aspirante suicida in balconata, Anna Falchi pronta a giurare che “Guardo il mare” in finlandese si dice “Cacca merda”, Valeria Marini “oca per contratto”. C’è un nuovo gruppo estemporaneo, La Riserva Indiana, che accompagna Sabina Guzzanti in Troppo sole nel 1995: lo compongono Mario Capanna, Nichi Vendola, David Riondino e Sandro Curzi, non piace neppure a sinistra. Nel 1995 vince la brava Giorgia, buon prodotto sanremese (Come saprei), nel 1996 Ron che saccheggia a mani basse i sonetti di Shakespeare (Vorrei incontrarti fra cent’anni), nel 1997 gli sconosciuti Jalisse (Fiumi di parole) che spariranno subito senza suscitare rimpianti. Il mischione fra giovani e campioni ormai livella il festival verso il chi se ne frega. Si salvano in pochi: Andrea Bocelli che spicca il volo (Con te partirò), il duetto di Morandi con Barbara Cola (In amore, 1995), Carmen Consoli (Confusa e felice, 1996), un tormentone di Nek (Laura non c’è, 1997), l’esilarante La terra dei cachi di Elio e le Storie Tese (1996). E soprattutto l’imprevedibile e ondivaga Patty Pravo, per una volta strepitosa con E dimmi che non vuoi morire (1997), scritta per lei da Vasco Rossi e Gaetano Curreri degli Stadio.

2001-Elisa

Un 1998 senza storia (vince Annalisa Minetti, giovane e non vedente), un 1999 televisivamente rutilante (conduce Fabio Fazio con Laetitia Casta e il Nobel Renato Dulbecco, fra gli ospiti Gorbacev e gli U2) e musicalmente inerte, vincono Anna Oxa e, tra i giovani, Alex Britti, ma la canzone più emozionante, fuori concorso, è Mio fratello che guardi il mondo di Ivano Fossati, dedicata agli extracomunitari. È preceduta da una frase della “Lettera agli ebrei” di San Paolo: “Non dimenticate di essere ospitali con gli stranieri, perché alcuni hanno ospitato degli angeli senza saperlo”. Prevedibili i mal di pancia fascioleghisti, e infatti il leghista Borghezio protesta con il presidente della commissione di vigilanza Rai, il fascista Storace.

Nel 2000, anno secondo dell’era Fazio, gli Avion Travel prevalgono (Sentimento) grazie alla giuria di qualità (fra gli altri, ne fanno parte Goran Bregovic e Dario Argento), nel voto popolare sono undicesimi. Tra gli emergenti ci sono Bersani, Gazzè, Irene Grandi, i Subsonica e i Tiromancino, tra i nuovi che sembrano antichi c’è il neomelodico Gigi D’Alessio. Nel 2001, via Fazio e dentro la Carrà (notevolissima la presentazione del trucido rapper bianco Eminem, ospite della kermesse: “È un ragazzo bisognoso d’affetto”), trionfa la friulana Elisa Toffoli, per brevità Elisa: finora aveva cantato in inglese, l’esordio italiano Luci (Tramonti a Nord Est) è farina del sacco di Zucchero, che ha scritto anche la canzone seconda classificata, Di sole e d’azzurro affidata a Giorgia.

2014- Arisa
Anni veloci, anni tiepidi. Anni televisivi, anni irrilevanti. C’è un viavai di presentatori (Carrà, Ventura, Bonolis, Chiambretti, Panariello, Baudo, Fazio, Bongiorno, Conti), un alternarsi sul podio di vecchie glorie un po’ sfiatate, nuovi astri non proprio irresistibili, nuovissimi presi in prestito da “Amici” di Maria De Filippi e da “X Factor”. Così nel 2002 vincono i Matia Bazar, nel 2003 Alexia. Nel 2004 che è la seconda edizione meno vista di sempre (38,98% di share) e la più boicottata dai discografici, primo è Marco Masini. Poi, avanti un altro, è il turno di Francesco Renga sposo di Ambra Angiolini (2005), dell’imbarazzate Povia (2006), ma nel 2009 farà di peggio con l’omofoba Luca era gay), del dignitoso Simone Cristicchi (2007), di Giò di Tonno e Lola Ponce (2008, la canzone è di Gianna Nannini e l’edizione è la più disertata di sempre dagli spettatori, solo il 36,56% di share), di Marco Carta (2009) e Valerio Scanu (2010). Breve pausa di qualità con Roberto Vecchioni (2011, ma Chiamami ancora amore non è tra le sue cose migliori: più che altro un premio alla carriera), poi Emma senza i Modà (2012), Marco Mengoni (2013), Arisa (2014) e Il Volo (2015). Resta qualcosa? Pochissimo. Di Vecchioni ho detto, a me vengono in mente soltanto Daniele Silvestri (Salirò, 2002, e la gaglioffa e divertente La paranza, 2007), Alex Britti (7000 caffè, 2003), Sergio Cammariere cugino di Rino Gaetano, che piaceva tanto a Fausto Bertinotti (Tutto quello che un uomo, 2003), la gran voce di Arisa (Controvento, 2014, with a little help from Mauro Pagani). Le infamie in compenso sono molte, una almeno va ricordata ed è la tirata patriottarda Italia amore mio (2010) di Pupo con l’inutile Emanuele Filiberto Savoia Saclà, già testimonial dei sottaceti.

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