Fuori dal canone: niente fiori di loto, niente sguardi abbassati. Anche le donne giapponesi hanno cercato, nei secoli, ribellione: le loro tracce sopravvivono, distorte, nei miti e nelle leggende, e si riassumono nella figura di Yamanba – guarda caso, una strega. Rossella Marangoni, con pazienza e perizia, risale il debole filo che lega la memoria sopravvissuta di esistenze di donne irregolari, né geishe, né demoni.
Rossella Marangoni, grande studiosa della cultura giapponese, dopo averci fatto ‘tremare le vene e i polsi ‘ con Onibaba (Mimesis, 2023. Un articolo si trova qui), torna a confrontarsi con l’universo terrifico del Sol Levante tutto popolato da demoniache donne con Yamanba, e questa volta si propone di raccogliere le loro testimonianze: sono loro, le assassine sanguinarie, in prima persona, a raccontarci chi sono, cosa hanno fatto e perché.

Naturalmente, cambiata la prospettiva, anche la storia cambia, e le mostruose creature diventano ‘cattive ragazze’ che si ribellano alle ingiustizie subite e si vendicano. E ci viene da stare dalla loro parte.
‘Molto tempo fa, c’era una donna. Da quando aveva l’età della ragione, aveva iniziato a provare inspiegabili sentimenti di rabbia. Si chiedeva perché ciò dovesse accadere e arrivò a credere che fosse perché aveva avuto la sfortuna di essere nata donna’.
Oba Minako 1994
Nell’immaginario occidentale quel che ci appare della donna giapponese è la figura da cartolina della geisha nel suo splendido kimono sotto una cascata di fiori di ciliegio, è la silhouette di Pierre Loti nel suo Madame Chrysanthème (1887) poi ripreso da Giacomo Puccini in Madama Butterfly (1903): fanciulle sottomesse, sempre a disposizione e in attesa dell’uomo che poi le butterà via (‘Tu mi butti giù, tu mi butti su, come fossi una bambola’ cantava la nostra incantevole Patty Pravo).
A ribadire lo stereotipo, all’inizio del nuovo secolo, ci riprova anche Hollywood con Memorie di una gheisha, un feuilleton con un falso lieto fine.
Ma andiamo a conoscere le Yamanba.
Quale sarà la nostra colpa? Noi che siamo le madri accudenti nel bagno-utero dei mastelli di legno, noi che siamo le spose silenziose, le concubine di cui ci si vanta e da cui ci si allontana appena sfiorite. Siamo la cortigiana più ambita, siamo la prostituita sull’argine dello Yoshiwara, siamo la ragazza del bagno pubblico, siamo la sguattera che prendete quando volete, siamo la vecchia nutrice che vi narrava le storie da piccoli.
Di una di queste donne siamo riusciti a scoprire le tracce.
Siamo a Kyoto all’inizio del Seicento. Sulle rive del fiume, tra baracche, bottegucce e cantori di strada si esibisce una splendida danzatrice, Okuni. Era come se si potesse dire che uno dei suoi sorrisi avrebbe gettato le sei consorti imperiali nell’ombra, scrive un cronista del tempo.
Chi sarà quella donna eccentrica che sembra conoscere ogni danza, ogni storia, ogni antica canzone e passa dall’una all’altra con incredibile grazia e fascino?
Dicono che sia una ‘miko’, una sacerdotessa giunta dal santuario di Izumo per raccogliere fondi per la sua ricostruzione. Altri dicono sia un’avventuriera senza scrupoli, che sfrutta la sua avvenenza per sedurre e derubare gli sciocchi.
Pare che Okuni mischiasse nelle sue rappresentazioni elementi sacri e le danze Kagura, tipiche dei templi scintoisti, ed elementi profani come danze popolari e ‘danze alla moda’.
Secondo lo storico del teatro giapponese Benito Ortolani, gli spettacoli di Okuni sono il primo esempio di Kabuki e lei è la sua fondatrice.
Insieme a lei, l’attrice principale, si esibiva un gruppo di danzatrici che si muoveva con grazia, ma anche in modo eccentrico al suono di tamburi, flauti, shamisen mentre il pubblico andava in delirio ascoltando i versi:
‘Lasciati andare in questo mondo fluttuante (ukiyo) di sogno’.
Il successo fu tale che alcuni daymo cominciarono a invitare le cortigiane a esibirsi nei loro castelli. Nel 1629 intervenne la censura che considerò il kabuki ‘disturbo nazionale’ della moralità e lo proibì definitivamente alle donne, riservandone la rappresentazione ai soli uomini.
La memoria di Okuni e delle sue cattive ragazze fu cancellata nel suo vero valore e demonizzata.