Tempeste della vita e illusioni di riscatto: torna Kore, poetico erede del grande Ozu

In Cinema

“Ritratto di famiglia con tempesta” del talentuoso regista giapponese Kore-eda Hirokazu (abbiamo visto in Italia i suoi recenti e toccanti “Father and Sons” e “Little Sister”) racconta la crisi di tre generazioni che non si arrendono al fallimento delle loro vite. Una nonna (la bravissima Kirik Kiki), vedova di un uomo poco amabile e testimone del fallimento del figlio inconcludente; un marito e una moglie divorziati che forse vorrebbero tornare, ma è troppo tardi, indietro; un nipote in balia degli altri, un bel ragazzino che tutti vorrebbe amare e tenere stretti a sé, ma l’impresa è impossibile e lui lo sa bene

Una madre, un padre, una nonna e un nipotino sono i quattro protagonisti di Ritratto di famiglia con tempesta, suggestivo titolo italiano dell’ultima fatica di Kore-eda Hirokazu, cantore raffinato e inquieto della commedia umana in salsa giapponese – in Italia già lo conosciamo per Father and Son (2014) e Little Sister (2016) – da molti considerato l’erede del grande Ozu Yasujiro. Nella locandina del film i quattro protagonisti appaiono immobili, come colti come di sorpresa in un attimo di dolorosa sospensione. Hanno tutti lo sguardo rivolto verso il cielo, in attesa della tempesta che verrà, ma forse soprattutto di un segno, un senso, un cambiamento – forse impossibile, forse necessario.

Lo sguardo della più anziana della famiglia, la nonna interpretata dalla meravigliosa Kirin Kiki (la ricorderete un paio d’anni fa nelle Ricette della signora Toku), è forse quello più facile da decifrare: docile ma non domato, possiede la serenità di chi ha molto vissuto e tanto sofferto, di chi ha imparato l’arte del perdono ma non la rassegnazione. E ancora spera che quel suo figliolo scapestrato riesca a riscattarsi dai troppi errori compiuti e ricomporre l’ormai perduta unità della sua famiglia. Un’impresa impossibile, a cui l’anziana mamma e nonna si dedica con un ottimismo apparentemente incrollabile, facendo di tutto per trattenere nella sua minuscola casa il figlio, la nuora e il nipotino, con la scusa del tifone in arrivo, nella segreta speranza che basti la vicinanza per ricucire il tessuto strappato di un matrimonio ferito a morte dalla disillusione e dal rancore.

 

Anche il nipotino, il piccolo Shingo (Taiyo Yoshizawa), sembra avere le idee abbastanza chiare riguardo ai propri desideri: tenersi stretto l’affetto di sua madre (anche se lei intende risposarsi con un antipatico sbruffone), ma anche conquistare e mantenere l’attenzione di suo padre, che sembra amarlo di un amore tenero ma distratto, evanescente, quasi in fuga.

Sono in effetti i due adulti, il padre e la madre, a presentarsi come figure più ambigue, contorte, difficili da interpretare. Non ancora anziani, non rassegnati al fatto che la vita non sia andata come s’aspettavano, non sono nemmeno abbastanza giovani da conservare intatte le proprie illusioni. Si agitano infelici alla ricerca di una soluzione, una strada, una possibile vita: non sanno bene cosa scegliere, forse neanche perché.

Ryota (l’irresistibile Hiroshi Abe di Thermae Romae) è stato un giovane di successo, una promessa della letteratura giapponese vincitore di premi prestigiosi, ma poi non è mai riuscito a scrivere il secondo romanzo: avvitandosi in una spirale di fallimento e amarezza, ha cominciato a giocare d’azzardo, e per mantenersi (a fatica) lavora svogliatamente per una squallida agenzia investigativa. Sua moglie Kyoko (Yoko Maki) lo ha lasciato, ha chiesto il divorzio, e sembra fermamente convinta della bontà della sua scelta: abbandonare al suo triste destino quel loser diventato un vero e proprio campione delle promesse non mantenute. Eppure, nella sua vita in apparenza controllata, pianificata fin nei più piccoli dettagli, qualcosa non torna, ci sono ferite ancora aperte, fessure di senso, desideri sospesi.

Fenomenologia di una famiglia giapponese? Sì, certo, Kore-eda mette in scena ciò che conosce, ma come accade ai veri artisti non si limita a questo. Attraverso il racconto di una piccola storia quotidiana affronta temi più ampi, e universali, parla di paura e desiderio, cadute rovinose e (ipotetici) riscatti, di un’inettitudine tanto profonda da sembrare insuperabile e del tentativo, ancora e sempre vivo, di rinascere, ritrovarsi, ripartire. Insomma, se è pur vero che “non tutti diventano quello che volevano essere, gli adulti che avevano sognato di diventare”, lo dice il protagonista, la strada rimane aperta e nel tentativo di trovare una forse impossibile redenzione ci si può imbattere in qualche frammento di felicità. È l’umanissimo messaggio di questa ballata sorridente e malinconica, che si interroga sul cortocircuito fra sogni e vita quotidiana senza tranciare giudizi, imprecare o barare. Con leggerezza, intelligenza, e uno sguardo acuminato che al tempo stesso è incredibilmente gentile. Forse proprio in questa acuta gentilezza si sente vibrare l’eredità più autentica dell’indimenticabile Ozu.

Ritratto di famiglia con tempesta, di Kore-eda Hirokazu, con Hiroshi Abe, Kirin Kiki, Yoko Maki, Taiyô Yoshizawa