Che fine ha fatto la regina Lear?

In Teatro

Ritornano le Nina’s Drag Queens. E questa volta si misurano col Bardo: cosa accadrà?

Nina’s Drag Queens, c’era già la regina nel titolo. Ed infatti ora il gruppo dei cinque bravi attori lanciati al Ringhiera si trovano alle prese morali e materiali con una queen inedita ma famosa, la Queen Lear di Shakespeare che qui diventa Lea R. ed è una vecchia signora che invecchia a Londra con una dama di compagnia (o compagna) e un negozio di cianfrusaglie, soprattutto bambole, in stile Baby Jane.

Le manca, ovvio, l’amore delle tre figlie ciascuna impegnata con la propria vita ed è nota la divisione tra bene e male. In questa riscrittura del testo scespiriano, sublime come pochi, ideata da Francesco Micheli e scritta da Claire Dowie, rimangono brani della tragedia, ma in una commistione di parole, musica, gag, sentimenti, accessi grotteschi, ripetizioni e richiami al sovvertimento drag dei sensi. Il tutto, pur con raffinatissime scelte musicali e sonore (un plauso a Enrico Melozzi) risulta un poco monocorde, anche perché la lunga scena obbliga a tempi morti, per fortuna risollevati da coreografie, parole di canzoni famose, assaggi di cultura pop e di opera lirica, ripetiamo, tutte scelte consapevoli e ragionate, ma l’insieme funziona, in un’ora e 50 di show più intervallo, a ritmi alterni. Forse perché la parola di Shakespeare è così forte e potente e coinvolgente ed emozionante che appena la risenti tutto ciò che sta intorno perde d’importanza: vince lui.

E mentre nel primo tempo (in realtà lo spettacolo andrebbe visto filato) ci sono intermezzi drag, nelle ovvie vistose acconciature e nei previsti queer trucchi dei protagonisti, in modo che il pubblico possa accomodarsi nel girotondo grottesco cabaret (e una parte della platea è troppo fastidiosa, complice a tutti i costi, ride anche alle battute tragiche), nel secondo i nodi vengono al pettine e la materia è tragica. Quando appare, sempre più pallido, vecchio e stanco, il bravissimo Sax Nicosia, seduto sul titolo, testimoniando la fatica di vivere e di invecchiare forse senza senso, finchè la piuma non si muoverà più, allora non c’è modo di scherzare. Lo sanno bene gli artefici, perché ciascuna delle drag ha portato nello spettacolo anche una parte del proprio vissuto e quindi la tragedia finisce come deve, in tragedia, con i giovani che si separano dai vecchi.

Per apprezzare le molti doti intellettuali dello spettacolo, della Queen Lea R., che quando entra nella follia sente le voci delle vecchie doppiatrici dei cult movies melò americani (ma chi se ne accorge?), lo show andrebbe stretto nei tempi, sfogliato di qualche zona ripetitiva, senza paura del senso del tragico: così ne resterebbe non una clownerie per addetti ai lavori, ma un ragionamento, una glossa, un pensiero sui temi eterni della scrittura scespiriana di questo testo che a Milano si ricorda glorioso al Piccolo Teatro diretto da Strehler in una pista circense.

Fotografia © Valentina Bianchi

Certo che c’è poi la voglia di essere significanti, Edmund, anche fool, è un migrante che si lamenta degli inglesi con una metafora fin troppo semplice ma anche aggiunge pensieri al pubblico, quello rispettabile, che già deve “accettare” il cambio di sesso ormai divenuto quasi uno stereotipo del nuovo teatro che rilegge i classici, regine o bisbetiche che siano.

Gli attori-performer-cantanti-ballerini del gruppo delle Nina’s sono però precisi in ogni particolare, capaci di entrare ed uscire dai personaggi e dal secolo per renderci complici: Sax Nicosia, Gianluca Di Lauro, Lorenzo Piccolo, Ulisse Romanò e Alessio Calciolari, festeggiati al Carcano da un pubblico in cui erano infiltrate, tutto calcolato, alcune drag di passaggio in Porta Romana che per stile eccessivo, eccedevano anche nel far feste agli amici. Consigliamo prudenza per il prossimo tour, forse Molière: si addice meglio un Brecht, già addobbato per diventar quattro e quattr’otto cabaret.

 

Immagine di copertina © Valentina Bianchi

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