Gay e minatori, cocktail esplosivo

In Cinema

Pride Matthew Warchus

Nell’Inghilterra della Thatcher un combattivo gruppo queer londinese scende in campo per i lavoratori gallesi in sciopero: dovrà vedersela anche coi loro pregiudizi

Con una scatenata colonna sonora anni ’80, capace di far muovere anche lo spettatore più impacciato, arriva nelle sale Pride di Matthew Warchus, pellicola che ha conquistato il pubblico vincendo una Queer palm all’ultimo Festival di Cannes. Le note dei Joy Division, Queen, Human League e Pet Shop Boys accompagnano egregiamente quello che in patria è stato un enorme successo al botteghino e che ha raccolto quasi solo pareri positivi dalla critica.

Londra 1984: il giovane attivista gay Mark Ashton (Ben Schnetzer) decide di fondare un movimento che solidarizzi con i minatori britannici, impegnati in un lungo sciopero contro le dure misure adottate dal governo della premier Margaret Thatcher. LGSM (acronimo di Lesbiche e gay supportano i minatori) dovrà però affrontare a Londra le difficoltà della raccolta dei fondi e nello sperduto paese di Onllwyn, nella valle del Delais, combattere la diffidenza dei lavoratori gallesi, scettici nel ricevere un aiuto da un gruppo apertamente omosessuale.

Pride si colloca a pieno merito nella tradizione britannica della commedia brillante, frutto di un’ironia leggera abbinata solitamente a situazioni curiosamente fuori dal comune. Un genere cinematografico che negli ultimi anni ha regalato alcuni piccoli casi come Billy Elliot (2000) e Full Monty – Squattrinati organizzati (1997). E proprio come questi due illustri precedenti, il film di Warchus si fonda sul contrasto di due mondi antitetici che generano situazioni divertenti al solo contatto. Perché nell’Inghilterra di metà anni Ottanta la desolata, arretrata e chiusa campagna del Galles, e soprattutto gran parte dei suoi abitanti (dai quali si discostano il solito strepitoso Bill Nighy, leader della Union locale e Imelda Staunton, che incarna l’anima popolare più aperta) non è pronta ad accogliere, sia pure come alleati degli orgogliosi e cosmopoliti giovani che rivendicano e difendono il proprio orientamento sessuale.

Un esempio che noi italiani oggi dovremmo far nostro, in un paese in cui la commedia sulle diversità assume i toni banali e bozzettistici dei vari Benvenuti al Sud (2010) e del più recente La scuola più bella del mondo (2014). Film in grado di far ridere solo attraverso l’iperbole regionale, con buona pace della ben più alta tradizione dei vari Risi e Monicelli.

Pride nasce da una storia vera, sostanzialmente rispettata dalla sceneggiatura discreta anche se forse a tratti troppo melensa, di Stephen Beresford, che culmina nella parziale integrazione dei due gruppi, con conseguenze tutte da gustare. Una conquista difficile da raggiungere, tanto nelle periferiche lande gallesi, quanto nella City proiettata al futuro: perché i nemici, comuni da sconfiggere (oltre all’arcigna Thatcher) sono il pregiudizio e l’ignoranza.

Pride, di Matthew Warchus, con Bill Nighy, Imelda Staunton, Ben Schnetzer, Jim Mc Manus, George Mac Cay

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