Più che un dating l’appuntamento è con la storia, il passato che ritorna

In Cinema

La regista macedone Teona Strugar Mitevska, già autrice del pregevole “Dio è donna e si chiama Petrunya”, racconta stavolta la Sarajevo d’oggi in bilico tra il caotico presente e le dolorose vicende anni Novanta. La 40enne Asja va a un incontro casuale sperando di conquistare un nuovo partner, invece si trova di fronte un uomo che ha scelto di cercarla perché ha qualcosa da confessarle. Il successivo e un po’ crudele gioco che si instaura tra i due, avrà però un finale “dionisiaco”

Asja (Jelena Kordic), protagonista di L’appuntamento, ha più di quarant’anni, vive a Sarajevo e vorrebbe trovare un compagno, forse. Di lei non sappiamo nulla, la vediamo muoversi in una città costellata di macerie e di cantieri, seguiamo la sua lunga camminata apparentemente senza scopo in un luogo che sembra in preda a un cambiamento radicale ma che lei attraversa come in trance, con passo lento e sguardo stanco. La meta del suo vagare in realtà è precisa: un edificio moderno, una sorta di grande e asettico centro congressi dove un’associazione organizza speed dating, appuntamenti al buio, abbinando casualmente (ma non troppo) uomini e donne: che avranno un’intera giornata per conoscersi, e forse conquistarsi a vicenda, rispondendo a una serie di domande del tutto anodine, inizialmente, ma via via più personali, intime, destabilizzanti.

Asja si ritrova seduta davanti a Zoran (Adnan Omerovic) e ben presto scoprirà che l’abbinamento non è stato affatto casuale, perché questo sconosciuto, questo uomo dallo sguardo sfuggente e dalle mani nervose, ha voluto a ogni costo incontrare proprio lei. Perché ha qualcosa da confessare. Qualcosa da ricordare. Qualcosa da farsi perdonare. Quella che all’inizio sembra solo una bizzarra caccia alla verità si trasforma così, inevitabilmente, in un gioco crudele, sadico persino.

Non volendo raccontare troppo degli snodi di una trama che procede per scarti inquieti e sorprese, scoppi di violenza e momenti di surreale commedia umana, basterà forse sottolineare che la città protagonista è Sarajevo e che le macerie con le quali è necessario ancora e sempre fare i conti sono quelle della guerra fratricida che ha sconvolto la ex-Jugoslavia nella prima metà degli anni Novanta. La regista, Teona Strugar Mitevska, è nata nel 1974 a Skopje, in Macedonia, e quindi racconta qualcosa che ha vissuto, di cui è stata testimone diretta: ma come aveva già fatto nel suo film precedente – il pregevole Dio è donna e si chiama Petrunya – non si limita a restituire una cronaca della realtà storica utilizzando uno stile realistico e concreto, fermando lo sguardo sui dettagli e andando alla ricerca di giudizi più o meno definitivi.

Cerca piuttosto di mettere a fuoco ciò che c’è di universale in questo appuntamento con la storia, con la memoria, con ciò che si vuole dimenticare, con tutto quello che si deve ricordare. Per andare avanti, per ricostruire, e sì, alla fine anche per dimenticare, nella stordita ebbrezza della musica, in mezzo a una folla di ragazzini che negli anni Novanta non erano ancora nati. Perché nell’estasi dionisiaca della musica, nella frenesia della danza che non conosce né pudore né ritegno, forse si può trovare la pura e semplice libertà. Quella leggerezza che permette di scrollarsi dalle spalle il peso del passato e finalmente perdonare. E perdonarsi.

L’appuntamento di Teona Strugar Mitevska, con Jelena Kordic, Adnan Omerovic, Labina Mitevska, Ana Kostovska, Ksenija Marinkovic

                                                                                                                                                                                           

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