Un Conte felice (e molto divertito)

In Interviste, Musica

Il nuovo disco, Snob, e il concerto al Conservatorio di Milano sono l’occasione per parlare col cantautore genovese di vocalizzi e gorgheggi, di viaggi e di fughe…

Adesso sono sicuro: Paolo Conte è felice. Ne avevo avuto sentore nelle telefonate che gli avevo fatto prima dell’uscita di questo suo CD, Snob: me ne parlava con affetto quasi paterno. E ora che lo incontro a Milano, in occasione del concerto che ha tenuto al Conservatorio, conferma: «Hai ragione, mi sono divertito a farlo, ci ho lavorato tanto, ma l’ho fatto col piacere di lasciarmi andare sia nella musica che con le parole».

Ti sei lasciato andare anche con delle tue specialità vocali: mugolii, imitazioni, il kazoo…
Sì, è vero, mi sono lanciato, ho fatto anche dei vocalizzi di cui sono piuttosto fiero: in Si sposa l’Africa ho fatto dei gorgheggi alla mia maniera abbastanza riusciti. Poi in altre canzoni ho usato con parsimonia, direi a piccole dosi, un pizzico di spagnolo, qualche parola in genovese e una in francese, e il tedesco: e ho avuto la soddisfazione – dopo tanti che non lo hanno capito – di trovare una signora tedesca che mi citava a memoria tutto il testo! Queste cose appartengono a quel tanto di vaudeville che c’è sempre stato nella mia produzione, e poi, sai, chi fa da sé fa per tre: se in quel momento vuoi un saxofono di un certo tipo e non ce l’hai, te lo fai con la bocca, no?!?

Questa è la tua parte istintiva, potremmo dire di mestiere, ma nel preparare Snob hai pensato anche a qualcosa di nuovo da inserire nel progetto?
No, non ho avuto alcun pensiero all’inizio, semplicemente le canzoni son venute come al solito sul pianoforte, in solitudine, sotto le dita. Poi piano piano prendevano una connotazione critica data da me, e allora ho capito che certe canzoni come Signorina saponetta avevano qualcosa di novecentista un po’ dada, oppure ho capito che quella di Glamour era una musica da lingua tedesca, non potevo tradire queste mie sensazioni. Ho capito che una battutina in spagnolo avrebbe rinfrescato quell’italiano un po’ preciso, l’ho fatto per sviarmi, per giocare un poco di fantasia.

Forse è dai tempi di Aguaplano che non giocavi così!
Sì, direi proprio di sì!

Un’altra sorpresa di questo disco: ogni volta mi viene voglia di riascoltarlo, come avesse il potere di fermare il tempo. Eppoi tu hai il potere di comunicarci i tuoi mondi…
È un gran complimento, quello di rimettere il pick-up per risentire il disco ha un buon significato. Per il resto, io non mi illudo mai di comunicare quello che sento, anche perché in me non tutto è preciso: c’è anche della confusione da cui son partito, e che rimarrà sempre in me. Però ho sin dall’inizio voluto che il pubblico restasse libero, che ciascuno si possa fare il suo viaggio: se io questo lo vedo arancione e un altro bleumarine mi va benissimo. Sui significati di quello che scrivo sono più che criptico: sono un grande lettore della Settimana Enigmistica, il che vuol dire che lascio dei doppi significati che volano di qua e di là!

Alle volte ti paragono ai grandi autori di fumetti o di cartoon: hanno quasi sempre gli stessi personaggi, ma cambiano le storie e i relativi luoghi.
Sì, è vero, anche se in questo disco ho fatto uno sforzo per cambiare qualcosa in più: c’è sempre una prevalenza del Sud America, ma questo per ragioni tecniche relative alla lingua italiana. L’importante è che i personaggi siano sempre dello stesso peso.

Ultima domanda: tutto questo mondo di profumi, di sensazioni, di stanze, di personaggi non ti sembra quasi una fuga dalla realtà?
Certo che lo è, perché il mondo reale sembra facile da decifrare ma non è così. Non tanto per l’età, ma proprio perché certe scelte e certi giochi sono stati già fatti in passato: io appartengo al moderno, il post-moderno non mi interessa. E l’attuale è una cosa ancora non ben definita, quindi, se vogliamo, è una fuga, senza dubbio: in re minore!

Paolo Conte, Snob (Universal)

Foto di Giulio Gipsy Crespi