Il giornalismo cambia: ma dove va?

In Weekend

Come si sostiene il giornalismo online? E’ possibile sfuggire alla tirannia del click e puntare alla qualità? Andrea Daniele Signorelli indaga il cambiamento e le nuove ricette

Mettiamola così, un po’ alla buona: se si parla tra giornalisti “di carta” del futuro, non è raro incappare nel pessimismo cosmico di chi ha deciso, per intuibili declinazioni psicologiche ma non solo, che ormai il giornalismo è morto, che la crisi e i click lo hanno ammazzato e che dunque non ce n’è più per nessuno. Dall’altro capo del mondo ci sono invece i neoentusiasti della rete e della rivoluzione digitale: fantastica, democratica, che ha abolito ogni steccato, che consente qualità, libero accesso e cose mai viste prime e se non lo capite è perché siete ammuffiti, corporativi e alla fine anche un po’ corti di comprendonio. (Di solito accompagnano tutto questo con degli sguardi tra l’arrogante e il compassionevole, di solito sono maschietti, ma so già che commenti mi sto attirando su questa notazione, per cui risparmiateveli).

In mezzo c’è tanta gente che prova

a) a capire cosa sta succedendo e come si affrontano le onde nuove, garantendo una sostenibilità al sistema media,

b) a campare con questo lavoro bello (se fatto bene, ed è un altro tema) ed è questione anche “di classe” come David Randall ci segnalava qui già cinque anni fa

c) tutte e due le cose insieme, gli incontentabili.

Il dibattito è sterminato, vivace, globale visto che noi, parlanti e scriventi italiano, e il nostro sistema con la sua peculiare storia nazionale rappresentiamo alla fine un pezzettino del pianeta dell’informazione e ci muoviamo pure in ritardo rispetto ad altri. E intanto in rete si prova, si cerca di capire se e come si può continuare a fare giornalismo (quella cosa che ha una sua cassetta degli attrezzi, che richiede delle competenze per raccontare ciò che accade, che ha una qualità possibilmente non solo autocertificata ): noi stessi di Cultweek facciamo parte di questa sperimentazione, di recente Francesco Costa ci ha raccontato qui la strategia del Post, uno dei casi di maggior successo, per sopravvivere alla dura vita online.

Ben venga dunque, per districare qualche nodo e al contrario stabilire qualche nesso con le tendenze che attraversano il sistema globale dell’informazione, l’agile inchiesta di Andrea Daniele Signorelli che, per Mimesis Edizioni, ha scritto Tiratura illimitata. Dal crowfunding al native ads: inchiesta sul giornalismo che cambia.

Tre capitoli per capire cosa sta succedendo nel mondo anglosassone, come si sta cercando di rispondere alla domanda delle domande, ovvero come si regge economicamente il giornalismo online, “gattini a parte” ovvero se non si vuol fare caccia selvaggia al click con tutti i mezzucci possibili. Le ricette anglosassoni – ma anche lì siamo ancora in cucina, di pronto in tavola c’è poco – vanno dal mecenatismo al native advertising, al crowfunding, passando per la ricerca della nicchia (che paghi quel che cerca) e la diversificazione del business per esempio nella direzione dell’organizzazione di eventi che fanno soldi e anche – molto importante – comunità intorno al brand (NextFest, a Repubblica delle idee, Festival di Internazionale sono tra gli esempi italiani). Tutte strade da esplorare, consapevoli però che ognuna pone, adeguata al nostro contesto, problemi specifici da maneggiare con cura: forse non basta dire in trasparenza che un tal contenuto è sponsorizzato per cancellare i possibili problemi che il native ads porta con sé, per esempio.

La ricerca di Signorelli passa poi a esaminare alcuni interessanti casi italiani con interviste ad Alberto Puliafito di Blogo.it, a Jacopo Tondelli degli Stati Generali e al team di cheFare, per poi concludersi esaminando il ruolo pesante di Facebook e di Gooogle in tutta questa faccenda e affermando, con qualche ottimismo, che “più si punterà sulla qualità più Google imparerà a premiarla” e riusciremo a sconfiggere la tendenza acchiappaclick.

Speriamo, di cuore, proprio perché non ci iscriviamo al partito della morte del giornalismo. Intanto mentre chiudiamo questo pezzo, la prima notizia di Primaonline è questa: possiamo dirci molte cose sugli editori di giornali italiani – i grandi, dico – le loro magagne, la loro difficoltà a capire la trasformazione, gli errori e le colpe e via aggiungendo, ma non si può non vedere il pericolo che la torta (dei ricavi) continui inesorabilmente a rimpicciolire (e con essa sfumi per tanti la possibilità del giornalismo professionale) mentre ancora la cucina non ha sfornato la ricetta nuova.

Immagine di copertina di nikoretro

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