Dopo l’Oscar al miglior script vinto due anni fa con “Get Out-Scappa”, torna il talentoso Jordan Peele che con “Noi” tratta di nuovo il tema del razzismo nel suo paese, ma stavolta con meno ironia e più “gore”. Lupita Nyong’o porta il marito e i suoi due figli grandicelli su una spiaggia californiana, nel luna park dov’era stata traumatizzata, da piccola, dalla visione di una doppia di sé. Stavolta per terrorizzarli li attendono le immagini speculari della famiglia intera, tra zombie e ultracorpi. Mentre scorrono sullo schermo emergenze sanguinarie e violenze inspiegabili, ma pure atroci ingiustizie e disuguaglianze
Nel 1986 oltre sei milioni di americani si tennero per mano in un’iniziativa di beneficienza chiamata “Hands Across America”. E fecero cospicue donazioni per lottare contro la fame nel mondo e le diseguaglianze. Nella prima scena di Noi, secondo film del regista nero Jordan Peele dopo l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale conquistato nel 2017 grazie a Scappa – Get Out, vediamo in tv lo spot che pubblicizzava quella famosa iniziativa e subito dopo assistiamo all’inquietante girovagare della piccola Adelaide dentro un Luna Park adagiato su una spiaggia californiana, fino in fondo a una casa degli specchi dopo incontrerà una bambina esattamente identica a lei.
Arrivati ai giorni nostri Adelaide è cresciuta (e ha il volto di Lupita Nyong’o), ha due figli grandicelli ed è convinta di aver superato quel trauma infantile, al punto di accettare di ritornare con marito e prole di nuovo in vacanza su quella spiaggia. Naturalmente, il suo doppio è lì ad attenderla, insieme ai minacciosi doppelgänger di tutti i membri della sua famiglia. E non solo. Perché la sanguinaria emergenza che colpisce questa graziosa e tranquilla località di vacanze sembra tanto inspiegabile quanto diffusa…
Jordan Peele ritorna sugli schermi con un film horror immediatamente politico, nel suo voler dipingere disparità sociali e atroci ingiustizie utilizzando personaggi e atmosfere che arrivano dal grande serbatoio del cinema di paura, fra un attacco di zombie affamati e ottusi e un’invasione di ultracorpi fin troppo intelligenti. Come ha dichiarato il regista, non si tratta di un film sulla questione razziale, ma sull’America tout court (fin dal titolo, Us, che sta per “noi”, ma anche United States).
E come si può parlare degli Stati Uniti prescindendo dalla questione razziale? Il divario sociale fra bianchi e neri è talmente radicato da essere in qualche modo parte del paesaggio, come la distanza sempre più immensa fra ricchi e poveri. E nel gioco di continui e crudeli ribaltamenti che si dipana davanti agli occhi dello spettatore i protagonisti e i loro doppi danno vita a un balletto macabro profondamente inquietante e ampiamente riuscito, grazie anche a un perfetto mix di sangue e ironia.
Peele non è certo il primo a utilizzare il genere horror per raccontare il male che permea la società contemporanea, da Romero e Carpenter in avanti, ma la sua capacità di mettere in piedi un affresco allegorico complesso e ambizioso è piuttosto fuori dal comune. Al di là della sceneggiatura, che è pure sua, stratificata e convincente, a colpire sono soprattutto le raffinate scenografie e le originali scelte cromatiche, efficaci anche nel momento in cui si mette in scena una casa degli specchi al luna park, cioè qualcosa di assolutamente ovvio e visto mille volte sul set di un film horror.
Un discorso a parte merita poi la musica, spesso utilizzata come ironico contrappunto all’azione, dalla scena in cui l’assistente domestica robot dei vicini ricchi e bianchi dovrebbe chiamare la polizia e invece suona a tutto volume Fuck tha police degli NWA, alla lotta corpo a corpo coreografata come un balletto sul tema dello Schiaccianoci di Ciajkovskij, arrangiato però in modo da renderlo irriconoscibile. E ci sono anche le Good Vibrations dei Beach Boys e Minnie Riperton che canta sulle note di Les Fleurs, invitandoci a “illuminare il cielo con preghiere di felicità” e a festeggiare la fine dell’oscurità, perché “è nata una nuova era”.
Scappa – Get Out prendeva di petto il tema razziale e costruiva una parabola di immediata efficacia, qui il tentativo è quello di raccontare una società in lotta con sé stessa da così tanto tempo, e così abituata alla violenza da aver definitivamente smarrito il confine fra colpa e innocenza. Un film molto ambizioso dunque, che forse nel finale vuole annodare troppi fili e rendere fin troppo evidente la metafora sociale e politica già contenuta in quelle forbici che campeggiano sulla locandina. Il tema del doppio è comunque esplorato con grande intelligenza, giocando abilmente con gli stereotipi e trasmettendo un costante e duraturo senso di inquietudine, e di angoscia che scava in profondità. Che non svanisce nemmeno quando si riaccendono le luci in sala.
Noi, di Jordan Peele, con Lupita Nyong’o, Winston Duke, Elisabeth Moss, Tim Heidecker, Yahya Abdul-Mateen II