Muore il compagno Stalin e si scatena la sua corte, comica e indecente

In Cinema

L’attore e regista scozzese Armando Iannucci confeziona una divertente farsa dai risvolti tragici sulla morte del dittatore sovietico e sulla sua immediata, turbolenta successione. Da Steve Buscemi a Michael Palin, da Simon Russell Beale a Jeffrey Tambor, una compagnia di affiatati, scatenati interpreti dà volto ai personaggi dell’epoca, impegnati a eliminarsi a vicenda nella corsa al potere

Ogni riferimento a fatti e persone esistite è in Morto Stalin se ne fa un altro rigorosamente reale; ma al tempo stesso nulla di ciò che accade nel film si è svolto come lo vedete nelle immagini. Del resto il 54enne comico, regista e sceneggiatore scozzese di origini napoletane Armando Iannucci, al suo secondo lungometraggio dopo molta tv (si è rivelato negli anni 90 con la seria comica On the Hour e poi con Veep , poi il debutto su grande schermo nel 2009 con In the Loop), non avrebbe scritturato due star della satira corrosiva come Steve Buscemi (uno strepitoso, vulcanico Kruscev) e l’ex Monthy Python Michael Palin (il crepuscolare Molotov) se la sua scelta non fosse stata quella di riesumare la comicità demenziale a tutto ritmo del mitico supergruppo. Avendo come scopo, sì, di ridicolizzare con il gusto sadico di uno studente fuori corso grandi personaggi della storia recente, ma anche di agire sul meccanismo del gruppo maschile (a tratti l’aria sembra quasi quella di un degenerato Amici miei) la cui coesione finora inossidabile va in frantumi quando si deve decidere a chi toccherà il potere.

Dunque l’azione parte la sera del 28 febbraio del 1953, e racconta le 72 ore prima, durante e dopo la morte del dittatore georgiano del titolo (lo interpreta con perfetto torpore senile Adrian Mc Loughlin), che vediamo più che mai in preda alle sue più o meno innocue passioni (i western, le barzellette, accoppare i nemici presunti o reali) e circondato da seguaci impegnati a ossequiarlo e poi di colpo a cancellarne le tracce. Primo tra tutti il famigerato ministro degli interni Berja (gli dà volto diabolicamente comico Simon Russell Beale), maniaco sessuale e triplogiochista, tutto il giorno alle prese con l’aggiornamento delle liste dei nemici del popolo da eliminare. Giorni che hanno cambiato la storia e non solo della Russia, allora Unione Sovietica, ma del mondo intero, come si leggerebbe sugli odiosi libri di testo in mano al sadico studente fuori corso di prima, desideroso di farsi beffe dell’intero Presidium.

Dichiarata all’istante ai posteri la sua insostituibilità, si passa alla guerra di tutti contro tutti per succedergli. Kruscev, appoggiato dal granitico generale Zukov (Jason Isaacs, esilarante) convince il pavido erede designato Malenkov (Jeffrey Tambor) che il primo da far fuori è Berja, cosa che nel film vediamo accadere quasi in contemporanea con i funerali di Stalin (per brevità e compattezza comica di racconto): fu realmente subito detronizzato, sparendo in circostanze, corpo compreso (qui è fucilato e cremato in diretta) mai chiarite. Ne scrisse poi, nella sua rievocazione letteraria di quei tempi, anche Svetlana, figlia del grande defunto, di cui nel film Andrea Riseborough fa un ritratto di donna disorientata ma razionale, l’opposto esatto del fratello Vassilij (Rupert Friend), pecora nera della famiglia, ubriacone stupido, incosciente e impresentabile, che è forse il personaggio meno riuscito del film.

La soprattutto decorativa pianista Maria (Olga Kurylenko, già Bond girl e star di La corrispondenza, brutto film di Giuseppe Tornatore) risulta invece personaggio fondamentale, perché la lettura di una sua missiva al temutissimo e odiatissimo Stalin, recapitata nella custodia di un disco del concerto che il compagno presidente esige di ricevere registrato in diretta (e non essendo questo stato fatto si risuona tutto il programma col direttore d’orchestra in pigiama, scena d’apertura tra le più esilaranti del film), ne provoca appunto la morte per emorragia cerebrale nella dacia di Kountsevo, essendo zeppa di insulti e frasi livorose a lui dirette dopo l’eliminazione della famiglia della solista. In assenza di medici competenti, tutti rinchiusi nei gulag, la salute del “piccolo padre” moribondo era finita nelle mani di grotteschi sostituti. Con gli esiti fatali che tutti sanno.

Non tutto il materiale comico di Morto Stalin se ne fa un altro, che viene da una graphic novel francese di Fabien Nury (sceneggiatura) e Thierry Robin (disegno), è inedito o di primissima mano, bisogna ammetterlo, e a tratti lo sbozzo rapido di caratteri e situazioni fatica ad arrivare ai risultati desiderati. Ma è abbastanza curioso l’effetto che raggiunge il film, mescolando discorsi in controluce anche serissimi sulle purghe, le retate, lo strapotere del partito e dei suoi capi, con l’oggettiva piccolezza e comicità, fin dai tratti somatici e psicologici, degli storici protagonisti, vecchia lezione chapliniana che non passa mai di moda, se usata da professionisti. È una surreale black comedy che trova, spesso con successo, lo humor nell’orrore storico.

Iannucci gioca grottesco e tragico e l’effetto dell’assurdo diventa implacabile. Milioni di sostenitori, devoti e in buona fede, si mobilitano per assistere alle esequie di Stalin, ma vengono prima bloccati, nel loro pellegrinaggio, dalla polizia segreta, poi rimessi in marcia dall’esercito per partecipare al funerale kolossal, finché si assiste allo spettacolo, comico e tragico insieme, di staliniani forsennati uccisi per strada da altri staliniani forsennati. La “ricostruzione” di Iannucci è dichiaratamente in bilico tra fantasia e realtà, e va più verso la prima, in verità: ma è ben presto è evidente che ciò che è inventato probabilmente è quel che sembra più vero, mentre alcune assurdità potrebbero davvero essere accadute.

Morto Stalin se ne fa un altro, di Armando Iannucci, con Olga Kurylenko, Andrea Riseborough, Rupert Friend, Steve Buscemi, Jason Isaacs, Jeffrey Tambor, Simon Russell Beale, Adrian Mc Loughlin, Michael Palin

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