Mega-superman si destreggia tra ritmi pop, colori pastello e gag rivedibili

In Cinema

il Clark Kent di David Corenswet è forse la scelta più convincente del regista creatore James Gunn, impegnato in una nuova rivisitazione delle avventure dell’uomo d’acciaio. In cui si cerca di fare troppo e tutto insieme: il film prova a essere un reboot ma parla anche di politica (tra Ucraina, Pakistan o Cisgiordania); prova a far ridere ma vorrebbe dire qualcosa; prova a puntare su un personaggio e poi ne aggiunge a decine. Ma soprattutto vorrebbe rivolgersi a tutti e invece restringe il campo ai soliti fan

È un uccello? È un aereo? No, è James Gunn che scappa col malloppo, dopo aver messo a segno con successo, o almeno così pare dalle prime indiscrezioni, l’ennesimo crimine contro la super-umanità. Il suo nuovo Superman è quel film di cui vorresti disperatamente parlar bene e basta, e che invece casca inesorabilmente nel solito marchio di fabbrica del suo deus ex machina, fatto di musica pop, colori pastello e gag imbecilli a tirare la risata anche quando non serve. Se l’obiettivo, più o meno dichiarato, era quello di smantellare pezzo per pezzo gli eccessi di serietà e mitizzazione del personaggio visti nello “Snyderverse” del suo predecessore, per trasformarlo in un Guardiani della Galassia 2.0, allora missione decisamente compiuta. Certo è che, con simili premesse, l’idea di un potenziale crossover con il recente lato più dark del mondo DC Comics, ovvero quello del Batman di Reeves, è da far tremare i polsi.

Eppure non tutto, in questa ottava trasposizione su grande schermo (più svariate apparizioni qua e là) delle avventure di Nembo Kid, è da buttare: anzi, proprio il Clark Kent/Superman di David Corenswet è forse la scelta più convincente di tutto il reboot. Peccato che il mastodontico nuovo volto dell’ultimo kryptoniano debba dividersi la scena più o meno alla pari con un cane col mantello, realizzato pure maluccio in CGI, simbolo perfetto dello stile di Gunn. Lo scodinzolante super-bastardino Krypto, esibito con orgoglio fin dai primi trailer diffusi online, è la “carta a sorpresa” (le virgolette sono d’obbligo, alla centesima gag con coda e collare) del regista, giocata a più riprese e senza vergogna per stemperare a casaccio i rari momenti seriosi o risolvere gli inevitabili cul de sac di una sceneggiatura fatta per stupire, prima che per convincere.

Vero è anche che la storia cinematografica pre-Snyder del supereroe per eccellenza, dal ciclo di Donner al sequel/remake di Singer, non si era mai distinta per toni adulti, trovando piuttosto fin da subito nelle atmosfere fumettose da cartoon la declinazione più rassicurante e family-friendly richiesta dal personaggio. Dagli assistenti scemi del malvagio Lex Luthor al tema musicale originale di John Williams, è proprio da quell’idea che sembrerebbe voler ripartire il neo co-presidente plenipotenziario Gunn per rifondare l’immagine dei DC Studios, al punto di sovraccaricare la pellicola di superamici e nemici da poter poi ripescare in sequel, spin-off e simili, sulla falsariga di Avengers e soci.

Forse anche per questo il suo Kal-El è più umano degli umani: perde, sbaglia, si arrabbia, ha genitori anziani e problemi con le donne. In lui non c’è nulla di alieno o divino, né di invincibile a priori, se non la capacità e la voglia di tirarsi su dopo ogni caduta, per provare e riprovare ancora. È il ragazzone di campagna visto in alcune graphic novel come la splendida Superman for All Seasons di Jeph Loeb e Tim Sale, ingenuo e istintivo, disarmante incarnazione di bontà fino alle estreme conseguenze. Tutto il contrario del crudele e calcolatore Lex Luthor, a cui però Nicholas Hoult, forse peccando di gioventù, proprio non riesce a dare il carisma di illustri precedenti come i veterani Gene Hackman o Kevin Spacey.

Nella parata di coprotagonisti che affolla le due ore abbondanti di proiezione, menzione d’onore per Rachel Brosnahan, pluripremiata star della serie La fantastica signora Maisel, capace finalmente di donare al personaggio della giornalista Lois Lane uno spessore e un carattere ben al di là della solita donzella in perenne pericolo. Rivedibili quasi tutti gli altri, più per problemi di scrittura che di interpretazione: Edi Gathegi, nei panni del geniale Mister Terrific, è intrappolato in dialoghi intrisi di cliché dell’eroe afroamericano, mentre il fedelissimo di Gunn Nathan Fillion ripaga solo in minima parte le attese generate dal suo Guy Gardner, uno dei personaggi più amati e odiati dell’intera galassia DC Comics.

Cose che capitano, quando si cerca di fare troppo e tutto insieme: Superman prova a essere un reboot ma anche un film politico (con riferimenti fin troppo ovvii a Ucraina, Pakistan o Cisgiordania), prova a far ridere ma vorrebbe dire qualcosa, prova a focalizzarsi su un personaggio ma aggiungendone a decine, e catapultando lo spettatore proprio nel bel mezzo di tutto questo. Ma, soprattutto, vorrebbe essere un film per tutti, come sarebbe sacrosanto pretendere da qualsiasi versione cinematografica della storia dell’uomo d’acciaio. E invece, forte delle sue convinzioni, James Gunn promette rivoluzioni ma finisce ancora una volta per restringere il campo, rivolgendosi ai suoi fans e a pochi altri, con un prodotto confusionario e fracassone nella forma ma fin troppo elementare nella sostanza. Un film che, per citare i suoi protagonisti, vorrebbe spacciarsi per punk rock, ma alla fine è il solito pop.

Superman di James Gunn, con David Corenswet, Nicholas Hoult, Rachel Brosnahan, Edi Gathegi, Nathan Fillion, Anthony Carrigan, Isabela Merced

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