Hitler è tornato

In Cinema

“Lui è tornato” di David Vnendt mette in immagini il best-seller sulla “resurrezione” del Fuhrer

In questa sciagurata epoca di nazi-revival, in cui partiti nostalgici vincono elezioni in mezza Europa offrendo versioni più o meno rimodernate del cocktail di razzismo, intolleranza e follia che il Fuhrer portò alle estreme conseguenze, concludendo la sua sciagurata avventura politico-militare con parecchie decine di milioni di morti sulla coscienza, un libro intitolato Lui è tornato ha venduto un paio d’anni fa oltre 2 milioni di copie solo in Germania, venendo poi tradotto in oltre 40 paesi, Italia compresa, dagli Usa alla Russia. In quel volume dalle intenzioni anche ironiche, Timur Vermes s’interrogava su quale impatto avrebbe avuto nella Germania contemporanea un’immaginaria riapparizione di Hitler.

Visto il successo letterario e le evidenti potenzialità narrative, il cinema s’è impossessato dell’idea e il 40enne regista tedesco David Vnendt, alle spalle un paio di film su disagi adolescenziali (tra cui Kriegerin, storia di Marisa, appassionata militante di una gang neo-nazi, appunto), con una certa dose di coraggio ha deciso di misurarsi mettendo in immagini questa inverosimile storia, che inizia con una sorta di vera resurrezione del Fuhrer, nell’ottobre 2014, in un giardinetto berlinese che dovrebbe corrispondere, in superficie, ai locali del bunker dove si era sparato 70 anni prima.

Adolf, cui dà vita (è il caso di dirlo) con una certa verve Oliver Masucci (nato a Stoccarda ma di evidenti origini italiche), trova rifugio dapprima in un’edicola, e poi dà il via a una sorta di estemporanea delirante predicazione aggirandosi per le vie della città. In divisa di allora, perfettamente (con qualche approssimazione sul piano somatico, magari) riconoscibile, incontra i cittadini d’oggi che in gran parte, soprattutto i giovani, non lo riconoscono, nel senso che non sanno proprio chi è stato nella storia, o almeno non hanno in mente l’aspetto. Ma la parte più inquietante di un film che gioca sul registro della commedia ma non disdegna i toni preoccupati e qualche conclusione sociologica da pamphlet, sta nel fatto che molti dei tedeschi di oggi sono perfettamente daccordo con lui, lo voterebbero, in parte addirittura lo rimpiangono.

E il mokumentary di Vnendt, che alterna parti di fiction, facendo di Hitler una star di una stazione tv privata, e verissime interviste raccolte in mezza alla strada, con il corredo visivo di panoramiche su plaudenti folle, neanche tanto piccole, suggerisce l’ipotesi che in fondo la distanza tra Hitler e molti predicatori d’odio in giro per il mondo d’oggi non è poi così immensa. E che quest’uomo che parla come un nostro trisavolo, e dice cose spaventose ma assai concrete, mescolandole a riferimenti storici incomprensibili ai più, avrebbe un carisma più che rispettabile anche nel Duemila.

Certo, c’è chi si fa il selfie con lui credendo che sia un attore – accorgendosi, forse, delle telecamere del film – e per sdrammatizzare i toni la storia ce lo regala fanciullescamente entusiasta per internet e la tv (una mezzo dalle straordinarie possibilità, peccato che trasmettano solo scemenze con cuochi e gattini, come dargli torto…). Ma alla fine si esce dal cinema comunque con i brividi, pensando che il test del popolo tedesco ci conferma che la storia spesso non ha memoria. Potrebbe tornare davvero, qualcuno come lui? Probabilmente no, molte condizioni storiche sono diverse (ma altre, come crisi economica e imponenti migrazioni no), ma già altre volte, in passato, si è detto: figurati se la gente ascolta uno così pazzo. E se ne son visti gli esiti.

Lui è tornato, di David Vnendt, con Oliver Masucci, Fabian Busch, Christoph Maria Herbst, Katja Riemann, Franziska Wulf

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