Non son solo canzonette. Luciano Tajoli e la Milano di Bianciardi

In Interviste, Musica

Si chiama “Il Tajoli” ed è un’osteria immersa nella periferia milanese raccontata da Luciano Bianciardi nella “Vita agra”. Qui a due passi dalla Fondazione Prada che sta cambiando faccia al quartiere, Luigi, di professione oste, ci racconta della sua passione per il cantante melodico vincitore di Sanremo

“Al di là del sogno più ambizioso ci sei tu”.

Se vi pare impossibile sentir pronunciare una frase del genere a Milano, la città dei lavoratori single e delle inesauribili tentazioni sentimentali, sappiate che circa una sessantina di anni fa, il milanese Luciano Tajoli, la cantava con il suo timbro limpido e melodico al Festival di Sanremo del ’61. E vinceva pure.

Ne è passata di acqua sotto i ponti, soprattutto da quella generazione del dopo guerra che si affacciava carica di speranze e sentimento al rapido sviluppo economico dei ’50. Milano ne uscì particolarmente stravolta. Oggi si vive tra il virtuale e l’usa e getta, nel turbinio di una “bulimia dell’esperienza” per cui ci si sente perfino in colpa a dire “basta”.

Sebbene sia un’esistenza a tratti divertente, varia e quindi irrinunciabile, sarà successo un po’ a tutti di trovarsi di fronte a quella sensazione di “vita agra” così ben diffusa nel racconto di Bianciardi, un altro Luciano indissolubilmente legato alla sopravvivenza nella città del boom industriale.

Ma la malinconia per la sacralità di alcuni sentimenti del passato rivive in posti nascosti, come usa fare questa città introversa che sfida apertamente il “sentirsi bene” lanciando un chiaro messaggio: «venitevelo a cercare!». Nulla è offerto su un piatto d’argento, bisogna impegnarsi e scoprire angoli di nuova o trascorsa bellezza. Ed ecco un consiglio: via Brembo 11, non distante dalla fermata Lodi della metro gialla, in una semi periferia battuta da una manciata di residenti, lavoratori e turisti perlopiù stranieri diretti verso la Fondazione Prada.

Il signor Luigi, l’oste che ha aperto il locale nel ’75, ci spiega in questa intervista del suo legame con il cantante Luciano Tajoli e del rapporto che lo lega a Milano e alla sua osteria, dove il tempo sembra non passare mai – e, badate bene, non è il freddo calcolo di un designer che vuole rifarsi al neorealismo. È solo una scelta del cuore, il Suo.

Signor Luigi, ci spieghi il perché di Luciano Tajoli. Cosa aveva in più degli altri cantanti di successo negli anni ’50, Claudio Villa tra tutti, che l’ha spinta a dedicargli il lavoro e la passione della sua vita?
Luigi – Io di Luciano Tajoli sono molto, molto appassionato, nel mio ristorante canto tutte le sue canzoni. Prima di tutto è nato in via Oglio, che è proprio qui vicinissimo [a via Brembo]. E poi è proprio Milanese. A lui la canzone italiana deve tantissimo, è quello che ha dato il via alla canzone melodica come oggi la conosciamo, poi è arrivato Modugno…ma prima di tutto c’era Tajoli ed è stato il primo cantante in Italia per 10 o 15 anni almeno…prima di Claudio Villa, che poi l’ha un po’ oscurato.

Come spiega il fatto che ad oggi, Luciano Tajoli non è un nome molto conosciuto, parlo almeno per la mia generazione nata dal 1980 in poi, mentre Claudio Villa si è affermato di più nella storia della canzone?
È tutta questione di apparenza, Tajoli lo nascondevano, non era molto bello e poi era poliomelitico, doveva appoggiarsi sempre a qualcosa per esibirsi altrimenti non ce l’avrebbe fatta. Non rendeva bene neppure in televisione. Villa no, Villa era prestante e ammetto che è stato il più grande cantante di musica leggera italiana conosciuto in tutto il mondo. Però alla base di tutto questo c’era stato “il cantato” di Tajoli.

Nel suo locale, il sabato sera fa il karaoke in cui Lei stesso si esibisce cantando molto del suo repertorio. Il locale è frequentato da tanti giovani, sui 30 anni… Che rapporto hanno col melodico italiano?
I giovani rimangono a bocca aperta. La televisione ha sempre nascosto questo genere di musica, almeno da quando sono nati. Così che sono incuriositi, ascoltano. Le canzoni di Tajoli sono come degli insegnamenti. A volte veniamo derisi ma io credo che un giovane oggi rimanga colpito da queste frasi, dai valori che portano…non sono abituati.

Tajoli è venuto nel suo locale? Come ha preso il fatto che gli venisse dedicato un ristorante?
L’ho aperto nel ’75, ormai 41 anni fa… Tajoli l’ha saputo ed era contentissimo ma all’epoca non poteva già più muoversi molto per la sua malattia. Così mi ha lasciato una foto con dedica nel ’79 che io espongo con orgoglio.

Lei propone un posto tipico e fortemente ancorato alla realtà più verace della città. Come ha visto evolversi Milano in tutti questi anni?
Ho visto tanto di Milano, pensi che prima il mio era un locale notturno, apriva tutte le sere dalle 8 a mezzanotte e ogni sera c’era il karaoke. Ho fatto così per 20 anni… Poi invecchiando non abbiamo più potuto sostenere i ritmi, è un posto dove ci lavora da sempre la mia famiglia [moglie e figlio] perché è difficile che tra i giovani cuochi che escono dalle scuole ci siano persone capaci di fare i vecchi piatti tradizionali, abbiamo serie difficoltà a trovare aiuti che non stravolgano la cucina tipica. Noi offriamo da sempre le solite cose, dalla trippa, alle quaglie, agli ossibuchi…tutto alla vecchia maniera. Vogliamo restare a livello popolano, mantenere un carattere amichevole. Ci troviamo in un quartiere abbastanza brutto, qui intorno ci sono state tante rapine…ma da me mai, forse grazie alla mia accoglienza, al sorriso. Penso che la miglior arma per dirigere un locale sia la gentilezza, che è una cosa innata che ho io, non lo faccio apposta…ed è una qualità potentissima per evitare grane e far ritornare la gente. Sento che molti mi vogliono bene.

Mi pare dalle sue parole di capire che ha uno spirito molto romantico. Si definirebbe così, “uno degli ultimi romantici”?
Sì! Sono romantico anche quando canto le canzoni il sabato sera. Perché le impersonifico: chi mi ascolta deve vedere un film, una storia. Per questo gesticolo, il mio karaoke è uno spettacolo vero e proprio. Pensi che il più bel complimento che abbia mai sentito al mio locale l’hanno fatto due donne, due belle donne che, si vedeva, appartenevano alla società alta. Uscendo parlavano tra loro e hanno detto “è un posto molto romantico”. È la cosa più bella che abbia mai sentito. Un uomo quando conosce il romanticismo si trasforma, diventa un altro uomo.

A questo punto deve dirmi quale canzone d’amore dedicherebbe a una donna che ama o che ha amato
Dio come ti amo di Modugno è la più bella che conosca.

Oltre a Tajoli, quali altri cantanti avrebbe voluto o vorrebbe ospitare nel suo ristorante?
Tutti quelli della generazione Tajoli e Villa, come Consolini, Virgili e Ferruccio Tagliavini. Tra i viventi, Celentano. È molto diverso il suo timbro e il suo modo di fare musica da quello che faccio io, ma ha lasciato un’impronta nella canzone italiana. E poi Battisti e Mina. Mina è fortissima e bellissima, è difficile trovare una donna del genere, ne capita una ogni 100 anni. Come la Callas che si era permessa di interrompere una propria opera davanti al Presidente Gronchi. Non tutti potrebbero farlo, vieni perdonato solo se sei un genio del tuo tempo. Qui a trovarmi ne sono passati un po’ di famosi, da Wilma de Angelis a Gianni e Marcella Bella.

L’intervista volge al termine. Lei è testimonianza di una parte di storia della città e della nostra cultura, avrebbe qualche consiglio da lasciare ai giovani che passano nel suo locale o alle nuove generazioni in generale?
È difficile essere giovani oggi, io li capisco: non sanno più cosa fare. Io ho iniziato 40 anni fa e c’erano tante idee nuove da sviluppare, oggi c’è troppa concorrenza per tutto, mi rendo conto che è molto più difficile emergere. Anche se io penso che le cose e le mode tornino, prima o poi. Penso che ritornerà anche la canzone anni ’40-’50! Quello che posso suggerire ai giovani sono cose semplici: non isolarsi, mantenere sempre un gruppo di amici con cui confrontarsi e parlare. Vedo pure che c’è tanto menefreghismo verso il prossimo… si fa finta di non capire certi valori perché si fa solo ciò che si sente di fare, come se bisognasse essere sempre “sfrenati”. Poi non bisogna creare ghetti a seconda delle apparenze delle persone, non è perché uno è più povero e si veste peggio non debba essere considerato da uno che si veste meglio, perché più ricco. Io sento di vivere in un mondo con tanta nostalgia…ma la nostalgia sono i ricordi di una vita ed è bellissimo avere un gruppo di amici con cui ricordare.

Quale canzone di Tajoli vorrebbe lasciare da ricordare, al termine di questa intervista?
Buonanotte mamma, è meravigliosa. Si interroga di cosa pensa una madre mentre sta sognando…

Qualche tempo fa, passeggiando in via Brembo, scorgo il cartello “Cedesi attività al miglior offerente” su una vetrina del ristorante. La notizia mi aveva un po’ rattristata. Così, al termine dell’intervista, ho domandato al signor Luigi se effettivamente abbandonerà Tajoli dopo più di 40 anni di attività. Ma, ecco il lieto fine: «No, non la cediamo più. Mia moglie ha una certa età, era stanca di stare sempre in cucina, da sola… ma abbiamo fatto in modo di trovare degli aiuti».
La storia d’amore continua.

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