Cent’anni di Linea d’ombra

In Letteratura

A cento anni dall’uscita di “Linea d’ombra” di Conrad ripercorriamo le vicende di questo meraviglioso libro attraverso un viaggio filosofico, dal ponte della nave Orient per approdare alla filosofia di Heidegger

Disorientamento. A-temporalità.

Termini forti ma essenziali e sufficienti a definire il senso di spaesamento e angoscia di cui La linea d’ombra è pregna a tal punto da sconfinare in alcuni casi nella pazzia più totale. Il paragone con la linea filosofica di Heidegger, infatti, è palese e ci permette di confrontare il vacuo e inquietante respiro conradiano, con il senso di spaesamento che, secondo il filosofo tedesco, l’uomo prova di fronte al mondo e di fronte soprattutto al proprio “Essere”.

Esattamente un secolo fa, il doppiamente straniero Joseph Conrad pubblicò per la prima volta un romanzo breve (si parla di neanche 200 pagine) nel quale il tema avventuroso di età vittoriana si intreccia e si macchia di una componente soprannaturale – se vogliamo gotica – nascente nel filone neo-modernista inglese.
L’avventura per mare del giovane neo-capitano (figura di Conrad stesso per intenderci) riprende fortemente alcuni aspetti autobiografici mixati in un cocktail di avventura e inquietudine, che rendono godibile sino in fondo la lettura del romanzo; è quasi come se l’autore ci renda partecipi della lenta costruzione di un castello, senza però privarci dell’oscurità misteriosa che si cela al suo interno.

Aleggia infatti, e rimane sullo sfondo per tutta la narrazione, il fantasma dell’ex-capitano della nave, malvagio fattucchiere ritenuto il responsabile principale delle sfortune in cui l’equipaggio si imbatte durante tutto il viaggio; componente mistica o psicologico-ideale? Sta al lettore conferire peso alle continue deliranti affermazioni di Burns, capitano in seconda e “profeta grottesco” della ciurma. Il periodo di pubblicazione lascia velato, sullo sfondo, lo scenario sempre presente della Prima Guerra Mondiale, tastabile con mano a causa della forte tematica “cameratista” e ancora più percepibile nei continui riferimenti alla mancanza di temporalità; come in un quadro grigio monocolore, il lettore si ritrova infatti immerso in una dimensione priva di qualsiasi riferimento spazio-temporale, quasi soprannaturale, la quale è principalmente la causa voluta del lento incedere della lettura.

Parallelamente al viaggio vero e proprio, l’autore ci apre una porta verso la dimensione psicologica dei personaggi, in particolare del protagonista, andando a delinearne lo sviluppo e il cambiamento nel corso della narrazione. Definito da molti come un bildungsroman, ossia un “romanzo di formazione”, volto a seguire passo per passo la crescita del personaggio dal punto di vista psicologico e ideale, più che fisico, già dal titolo, sebbene in parte criptico, si può dedurre come quella “linea d’ombra” simboleggi il confine tra l’età adolescenziale e quella adulta. Il tema del self-made man come direbbero gli inglesi, è dunque più che presente, se non palese agli occhi di un attento lettore medio. Conrad delinea dunque un doppio viaggio, lasciandoci fluttuare nel silenzio solo apparente di una dimensione introspettiva, per poi riportarci costantemente sulla terraferma, o per meglio dire, sul ponte di prua. La figura del capitano è tutto ciò che di più lontano c’è dallo stereotipo del marinaio/pirata che il lettore sarebbe portato ad immaginare (un Jack Sparrow per intenderci), bensì è un comune uomo attanagliato da costanti paure e incertezze che pesano sulle sue spalle come un macigno troppo grosso; la spedizione infatti mette a rischio la salute di tutto l’equipaggio, trascurando però il protagonista, pervaso dunque da un senso di colpa insostenibile per aver condotto la sua nuova ciurma in “acque maledette” (Golfo del Siam), come le definisce Conrad.

Sta succedendo qualcosa nel cielo, come una decomposizione, una corruzione dell’aria, che pure rimane immota come sempre. Dopo tutto sono semplici nuvole, che non è detto che portino vento o pioggia. Strano che io ne sia così turbato. Mi sento come se tutti i miei peccati mi avessero messo allo scoperto. Ma forse sono turbato perché la nave resta ancora immobile, senza controllo; forse perché non posso far nulla per impedire alla mia immaginazione di correre sfrenata fra immagini disastrose del peggio che si può abbattere su di noi. Che cosa accadrà? Probabilmente nulla. O tutto. Forse sta arrivando un furioso turbine di vento, il colpo di grazia. E sul ponte ci sono cinque uomini con la vitalità e la forza, diciamo, di due. Tutte le nostre vele potrebbero esserci strappate. Abbiamo spiegato tutte le vele fin da quando ci siamo aperti un varco alla foce del Menam, quindici giorni… o quindici secoli fa. Mi sembra che tutta la mia vita prima di quel giorno fatidico sia infinitamente remota, il ricordo evanescente di una giovinezza spensierata, qualcosa dall’altra parte di un’ombra. Sì, le vele possono benissimo venir strappate. E questo sarebbe come una condanna a morte per gli uomini.”(…)

Il senso di depressione, preoccupazione, ma soprattutto “angoscia” che si tasta quasi solido in questo estratto, ci permette di ritornare alle considerazioni iniziali su quel termine criptico (heideggerianamente), che meriterebbe di essere spiegato meglio. Prendendo spunto da Essere e Tempo (Martin Heidegger, 1927), e volendo fornire una sfumatura esistenzialista al passo, la figura del protagonista si delinea come un personaggio che tramite il dialogo interiore con la propria mente, vive uno di quelli che Heidegger definisce “momenti di autenticità”, ossia momenti durante i quali un individuo (Esserci) viene messo davanti al proprio EssereNelMondo e sperimenta dunque quello che per Heidegger è un sentimento indispensabile per il raggiungimento della totalità dell’essere: l’angoscia. Questo sentimento proprio dell’uomo, pone l’Esserci al cospetto del proprio essere, lasciandolo fluttuare in un vuoto caratteristico di autenticità; vuoto dal quale, però, l’individuo tende costantemente a fuggire, rifugiandosi nella “deiezione”, ossia nella quotidianità della vita di tutti i giorni definita “in-autentica” da Heidegger, poiché non permette all’uomo di scandagliare il proprio essere, la propria anima potremmo dire. Vita autentica e in-autentica si intrecciano, proprio come realtà effettiva e introspettività si legano strette in questo romanzo. E’ chiaro che poche righe non bastano, e non sono nemmeno un frammento del più piccolo degli ammassi di neve presente sull’iceberg del pensiero di Heidegger, ma inquadrano in qualche modo quello che Conrad vuole far arrivare al lettore dalla lettura di questo, come di tanti altri passi: spaesamento, disorientamento, confusione, paura. E’ ormai chiaro che questo romanzo non disegna la comune immagine di pirati saccheggiatori e bandiere nere con ossa incrociate, né tanto meno si possono udire canzoni rocambolesche partorite dalla mente di qualche bardo ubriaco di rhum, ma sicuramente trasporta il lettore attraverso un viaggio più mentale che fisico, più cervellotico che banale, insomma diverso dalle aspettative.