Il 28 maggio scorso si è tenuta la lezione aperta di The Momentary Now School of Performance, progetto dell’artista Marcella Vanzo da Zona K a Milano. Per un’ora sette performance hanno invaso l’intero spazio: Quando il mondo mi porta via non so dov’è la mia scrivania di Lorenzo Cattel, Veglia di MariCeleste, Non posso più tornare indietro di Veronica Talamona, The dull sound fo our wings di Alice Muratore, INUTILE – ca**o la spazzatura! di Noemi Garini, Tra le dune di Caterina Lanza e Nothing to laugh about di Marina Araki. La storica dell’arte, critica e curatrice Paola Tognon ha rivolto qualche domanda a Marcella Vanzo per saperne di più.
Che cosa è The Momentary Now School of Performance?
Ho sempre pensato a TMN, corso fatto di una dozzina di incontri di 3 ore ciascuno tra febbraio e maggio da Zona K, come a una scuola di avviamento professionale. La performance è una forma d’arte relativamente recente – diversamente dall’incarnazione del rito, che nasce come performance dall’inizio dei tempi – e nelle accademie non esiste ancora un corso dedicato. TMN, già al sesto anno, è uno spazio e un momento per approfondire cosa significa performare, per farlo in un contesto protetto, per conoscere il limen e mettersi alla prova e per trasformarlo effettivamente in un progetto artistico. Per creare gruppi di performer.

Chi è Marcella Vanzo?
Sono artista e docente. Il mio lavoro attraversa zone, circostanze e tempi diversi, cerca, trova e si adatta. Non si distingue da me. Con gli occhi sento, con le mani snodo, con i denti faccio. Parto dal corpo e non arrivo troppo lontano. Interpreto attorcigliandomi, scattando, scolpendo, disegnando. Utilizzo argilla, stoffa, oggetti, segni, telecamere, carta, parole, voce e corpo, il mio, quello altrui.
Nascono video, fotografie, disegni, collage, performance, poesie e opere che a loro volta posso assemblare in installazioni.

Come mai la scuola si chiama The Momentary Now?
Perché condensare la performance in un titolo è complesso, ma la sua essenza è stare qui adesso. Nel presente e nel luogo in cui ci si trova, in contatto con tutte le energie che vengono dal progetto artistico di una persona in uno spazio preciso, in relazione col pubblico. Mi è venuto in mente al mare, nuotando, questo titolo, e non l’ho messo in questione. L’unico momento che abitiamo è il presente, è un momento che passa veloce, ma che resta sempre qui. L’importante è accorgersene, abitarlo.

Perché ZONA K?
Perché è uno spazio bellissimo in cui lavorare. Perché è un centro importante d’ascolto, registrazione e diffusione di realtà. Perché le due Valentine hanno antenne lunghe e potenti, cercano, ma soprattutto trovano. Perché Silvia è straordinaria. Perché ho avuto la fortuna di conoscere presto Valentina K e con lei scorribandato mentre entravo in Accademia e lei usciva dalla Paolo Grassi. Mi hanno invitato con la mia performance Quei 2 da Zona K e poi mi han chiesto se avevo un’idea per un corso.

Come si svolgono gli incontri?
Annusandosi e scontrandosi, guardandosi a lungo negli occhi, camminando molto molto molto molto molto lentamente. Imparando a conoscersi, stanando la polvere sotto il tappeto e i ragni dagli angoli. Mettendosi in ascolto, toccandosi – dopo aver firmato la liberatoria per farlo. Un misto di teoria e pratica. Poi quando si è pronte/i, preparando, poi presentando, il proprio progetto a un pubblico professionale e non. Sempre in una situazione di dialogo e di confronto, con il supporto prezioso del comitato scientifico: Andrea Contin che ci racconta curatela e produzione di performance e Giulia Alonzo che ce ne racconta la storia e lo sviluppo.

Chi sono le/gli studenti?
In ordine sparso. Caterina, che attraversa la strada con una valigia enorme, entra dentro Zona K, la attraversa, si ferma in controluce, da quella valigia estrae e monta un intero salotto sottovuoto e ci si mette a giocare. Lorenzo, che ci invita e ci accoglie nel suo mondo fatto di calma e riflessione, tra libri di poeti e filosofi, birra e sigarette ma soprattutto movimenti lentissimi. Veronica, che si trasforma in una persona che prima non c’era. Noemi, così sovrappensiero che si è dimenticata di togliersi i vestiti sotto la doccia. Marina, che esplode in una risata che esplode spazio e tempo e performance altrui e le coinvolge. MariCeleste, che performa un rito sacro ad alta voce, intrecciando trame familiari fatte di cesure e strappi.

Quali gli obiettivi sviluppati nel 2024/25?
Mettere insieme un piccolo gruppo ben selezionato e lavorare in profondità sulla qualità.
Siamo, loro e io, molto contente del risultato.
The Momentary Now School of Performance by Marcella Vanzo, c/o zona K, Milano
In copertina: Marcella Vanzo, foto Filippo Romano