Letti ieri, letti oggi (19): Madame Bovary

In Letteratura, Weekend

Riprendere in mano Madame Bovary per meglio scrutare il marchio di infelicità che pesa sulle donne del romanzo che portano quel cognome: naturalmente Emma, che si è fidata della letteratura ma si è trovata dentro a un baratro di dolore, e le altre

Brevissima premessa: la rilettura di Madame Bovary mi ha tormentato una porzione di estate. La dovizia di dettagli, l’ineluttabilità delle situazioni in cui i personaggi si ritrovano e l’esito finale, peraltro già letti e riletti in passato, non mi hanno dato tregua. Mi si sono in compenso stampate nella mente e allineate come in una galleria quattro figure femminili, tre mogli e una figlia, legate tra loro per affinità di destino e per cognome, Bovary: quasi un presagio di sicura infelicità.

La prima è senza nome, solo una perifrasi ‘la figlia di un merciaio’ e tale resterà fino a quando non sposerà Charles-Denis-Bartholomé Bovary. Da quel momento diventa ‘la moglie’ e quando nasce il figlio, a cui verrà imposto lo stesso nome del padre, Charles, diventa ‘la madre’, in ogni fibra del suo essere, e tale resterà fino alla fine del romanzo. Una madre padrona che, ormai lontana dal marito millantatore e dongiovanni che l’ha sposata per agguantare una dote considerevole, riversa sul figlio energie, attenzioni e aspettative ambiziose che Charles non è in grado di soddisfare. Parla solo con lui, pensa a lui, lo vizia ‘come un principe’ nonostante le difficoltà economiche sopraggiunte, lo sopravvaluta e quando viene a sapere che non ha superato l’esame finale del corso di studi di medicina, non batte ciglio. Non si sa come, ma quando Charles ripete la prova, conosce in anticipo tutte le domande e ottiene il massimo dei voti. Indimenticabile giorno per lei, che comunque ha ancora compiti importanti da assolvere: trovargli un impiego e una moglie. Se ne fa carico con puntigliosa ostinazione. È Tostes, in Normandia, la destinazione del neo ufficiale sanitario che sostituisce l’unico e vecchio medico del paese.

La donna della sua vita è pronta, l’ha scelta la madre tra vari pretendenti che si fanno avanti per impalmarla. Non è bella la quarantacinquenne vedova Dubuc, anzi decisamente brutta, ‘secca impalata e piena di foruncoli come una primavera fiorita’, ma dispone di una rendita di milleduecento franchi.

La seconda Madame Bovary è lei, Heloise, candidata fin dall’inizio della vita coniugale, a raccogliere dalla suocera il testimone della tirannia sul marito, anzi a condividerne in toto il rigore persecutorio nei suoi confronti, senza però il beneficio della premura e della protezione materna.

Lo assilla con le sue immaginarie malattie, gli impone modalità di comportamento in pubblico, lo spia da una fessura quando visita le donne, gli lesina il denaro di cui è amministratrice, e sospetta continui e inesistenti tradimenti. E inoltre accade che all’improvviso del notaio depositario di tutte le sostanze di Heloise non si ha più notizia, lei resta senza nulla a parte la proprietà di una casa che ben presto si scopre essere gravata di ipoteche. Colpo durissimo per lei, in parte per Charles, ma soprattutto per sua madre che tanto si era spesa per questo matrimonio. A ciò si aggiunge il fatto che il marito si occupa con eccessiva solerzia di un paziente che ha una figlia giovane .

Costei non è solo giovane, ma anche bella, ‘di città‘, colta ed elegante. Si chiama Emma Rouault. Heloise non regge il peso degli eventi, è gracile nonostante i ricostituenti e sente su di sè il vuoto dell’alleanza con la suocera dopo il tracollo economico. E mentre sta stendendo i panni ha un’emottisi, otto giorni dopo spira mentre Charles, di spalle guarda fuori dalla finestra.

Se avessi la possibilità, come in Sliding doors di riservare ad Heloise un altro esito, avrei fatto almeno girare il marito mentre lei gli tende le braccia. Non sarebbe servito ad evitarle la morte, ma almeno una breve e ultima illusione di avere un po’ di attenzione da parte di lui.

Nel frattempo però si materializza Emma, indiscussa protagonista della scena e attorno alla quale s’incentra il fulcro della vicenda, peraltro già scritta nella cronaca nera di Rouen: Delphine Delamare, nata Couturier si è suicidata ingerendo acido prussico. Leggeva romanzi d’amore, tradiva suo marito e si era riempita di debiti. Aveva ventisei anni. Il romanzo di Flaubert in estrema sintesi è questo.

Ma Emma è personaggio di difficile collocazione. Legge molto  legge troppo e legge male, la realtà che la circonda le piace sempre meno. Sposa il dottor Bovary, va via finalmente dalla campagna, arreda la nuova casa con gusto, ma ben presto si sente soffocare dalla provincia, nulla assomiglia a ciò che legge; il marito non è abbastanza elegante, non tira di scherma, non sa nuotare, non le parla d’amore, non le sussurra frasi appassionate al chiaro di luna, non comprende la bellezza della poesia.

Si immalinconisce. Conosce un apprendista notaio e se ne invaghisce, ma lui deve partire per Parigi. Desidera fortemente vivere una storia d’amore e trova un amante, si seducono a vicenda ma lui, Rodolphe, è cinico e spregiudicato, lei gli si offre voracemente, lo ama , lo riceve in casa, va a cercarlo anche di notte infrangendo ogni convenzione sociale, anche perché ha avuto una bambina, indesiderata perché avrebbe preferito un maschio, la manda a balia per un tempo lungo e ingiustificato, va poco a trovarla.

La sua vita diventa un tourbillon di bugie, progetti di fuga, e spese, e ancora spese, fino all’inverosimile, fino a quando non compaiono in casa due curatori fallimentari che cominciano a inventariare mobili e oggetti. È l’inizio della fine. Charles fino ad ora non ha visto né sentito, che significa semplicemente che non ha voluto vedere né sentire, o forse no.

Sta di fatto che Emma è perduta, chiede soldi agli ex amanti ma le vengono negati.

Poi…Homais il farmacista, l’arsenico, bisogna trovare il modo per avere la chiave dell’armadietto, è l’unica soluzione.

Il resto è agonia, insopportabilmente lenta e atroce, l’esatto orrendo contrario di ciò che aveva pensato quando ha ingurgitato un pugno di quella polvere bianca, ‘mi addormenterò e sarà tutto finito’.

Rileggendo queste pagine ho di nuovo desiderato la doppia soluzione come in un romanzo interattivo, per esempio una morte veloce, soprattutto perché Emma si è fidata della letteratura e invece si è trovata dentro a un baratro di dolore. Epigono di Don Chisciotte, ma senza la fulgida e salvifica follia che consente di superare i confini della realtà.

Berthe, la bambina ormai cresciuta , la quarta donna Bovary, torna a casa e chiede della madre. Il padre le risponde in modo evasivo. Torna sull’argomento più e più di una volta, poi si arrende. Altro che Sliding doors per la ragazzina! Successi, bellezza, gioia e principi azzurri, un po’ o tutto di questo ci vorrebbe per lei, e invece…Charles, una volta scoperte le lettere ad Emma di Rodolphe e dell’ex apprendista notaio diventato suo amante, si dà all’alcool, si lascia andare e muore.

Berthe va stare con la nonna, la prima Madame Bovary, ma la nonna muore poco dopo. Se ne occupa una zia che però non può mantenerla e la manda a lavorare in una filanda.

La galleria finisce qui e forse quel marchio di infelicità è meglio comprensibile se si aggiunge il titolo completo del romanzo, un dettaglio da non sottovalutare, Madame Bovary. Moeurs de province.

 

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