L’amor cieco e profano al tempo dei trovatori

In Interviste, Musica

Festival de Música Antigua de Sevilla 2019

Riparte stasera la stagione dell’Accademia di Musica Antica di Milano. Al Museo della Scienza e della Tecnologia si terrà il concerto del gruppo laReverdie, esperto del repertorio medievale, che celebrerà la grandezza di Francesco Landini compositore cieco vicino a Petrarca. Del musicista e di altri affascinanti personaggi dell’epoca come Ildegarda di Bingen e Machaut ci ha parlato Claudia Caffagni, “voce” dell’Ensemble

Di “Amore profano” racconta la stagione dell’Accademia di Musica Antica di Milano che inizia stasera nella Sala delle Colonne del Museo della Scienza e della Tecnologia: sei concerti gratuiti (come tradizione) fino al  2 dicembre.  Il tema è quello che muove la poesia e la musica di ogni tempo. Ma il primo concerto intreccia storie curiose e sorprendenti, a cominciare dal gruppo che l’esegue, laReverdie, nato nel 1986 dall’incontro musicale di due coppie di sorelle che decidono di abbracciare repertori tra i più antichi e fascinosamente defilati. Un gruppo per quattro quinti femminile: Claudia Caffagni (voce, liuto), Livia Caffagni (voce, viella, flauti), Elisabetta de Mircovich (voce, viella, ribeca), Teodora Tommasi (voce, arpa e flauti), Matteo Zenatti (voce, arpa, tamburello).

Claudia Caffagni, storia quasi romantica la vostra. E non potevate scegliere un nome più beneaugurante: laReverdie è la poesia dei trovatori che cantavano la primavera, la rigenerazione.
Eravamo molto giovani all’epoca. Sì, era l’idea della primavera. La primavera della nostra vita. Non so se siamo già in autunno, di sicuro in un’estate inoltrata. Comunque lo spirito è rimasto quello. 

Il repertorio cui vi dedicate anima e corpo affonda nelle origini della musica europea, direi della cultura occidentale.
Sì, nel senso della musica di cui è rimasta traccia scritta. Abbiamo escluso il canto gregoriano classico. Ci siamo occupate anche degli Officii, ma si tratta di un repertorio che è stato aggiunto nel tempo, lungo la storia della cristianità: gli Officii non fanno parte della tradizione delle origini che i gregorianisti vanno a ricostruire. La figura più antica che abbiamo esplorato è Hildegard von Bingen, 1098, pieno dodicesimo secolo. In trentanove anni abbiamo indagato repertori sempre più ampi da angolature diverse. Grazie a temi specifici, come quello di Speculum Amoris, con cui abbiamo vinto nel 1993 il Diapason D’or e che ha lanciato la nostra carriera in maniera significativa, abbiamo potuto accostare brani molto lontani fra loro. 

Parliamo del canto nella sua dimensione creativa più individuale: poesia e musica. Che hanno sempre vissuto insieme.
Si sono sempre nutrite l’una dell’altra. Dopo le iniziali miscellanee, abbiamo esplorato il repertorio medievale, ancora vastissimo, per vie diverse. Studi individuali hanno portato ciascuna di noi a sviluppare progetti ben definiti, come le Laudi di Caterina da Bologna. É la strada che ci conduce al programma di Francesco Landini che eseguiamo stasera per l’Accademia di Musica Antica di Milano.

Per gli antichi moralisti l’occhio era “la porta del demonio”: dell’amore come peccato. Ma l’artista di cui cantate e suonate la musica, quella porta nemmeno non la vedeva.
È così: Francesco Landini a sette anni perse la vista dopo aver contratto il vaiolo. Nel Codice Squarcialupi è ritratto con l’occhio chiuso, simbolo della sua cecità. Il titolo che abbiamo scelto è appunto L’occhio del cor, che da un lato è un topos del tempo: io posso vedere la persona amata, percepirla anche attraverso il cuore. Ma nel suo caso c’era di più. Nella enorme produzione di Landini, ch’era il compositore del tempo, abbiamo cercato i testi in cui emerge questa mancanza concreta della vista. Il topos estetico della seconda metà del Trecento viene attratto da Landini ben dentro la sua esperienza personale. Abbiamo scelto pezzi, ballate soprattutto, in cui la figura retorica riflettesse questa fisicità. 

Di Francesco Landini, famosissimo e celebrato al suo tempo, rimangono poche notizie, perfino la data di nascita è incerta: 1325 o 1335. Come si ricostruiscono la storia e la musica di un personaggio come lui?
Non è poi così difficile, perché parliamo di un tempo in cui i manoscritti che trasmettono questo repertorio, più o meno correttamente definito Ars Nova Italiana, sono tanti e soprattutto si inizia a scrivere il nome dell’autore. Fino alla prima metà del Trecento è difficile trovarlo. Nel Duecento francese, penso alla scuola di Notre Dame, mai. Machaut è uno dei primi autori di cui viene riportato il nome, perché supervisionava di persona le sue copie. Il caso di Hiledgard da von Bingen è assolutamente eccezionale per motivi storici. Di Perotinus si ricostruisce l’autenticità attraverso incroci di documenti e testimonianze. Solo a metà del Trecento si comincia a riconoscere l’autorialità. Nel caso del Codice Squarcialupi abbiamo perfino un catalogo delle opere con nome e miniatura dell’autore.

Foto: © Fabio Fuser

La musica è capace con pochi tratti di far migrare il sacro nel profano e viceversa. Nei pezzi di Landini che eseguite si sente qualche trasmigrazione?
Musica sacra polifonica coeva, in Italia, non ne esiste. L’unico parallelo che possiamo stabilire è con la Lauda, per vicinanze di struttura con la Ballata. Anche la Lauda veniva danzata, richiamando anche un’altra dimensione della musica, più fisica. Ci sono Ballate di Landini che vengono utilizzate come travestimenti musicali secondo la tecnica del “Cantasi Come”. Quasi un prestito: Ballate che vengono adottate a fini devozionali, non sacri e liturgici comunque. L’unico fenomeno che ritengo plausibile citare è appunto questo: il travestimento. Landini era un prete, poteva certo scrivere musica sacra, ma non l’ha fatto.

Qualcuno, a proposito di Landini, parla di vicinanze con Petrarca. 
In comune si può forse parlare di poetica. 

Da quando laReverdie ha iniziato il suo percorso, che cosa è cambiato nel mondo della musica cosiddetta antica?
Se intendiamo musica antica in generale, l’approccio, l’atteggiamento. Dirigo l’Istituto di Musica Antica della Scuola “Claudio Abbado” di Milano, e quindi ho un po’ il polso della situazione. Nel momento in cui la musica antica è entrata nelle accademie, mi viene da dire che si è perso un po’ il fermento della ricerca. Quando abbiamo iniziato noi, verso la fine degli anni Ottanta, nei conservatori c’erano poche classi sperimentali: flauto dolce, cembalo, una classe di liuto in tutta Italia. Il nulla. Ma c’era una grandissima voglia di esplorare quei repertori. Chi si occupava di musica antica doveva necessariamente fare ricerca: riscoprire le fonti originali, coltivare altre forme di scrittura, costruire strumenti. Si sapeva di meno, ma c’era questo fuoco sacro che si è un po’ affievolito. Le giovani generazioni si sono trovate molto lavoro già fatto.

Ma c’è un’altra faccia della medaglia: i giovani, anche quelli che si dedicano ai repertori più consumati e agli strumenti moderni, partono già più storicamente informati, grazie al lavoro di generazioni come la vostra.
Questo sì. Oggi anche un’orchestra tradizionale, se suona Bach, non lo fa come negli anni Cinquanta o Sessanta. Consapevolmente o no, tutto il lavoro compiuto è stato assimilato, è diventato gusto. Quello che dobbiamo cercare di non far perdere è il piacere della ricerca. Far sì che quel ch’è stato raggiunto non sia solo un atteggiamento esteriore. Un elemento virtuoso è che non ci sia più la staticità degli anni Settanta-Ottanta, quando la filologia “ingessava”. Nella musica medioevale, c’era una corrente soprattutto inglese che aborriva l’uso degli strumenti: siccome non sappiamo come li usavano, è meglio non usarli. Ma se ci sono documenti che li testimoniano, dobbiamo farli rivivere. Cinquant’anni fa nessuno osava aggiungere una nota, oggi sì perché abbiamo gli strumenti. La filologia dev’essere studio, non scopo. Dobbiamo evitare di attenerci alle fotografie fatte da altri prima di noi. I miei studenti non sono miei cloni, non lo devono essere. Noi facciamo comunque musica contemporanea, che suona qui e ora, nel tempo che viviamo. 

laReverdie com’è cambiata in tutti questi anni?
Fin dagli anni Novanta aggiungendo musicisti per eseguire determinati repertori. Il gruppo spesso si allarga. E oggi si allarga con dei giovani, per conservare la freschezza dei primi giorni.

Vediamo oggi più direttrici d’orchestra, più artiste rispettate, ammirate, autorevoli. La presenza femminile sta finalmente conquistando il posto negato?
Si è affievolita una certa riserva mentale e di costume verso l’idea che una donna possa dirigere un’orchestra, che possa essere protagonista di un solismo che non sia solo quello della cantante d’opera. Figura sempre esistita. 

Tra i suoi allievi, più ragazze o più ragazzi?
Per diversi anni ho avuto solo allieve. Difficile trovare allievi maschi interessati al repertorio medievale. Oggi siamo alla pari. Forse nelle orchestre resiste qualche prevenzione. Nel mio piccolo mondo non vedo discriminazioni. Di sicuro nel 1986, quando abbiamo iniziato noi, si dava nell’occhio. Non c’era alcun piano determinato: formiamo un gruppo femminile per dimostrare qualcosa. No, è stato un caso. Che ci ha anche favorito: girare per l’Europa con un gruppo solo femminile, sì, colpiva molto. 

Pioniere? 
Un po’ sì. 

Leggo di vostri progetti con Franco Battiato, Moni Ovadia, Gérard Dépardieu, Mimmo Cuticchio, David Riondino. Nomi che dicono di una grande apertura mentale.
Tutti nomi che raccontano storie diverse. Battiato cercava un gruppo per un’opera che aveva iniziato e che non completò; un gruppo che eseguisse Hildegard, e allora ce n’era uno solo: noi. Di Cuticchio avevamo visto uno spettacolo e siccome lui “narra” abbiamo pensato di fare insieme un Cunto. Con Riondino, dopo i festeggiamenti per Marco Polo, continuiamo a fare progetti insieme. Si tratta di collaborazioni mirate ad accostare la musica alla narrazione. Però abbiamo cominciato in tempi non sospetti. Ancora nessuno osava fare quel che oggi è pratica comune. 

E per i vostri quarant’anni?
Un progetto sulle danze in tutte le forme possibili che permeavano la vita delle donne e degli uomini medievali. 
Beh, anche questa è una storia che parla di noi.

Foto di copertina: @ Lolo Vasco

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