Ed eccoci alla compilation di Capodanno. Numerosi titoli (dalla splendida antologia di Washington Phillips al redivivo David Crosby, per concludere in bellezza con Carlo Boccadoro) per allietare l’ingresso nel 2017 con l’augurio che sia fecondo e ricco di felicità. Tanta buona musica a tutti!
Rolling Stones – Commit a crime/ I can’t quit you baby
Non aggiunge e non toglie niente alla discografia degli Stones questo Blue & lonesome (****), ma è un gran bel sentire. Sporco e grezzo, un album di cover blues registrato live, senza sovrincisioni, ai British Grove Studios di Mark Knopfler mentre prendeva corpo il nuovo album di inediti ancora in fieri. Dodici blues non troppo noti di Howlin’ Wolf, Little Walter, Jimmy Reed, Magic Sam, Little Johnny Taylor e Willie Dixon. Ho scelto Commit a crime, impreziosito dall’armonica di Mick Jagger, e I can’t quit you baby, uno dei due brani (l’altro è Everybody knows about my good thing) che ha come ospite Eric Clapton.
Jim James – Same old lie/ Eternally even
Leader dei My Morning Jacket, esponente di primo piano del rock contro Donald Trump (su Spotify si può ascoltare, creata dai Death Cab For Cutie, la playlist 30 days, 30 songs, ***1/2, che lo vede partecipare accanto ad Aimee Mann, Franz Ferdinand, R.E.M., Moby, Helado Negro, Bob Mould, Josh Ritter e molti altri), Jim James alla seconda prova solista offre, con Eternally even (****) un eccentrico freak folk speziato di soul orchestrale anni ’70. Musica pigra e ciondolante, qualche tono mistico, una chitarra vagamente pinkfloydiana.
Washington Phillips – Paul and Silas in jail/ Lift him up that’s all/ Denomination blues
Nel 1927 a Dallas, in una seduta di registrazione di artisti locali organizzata dalla Columbia, si presentò un nero che cantava una musica celestiale accompagnandosi con due strumenti che fanno ancora discutere i musicologi. Washington Phillips (1880-1954), questo il suo nome, era un contadino e, occasionalmente, un predicatore vagante. Incise poco meno di una ventina di blues e gospel di soggetto religioso che vendettero piuttosto bene all’epoca (ottomila copie, Bessie Smith ne vendeva 10mila) e fece perdere le sue tracce. Gli strumenti appartenevano alla famiglia delle cetre, erano assemblati da Phillips, collegati tra loro e suonati con una tecnica suggestiva. Li si è chiamati, nel corso degli anni, dolceola, celestaphone, phonoharp, più di recente manzarene. E appunto Washington Phillips and his manzarene dreams (*****) si chiama questa antologia bellissima di canzoni delicate e aliene, che danno voce a una religiosità mite e pura di cuore. Devo la conoscenza di Phillips al grande Ry Cooder, che incise il suo Denomination blues nel capolavoro Into the purple valley (*****) del 1971 e Tattler nel successivo Paradise & lunch (****) del 1974.
Fabio Rovazzi – Tutto molto interessante
Mentre ne scrivo il secondo singolo di Fabio Rovazzi, autore di video diventato cantante, Tutto molto interessante, ***, ha già fatto quasi 14 milioni di visualizzazioni (il tormentone estivo Andiamo a comandare intanto è arrivato a quota 101 milioni) prendendo di mira i tic del “popolo della rete”, dai profili Instagram al faccio cose vedo gente. Sono partite le accuse di plagio da parte di Salmo e Marracash, visto che non si tratta di Guerra e pace ha avuto buon gioco Fedez, per l’occasione discografico di Rovazzi, a ribattere: “Avete trent’anni per gamba e volete passare per i pionieri delle grandi idee“. Insomma, per citare Rovazzi, polemica che porta a galla “la vastità del c… che ce ne frega“.
The life and songs of Emmylou Harris – Sin City/ Hickory wind
Regina del country più sofisticato che è uscito dal cortile di casa frequentando il folk e il rock, Emmylou Harris dopo quasi mezzo secolo di carriera (il suo primo album è del 1969) riceve l’omaggio collettivo di The life and songs… (****). Sul palco, assieme a lei, Mary Chapin Carpenter, Steve Earle (la sua versione di Sin City dei Flying Burrito Brothers è uno dei due brani che scelgo), Mavis Staples, Daniel Lanois, Conor Oberst, Shawn Colvin, Lucinda Williams (è lei a eseguire il secondo brano, Hickory wind dei Byrds), Sheryl Crow, Vince Gill e molti altri.
Sting – I can’t stop thinking about you/ Pretty young soldier
Ma come, il rock non era “quella cosa reazionaria”? Dopo anni passati a cercare di fare musica più nobile (i madrigali di John Dowland, le canzoni della stagione fredda) o a perdersi in progetti laterali (addirittura un musical sull’industria navale), Sting torna a casa con 57th & 9th (***1/2, il titolo è ispirato dall’incrocio newyorchese che lo portava agli studi di registrazione di Hell’s Kitchen). Canzoni che riecheggiano i Police (I can’t stop thinking about you) o gli amori e umori jazz della prima fase solista (If you can’t love me), e poi i migranti (Inshallah), il giornalista James Foley assassinato dall’Isis (Empty chair), le rockstar che muoiono (50.000), i cambiamenti climatici (One fine day). Niente di troppo nuovo, ma tutto abbastanza diretto e piacevole.
Martha Wainwright – Around the bend/ Look into my eyes/ Francis
Colpisce, nel nuovo Goodnight city (****), quinta prova discografica di Martha Wainwright, l’ecletticità delle canzoni e la capacità della sua voce agretta di calarsi nelle più diverse atmosfere. Dall’electropop di Around the bend al quasi jazz acidulo di Before the children came along, dalle dolcezze di Look into my eyes scritta con la zia Kate McGarrigle al folk di Traveller, dal glam di So down al trip-hop di Take my reins, dalla tormentata e spigolosa Alexandria scritta da Beth Orton al bellissimo pop sinfonico Francis del fratello Rufus. Ammirevole.
Robbie Williams – Party like a Russian/ Love my life/ I don’t want to hurt you
Il modo giusto per definirlo è “larger than life”. Spavaldo, sbruffone, esagerato, sovraccarico, barocco, tutto quello che volete, ma tra i migliori entertainer che ci siano oggi in giro, oltre che un autore pop coi fiocchi. Tutto questo è l’ex Take That, da molto tempo ex, Robbie Williams, che in questo The heavy entertainment show (****) non si risparmia. Suoni vintage e al tempo stesso giudiziosamente moderni (si ascolti la dance di Sensitive), fanfare e strappacore (David’s song), sferzate rock (Motherfucker, Bruce Lee), molti potenziali hit (la canzone che dà il titolo all’album, Party like a Russian che cita Prokofiev), alcuni duetti: Hotel crazy con Rufus Wainwright, I don’t want to hurt you con John Grant che rubacchia qualcosa a In Germany before the war di Randy Newman. Buon divertimento.
Jenny Hval – Female vampire/ Secret touch
Norvegese di Oslo, classe 1980, cinque album assai bene accolti dalla critica alle spalle, Jenny Hval spinge in questo Blood bitch (****) la sua sperimentazione ad affrontare un tema tabù con cui la body art femminile ha già fatto i conti, il sangue mestruale, incrociandolo con il vampirismo. Testi quasi iperrealisti nell’ossessione per il dettaglio, effetto complessivo straniante e surreale. Musica labirintica, electro scarno e quasi vintage, una voce che deve qualcosa forse più a Kate Bush che a Bjork. Laurie Anderson sullo sfondo, come un nume tutelare.
Nigeria freedom sounds – Bonfo/ Afrikana disco
La Nigeria non è stata soltanto Fela Kuti. Prima dell’afrobeat c’erano le mille musiche della stagione magica dell’indipendenza, tra il 1960 e il 1963: mambo, calypso, highlife, juju e apala. Le documenta la splendida antologia doppia Nigeria freedom sounds (****1/2) dell’etichetta londinese Soul Jazz, da cui ho estratto Bonfo di Isaiah Kehinde Dairo ma parecchie altre ne avrei potuto scegliere. Nel decennio successivo, gli anni ’70 che seguirono all’atroce guerra biafrana, c’erano le mille influenze afro-americane soul, funky e disco documentate da Nigeria soul fever (****). Ho scelto Afrikana disco di Akin Richards & The Executives, ma avrebbero meritato anche Joni Haastrup, Jimmy Sherry e il duo Tae Mae e Marjorie Barries.
Francesco Di Bella – ‘Na bella vita/ Blues napoletano
Napoletano, ieri leader di un gruppo, oggi solista. E accaduto in anni recenti a Raiz con gli Almamegretta, accade oggi a Francesco Di Bella con i bravissimi – e meno riconosciuti di quanto avrebbero meritato – 24Grana. Con Nuova Gianturco (***1/2), Di Bella si rivela il più autentico interprete di una Napoli che ogni giorno combatte per non perdere dignità. Toni smorzati, raccolti agrodolci, quieta ribellione. Collaborano i 99 Posse e Neffa, bella versione di Briganti se more.
David Crosby – Things we do for love/ What makes it so?
Periodo di ritrovata fecondità artistica per David Crosby, classe 1941, veterano della meglio California. Uno che ci metteva una vita a incidere da solo, nel 2014 ha licenziato Croz (***1/2) e ora lo doppia con il rilassato Lighthouse (***1/2). Strumentazione parca (piano, qui e là un basso discretissimo, neanche un’ombra di percussioni), il disco ruota attorno alla voce senza cedimenti di Crosby e alla sua chitarra westcoastiana. Piccole dolcezze, piccole nostalgie, qualche amarezza. A volte affiora la sensazione del già sentito, ma suonala ancora, Croz.
Veronique Gens – Chanson triste/ Sérénade italienne/ A Chloris
Francese di Orleans, Veronique Gens è un soprano di grande eleganza e concentrazione espressiva. Specializzata nel repertorio barocco e sempre più richiesta per le opere di Mozart, affronta nell’ incantevole Néère (****1/2), accompagnata dalla pianista americana Susan Manoff, la produzione liederistica francese del tardo ‘800. Tre gli autori scelti: i semidimenticati Henri Duparc (1848-1933, lo ascoltate nella Chanson triste) ed Ernest Chausson (la Sérénade italienne dalle Sept melodies op.2, ma musicò anche versi di Verlaine e Baudelaire) e il più noto Reynaldo Hahn (1874-1947), venezuelano naturalizzato francese che fu per breve tempo amante e per tutta la vita amico di Marcel Proust (lo ascoltate in A Chloris). Un disco da amare.
Michel Portal – Esquisse pt.3/ Dolce
Michel Portal, 81 anni, vecchio leone della scena jazz francese e non solo (ha collaborato anche con l’avanguardia musicale di Boulez, Stockhausen, Berio e Kagel) da tempo non incide più. Per fortuna escono su disco i suoi concerti. È il caso di questo splendido Radar (****), che documenta un’esibizione di quest’anno a Gutersloh, in Renania-Westfalia. Nella prima parte Portal, che qui si limita al clarinetto (ma è polistrumentista, suona anche il sax e il bandoneon) è accompagnato al piano nella lunga Esquisse da Richie Beirach, nella seconda rivisita Bailador e Dolce con la Wdr Big Band. Chiude il disco una lunga e frizzante intervista.
Carlo Boccadoro – Cadillac moon/ Moriana
Il marchigiano Carlo Boccadoro, classe 1963, è uno dei talenti più versatili del panorama musicale italiano: compositore, direttore d’orchestra (l’Ensemble Sentieri Selvaggi), critico musicale e scrittore di grande cultura e verve (i suoi Jazz! e Lunario musicale, pubblicati da Einaudi, sono tra le mie bibbie). In Cadillac moon (****) si presenta come compositore sinfonico di grande suggestione con quattro concerti per strumenti solisti e orchestra e uno splendido brano per orchestra da camera (Moriana) che rende omaggio a Italo Calvino. Assolutamente da scoprire.