La musica che gira intorno/1

In Musica

Le performance di Zoe Pia e dei Green Day, la fulminante anticipazione di Leonard Cohen. Ma anche la riesumazione sonora della “peggiore cantante lirica di tutti i tempi” , protagonista di un film in uscita, interpretato da Meryl Streep. Questo e altro nella prima puntata della rubrica settimanale di ascolti musicali

Inauguro, a partire da questa settimana, un diario di ascolto agganciato in qualche modo all’attualità: dischi usciti di recente, ristampe, artisti di passaggio a Milano per concerti e showcase, ma anche musica evocata da articoli, libri, film, anniversari. Con le mie personalissime valutazioni in stellette, da * a *****. Via, si parte.
Roberto Casalini

 

Green Day – Bang bang
Dodicesimo album di studio per i californiani Green Day. Revolutionary radio (***) è un “milkshake punk”, Gino Castaldo dixit, che cita Clash, Ramones, gli Who operistici, persino i Beatles. E ha testi durissimi sui disordini razziali (“Saluta i poliziotti di pattuglia/ Saluta quelli che controllano/ Insegna bene ai tuoi bambini/ dal fondo del pozzo”, Say goodbye, e tanti saluti a Crosby Stills Nash & Young), sul rehab (“Come ha fatto la vita sul lato selvaggio della strada a diventare così noiosa”, Somewhere now, e addio a Lou Reed) e sulle stragi nelle scuole, come in questa Bang bang: “Bang bang rendimi famoso/ Sparami addosso per fare spettacolo/ Sono un ragazzo solo con la semiautomatica/ Tu sei morto e io sono bene armato/ Uccidimi o fammi un pompino/ Sono il piccolo psicopatico di papà e il soldatino di mamma”.

 

The Zen Circus – L’anima non conta
Pisani, sulla breccia dal 1994. Il nono album, La terza guerra mondiale (****), è abrasivo e provocatorio quanto basta. Fra la title-track, il controcanto al razzismo italico scritto facendo copia-e-incolla dei commenti social contro migranti e clandestini (Zingara-Il cattivista), ritratti di adolescenti (Ilenia), la dichiarazione di odio-amore per la provincia (Pisa merda) e la lunga e sconfortata Andrà tutto bene (“E tutti ascoltano dovunque la stessa canzone/ all’unisono alla radio e alla televisione/ ripete un ritornello e dice che andrà tutto bene/ ma tu come è che stai tu/ nessuno lo chiede più”), scelgo questa ballatona soul senza fiati.

 

Florence Foster Jenkins – Aria della Regina della Notte dal “Flauto magico”
Florence Foster Jenkins (1868-1944), ovvero la peggior cantante lirica di tutti i tempi (*, ma forse ***** per il coraggio e l’incoscienza). Americana, ereditiera, riesce a realizzare alla morte del padre il sogno che i familiari e l’ex marito avevano ostacolato in tutti i modi: cantare. Stonata e incapace di tenere il ritmo, si esibisce tuttavia una volta all’anno per pochi selezionati amici nella sala da ballo del Ritz Carlton di New York. Nel 1944 dà anche un concerto alla Carnegie Hall, muore un mese dopo. Perché parlarne? Perché Stephen Frears dalla sua storia ha ricavato un film che tra poco va nelle sale, dove Florence è Meryl Streep.

 

Zoe Pia – Shardana
Uno dei nuovi talenti del jazz italiano è Zoe Pia, 29 anni, clarinettista sarda – ma suona anche il sax e le launeddas. Diplomata al conservatorio di Cagliari e perfezionata a Rovigo, dove vive, strumentista di musica classica e contemporanea (Mozart, Donatoni), dell’album Shardana (****) è interprete e compositrice, assecondata da Glauco Benedetti (tuba), Roberto De Nittis (piano, piano elettrico, tastiere, kalimba) e Sebastian Mannutza (violino e batteria). Improvvisazione, paesaggi sonori sardi, echi di oggi. «Che lotta sia. Quella fra la tradizione e la modernità. Tra il passato e il presente. Non c’è musica del futuro se questa non è capace di raccogliere la semina».

 

Dmitrij Shostakovich – Tahiti trot/ Valzer n. 2
Protagonista dell’ultimo (e notevole) romanzo di Julian Barnes, Il rumore del tempo, Dmtrij Shostakovich è stato con Prokofiev e Stravinskij il più grande compositore russo del ‘900. E una delle più illustri vittime di Stalin, ai cui capricci e alla cui spietatezza riuscì comunque, a prezzo di innumerevoli umiliazioni, a sopravvivere. Quest’anno ha visto l’uscita di numerosi dischi con le sue musiche. Degni di nota almeno l’integrale delle Sinfonie con l’Orchestra sinfonica del Ministero della Cultura dell’Urss diretta da Gennady Rozhdestvinsky (ma io continuo a preferire Mariss Jansons con l’orchestra del Concertgebouw), la Suite su versi di Michelangelo Buonarroti (incisa, assieme al Kol Nidre di Schonberg, dalla Chicago Symphony Orchestra diretta da Riccardo Muti) e i Trii 1 &2, eseguiti da Vladimir Ashkenazy, Zsolt Tihamér Visontay e Mats Lidstrom. Qui scelgo (esiste uno splendido Film album con l’orchestra del Concertgebouw diretta da Riccardo Chailly) due pezzi facili (****), il Tahit trot che è una spumeggiante variazione di Tea for two, e il Valzer n. 2 dalla Jazz suite, che Stanley Kubrick volle nella colonna sonora di Eyes wide shut.

 

 

Leonard Cohen – You want it darker
All’alba degli 82 anni (li ha compiuti lo scorso 21 settembre) Leonard Cohen annuncia su Facebook l’uscita per l’autunno di un nuovo album, You want it darker. Intanto è già stata anticipata la canzone (***1/2) che dà il titolo all’album, ed è già uscito un remix techno (****) del dj e attore tedesco Paul Kalkbrenner. Niente voci femminili stavolta ma cori maschili, quelli della sinagoga dell’infanzia di Cohen. E atmosfere apocalittiche, e un rapporto ambiguo, di obbedienza e ribellione alla divinità, che era già in una delle canzoni degli esordi, Story of Isaac (“Tu che ora costruisci altari/ per sacrificare questi bambini/ È ora di smettere”). Ho provato a tradurla:

Se tu sei il giocatore
Tienimi fuori dal gioco
Se tu sei il guaritore
Sono invalido e zoppo
Se tua è la gloria
Mia dev’essere la vergogna
Tu vuoi che sia più buio
E noi spegniamo la fiamma

Magnificato, santificato
Sia il Nome Santo
Arso dal fuoco, crocefisso
Quando si fa uomo
Un milione di candele bruciano
Per l’aiuto che non è mai arrivato
Tu vuoi che sia più buio

Eccomi, eccomi
Sono pronto, mio Signore

C’è un’amante nella storia
Ma la storia è sempre uguale
C’è una ninna nanna per gli afflitti
E un paradosso a cui dare la colpa
Ma è scritto nei Libri
E non lo dice un idolo
Tu vuoi che sia più buio
E noi spegniamo la fiamma

Mettono in fila i prigionieri
E le guardie prendono la mira
Ho lottato con qualche demone
Ma era borghese e addomesticato
Non sapevo di avere il permesso
Di uccidere e storpiare

Eccomi, eccomi
Sono pronto, mio Signore

Magnificato, santificato
Sia il Nome Santo
Arso dal fuoco, crocefisso
Quando si fa uomo
Un milione di candele bruciano
Per l’aiuto che non è mai arrivato
Tu vuoi che sia più buio
E noi spegniamo la fiamma

Se tu sei il giocatore
Tienimi fuori dal gioco
Se tu sei il guaritore
Sono invalido e zoppo
Se tua è la gloria
Mia dev’essere la vergogna
Tu vuoi che sia più buio

Eccomi, eccomi
Sono pronto, mio Signore

 

 

 

Leonard Cohen – So long, Marianne
Mentre cercavo informazioni sul nuovo album di Cohen, ho trovato la notizia che Marianne Ihlen, la musa norvegese dei suoi primi album, è morta alla fine di luglio, ottantunenne. Pochi giorni prima, Leonard le aveva fatto recapitare una lettera: «Marianne, siamo arrivati a quel punto della vita in cui siamo vecchi e i nostri corpi si sgretolano. Penso che ti seguirò molto presto. Sappi che ti sono così vicino che se tendi una mano puoi raggiungere la mia. Ti ho sempre amata per la tua bellezza e per la tua saggezza, ma so che non devo dire nulla di più a questo proposito, perché sai già tutto. Voglio solo augurarti buon viaggio. Arrivederci vecchia amica. Amore infinito. Ci vediamo lungo la strada». Così, è giocoforza rintracciare la canzone che Cohen le dedicò nel suo primo album, Songs of Leonard Cohen del 1967. Eccola (*****).

 

Afasol – Rio de Jannelli
Una simpatica puttanata (***), sotto forma di omaggio al vignettista Emilio Giannelli, firmata da un collettivo di Livorno. Bossanova con voci sintetiche, fax e citazione di Paolo Conte (Alle prese con una verde milionga), che ricicla un vecchio Carosello dell’Amaro Cora: Helen Sedlak e Valerio Brocca sono gli improbabili ballerini, l’orchestrina è quella di Vittorio Paltrinieri. Qui sotto, l’omaggio e il vecchio Carosello.

 

Wilco – Cry all day
I Wilco di Jeff Tweedy, nati a Chicago nel 1994, tagliano il traguardo del decimo album (***1/2), ad appena un anno dal precedente Star wars. Lontani dai fasti alt-folk di Mermaid Avenue e dalla sontuosa sperimentazione che destrutturava il country e i linguaggi tradizionali americani in Yankee Hotel Foxtrot, stavolta lavorano per sottrazione e puntano sul semiacustico. Dodici brani per 37 minuti, pochi fronzoli e un’asciuttezza piena di sottigliezze ed echi beatlesiani. Schmilco è un lavoro “gioiosamente negativo”, ricco di introspezione e ricordi agri dell’infanzia (“Ho sempre avuto paura di essere un normale ragazzo americano/ Ho sempre odiato i normali vuoti giorni estivi americani”, Normal American kids), stravolgimenti degli stereotipi (We aren’t the world che rifà il verso al celebre inno benefico all-stars), ricchezze nascoste, destinato a crescere di ascolto in ascolto.

 

Graham Parker – You can’t take love for granted
Finalmente un cofanetto di sei cd fresco di stampa (These dreams will never sleep, ***) per il piccolo Bruce Springsteen d’Inghilterra, uno che ebbe l’onore del Boss ai cori in un album del 1980, The up escalator. Pazienza se, per ironia della sorte, uno che grandi hit non ne ha inanellato mai si vede sottotitolare il cofanetto “The best of”. Voi intanto godetevi questa canzone del 1983 del campione del pub rock, uno degli esponenti più onesti e talentuosi del rock britannico d’autore dell’epoca assieme a Elvis Costello e Joe Jackson.

 

Nels Cline – Lovers
Il losangelino Nels Cline, classe 1956, un piede nel jazz e l’altro nel rock (dal 2005 ha suonato in tutti i dischi dei Wilco, compreso l’ultimo), è stato inserito da Rolling Stone americano nella top 20 dei nuovi guitar idol, con qualifica di “avant romantic”, come ben dimostra questo doppio cd uscito a fine agosto, il suo primo con la Blue Note (***). Ho scelto due brani, I have dreamed (live in sala di registrazione) e Beautiful love. C’è anche di meglio, come la spettrale Cry, want di Jimmy Giuffre, It only has to happen once di Arto Lindasy, Lady Gabor e Snare, girl dei Sonic Youth, ma YouTube non basta, dovete cercare su Spotify.

 

Red Hot Chili Peppers – Dark necessities
Lontani dagli sfavillii di Blood sugar sex magik, e temo anche dal successo commerciale del comunque scintillante Californication, i californiani Red Hot Chili Peppers rifanno il verso a se stessi con molta professionalità (si dice così?) ma anche con una fiacchezza compositiva e con una ripetitività che fa cascare le braccia. E siccome nei giorni scorsi erano in tour per l’Italia (Casalecchio e Torino), mi sono andato ad ascoltare la loro ultima prova, The getaway (**), di qualche mese fa. Potete risparmiarvi la fatica, l’unico brano salvabile – ma tutt’altro che straordinario – è questo.

 

Francesco Renga – Sulla pelle/ Migliore
Non esattamente la mia tazza di tè. Pop patinato e 50 sfumature di melassa per girare attorno all’ossessione amorosa. Scriverò il tuo nome, album dello scorso aprile (**1/2), 12 tracce nell’edizione normale e 14 in quella deluxe, immagino che il cantante bresciano, ex frontman dei Timoria, lo sciorinerà per interno il 15 ottobre al Forum di Assago. Se non siete adolescenti e in preda a trip sentimentale, saltate pure l’evento. Per darvi un’idea comunque ho scelto due canzoni tipo: la paracula, che fa tanto up-to-date parlando di social network e selfie, e la romanticona. Contenti?

 

Louis Lortie – Studi di Chopin
Il franco-canadese Louis Lortie (****), vincitore del concorso Ferruccio Busoni nel 1984 e già ascoltato di recente al MiTo, è un pianista da maratone: tutte le sonate di Beethoven (Die Welt scrive: “Il miglior Beethoven dai tempi di Wilhelm Kempf”, e scusate se è poco), l’integrale dei concerti di Mozart, gli Anni di pellegrinaggio di Liszt, gli Studi Chopin (il Financial Times: “Non sarà possibile ascoltare uno Chopin migliore da nessun’altra parte”). Per Time ha uno “stile puro e immaginativo, una combinazione di spontaneità e maturità che solo i grandi pianisti hanno”. Lortie esegue il 17 ottobre, alla sala Verdi del Conservatorio, i Preludi di Chopin e Scrjabin. Lui suona così, ascoltatelo negli Studi 1-4, op. 10, di Chopin.

 

Rolling Stones – Just your fool
Dopo undici anni di silenzio (l’ultimo album, A bigger bang, era del 2005) i Rolling Stones escono il 2 dicembre con Blue & lonesome, registrato in presa diretta ai British Grove Studios di Londra in tre giorni. Un disco grezzo, di puro blues di Chicago. Dodici brani, ben quattro di Little Walter, due di Howlin’ Wolf, uno a testa di Magic Sam, Little Johnny Taylor, Lightnin’ Slim, Eddie Taylor, Jimmy Reed e Otis Rush. Ospiti, in due brani, Eric Clapton e Jim Keltner, a lungo batterista di Ry Cooder. Intanto viene anticipata Just your fool (****) di Little Walter. Provate a fare il confronto con l’originale.

 

Chainsmokers – Closer
Loro sono un duo di produttori e dj americani, Andrew Taggart e Alex Pall. Agguantano il successo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 con il singolo Selfie, un nome un programma. Quest’anno ripetono il successo con Closer (**), electropop insipidino, frizzante quanto una gazzosa sgasata, che vede accanto a loro la cantante Halsey. Il 15 ottobre ve li ritrovate al Forum di Assago. Non proprio una priorità.

 

Joyce Moreno – Desafinado
Joyce Moreno, per molti anni semplicemente Joyce (***1/2), è una delle grandi moderniste della musica brasiliana. Ha debuttato nel 1968 e tra gli accompagnatori aveva il grande Nanà Vasconcelos, ha inciso album importanti e acclamati (l’ultimo, Poesia, è del 2015), si è esibita con Vinicius de Moraes e Toquinho, è stata tra le prime a interpretare artisti come Caetano Veloso e Chico Buarque censurati dal regime militare. Il 12 ottobre è al Blue Note, qui la ascoltate alle prese con un classico di Antonio Carlos Jobim in un concerto di Hannover del 2015.

 

Luigi Tenco – Quello che conta/ Tra tanta gente
Nuova antologia per il grande e sfortunato Luigi Tenco: Vedrai, vedrai, 22 brani, nessun inedito. Scelgo due canzoni meno note e bellissime (****). Fanno parte della colonna sonora di La cuccagna, commedia del 1962 firmata da un Luciano Salce con pretese di nouvelle vague, al soggetto contribuirono anche Goffredo Parise e Alberto Bevilacqua: una ragazza che cerca lavoro e trova soltanto faccendieri e molestatori (Donatella Turri), un giovanotto antiborghese con velleità suicide (lo stesso Tenco, nella sua unica prova di attore). Quello che conta e Tra tanta gente hanno testi di Salce e musica di Ennio Morricone, nella colonna sonora c’era anche La ballata dell’eroe di Fabrizio De Andrè cantata da Tenco.

 

Vanessa Rubin – Yardbird suite
Una grande voce jazz al Blue Note il 13 ottobre. Vanessa Rubin (***1/2) si afferma agli inizi degli anni ’80 cantando una personalissima versione di God bless the child di Billie Holiday. Due anni dopo è a New York con il quartetto di Pharoah Sanders, in seguito collaborerà tra gli altri con Lionel Hampton, con l’orchestra di Duke Ellington, con Toots Thielemans, Cecil Bridgewater, Kenny Barron e, di recente, con Herbie Hancock. Qui la ascoltate in un’incisione recente: Yardbird suite è un classico di Charlie Parker del 1946, rifatto anche da Miles Davis, Chet Baker e Stan Getz.

 

Dente – Cosa devo fare
Dente ovvero Giuseppe Peveri da Fidenza, classe 1976, si è imposto in questi dieci anni con canzoni destrutturate e brevi, spesso sotto i due minuti, a volte sotto il minuto. Dense di piccolo romanticismo, stralunata ironia, giochi di parole ammiccanti e non troppo spinti. Cantautorato lo-fi, da cameretta più che da camera. Non si smentisce con questo Canzoni per metà (***1/2), 20 brani per 43 minuti. Da segnalare, assieme a Cosa devo fare che è per il momento l’unico video, almeno Come eravamo noi e Curriculum, che ha dato origine a una fortunata promozione su Facebook. Agrodolce.