La mostra “Album 900 e furti d’archivio” a cura di Anna Lisa Ghirardi ed Elisabetta Longari al MUSA – Museo di Salò, testimonia il modo di procedere di Lucia Pescador, artista che tratta il proprio lavoro come un’opera aperta passibile di continui innesti, cambiamenti, montaggi e rimontaggi, memore del metodo di catalogazione di Aby Warburg.
La civica raccolta del Disegno di Salò è una tra le più prestigiose collezioni di opere su carta in Italia. Costituita da più di 800 opere si concentra particolarmente sull’arte italiana dal secondo dopoguerra ad oggi. La raccolta prosegue il compito, incominciato nel 1983, di costituire un fondo collezionistico pubblico di opere prevalentemente su carta, spesso considerate ingenuamente meno importanti rispetto alle produzioni su tela. Ci sono per fortuna molti artisti che operano scegliendo accuratamente il loro supporto, importante ovviamente per la loro ricerca. Lucia Pescador è una di questi.

Classe 1943, ha sempre privilegiato la forma espressiva del disegno, caratterizzandosi per l’utilizzo della mano sinistra nel ciclo Inventario di fine secolo, intrapreso dall’inizio degli anni novanta, dove l’artista copia frammenti dell’arte del Novecento organizzandoli per voci. L’utilizzo della mano sinistra, proprio perché non mancina, ne esalta l’aspetto interpretativo. Se scrivere con la mano sinistra, come diceva Boetti, equivale a disegnare, disegnare con la mano sinistra essendo destri, significa scrivere?
In effetti, come sottolinea Elisabetta Longari nel testo presente nel catalogo della mostra, l’operazione di Lucia è uno scrivere la propria storia, e non solo dell’arte, usando la mano più istintuale e meno educata che conferisce agli oggetti rappresentati sinteticamente un carattere di incertezza, di esitazione, di precarietà. La «stenografia» di un disegno è relativamente semplice e diretta. Ciononostante la differenza fondamentale sta nel funzionamento della mente che lo produce. Il disegno è essenzialmente un lavoro privato, che ha a che fare solo con i bisogni dell’artista; la statua o la tela «finita» è essenzialmente un’opera pubblica, esibita, che ha a che fare in modo assai più diretto con le esigenze della comunicazione. Davanti a un quadro o a una statua l’osservatore tende a identificarsi con il soggetto, a interpretare le immagini in quanto tali; davanti a un disegno si identifica con l’artista, usando le immagini per acquisire l’esperienza consapevole di vedere attraverso gli occhi di chi le ha create.

La mostra, strutturata ai lati del corridoio sospeso dell’ultimo piano del museo, si compone di grandi carte dove frammenti di opere storiche si alternano a produzioni recentissime con anche riferimenti ai grandi temi dell’attualità. Riferimenti alla botanica e alla geografia sono riscontrabili nelle composizioni in cui compaiono montagne, ciclamini, frutti e scogliere, molte le opere collegate alla pandemia da Covid-19, mentre al conflitto in Ucraina si riferiscono i delicati uccelli portalettere che Pescador disegna feriti, simbolo delle storie interrotte delle vittime. A questa varietà iconografica – descritta da Ghirardi con la similitudine della “mappa con coordinate temporali e geografiche non lineari né sequenziali, ma diacroniche” fanno da sfondo quelle che Elisabetta Longari definisce “forme tenaci di fedeltà, quale quella nei confronti della carta”, soprattutto quand’essa possiede una vita precedente all’opera.
Le pagine di quaderni e libri trovati alle bancarelle, vecchie foto e cartoline, manifesti, spartiti musicali consunti e tabelle contabili sono dipinti, disegnati, scritti. Un modus operandi che, nota Longari, dal 1990 Pescador esprime “sempre più su larga scala fino a coinvolgere a livello installativo interi ambienti”.

Ci sono almeno tre diversi modi di funzione dei disegni: ci sono quelli che studiano ed interrogano il visibile, quelli che annotano e comunicano idee e quelli fatti a memoria. Le linee sul foglio sono tracce lasciate dallo sguardo dell’artista, che incessantemente parte, si mette in viaggio, interroga la singolarità, l’enigma di ciò che ha davanti agli occhi per quanto ordinario e abituale possa essere. Il totale delle linee sul foglio racconta una sorta di migrazione ottica grazie alla quale l’artista, seguendo il proprio sguardo, sceglie la persona, l’albero, l’animale o la montagna che disegnerà. E, se il disegno riesce, egli rimane lì per sempre. Se si dimenticano dettagli circostanziali, mezzi tecnici, tipi di carta ecc. i disegni non hanno età, perché l’atto di guardare con concentrazione, di interrogare l’apparenza dell’oggetto che si ha davanti agli occhi è cambiato poco nel corso dei millenni. Quel che cambiava era la resa visiva di ciò che l’artista non osava mettere in discussione: Dio, Potere, Giustizia, Bene, Male. Ecco perché eccezionali disegni di cose da nulla portano con sé il proprio qui e ora, mettendo in risalto la loro umanità.

Un disegno, a qualsiasi di queste tre categorie appartenga, acquista un’altra dimensione temporale. Il miracolo ha inizio con il fatto fondamentale che i disegni, a differenza dei dipinti, sono di solito monocromi, o se sono colorati lo sono parzialmente. I dipinti con le loro tonalità la luce e l’ombra cercano di sedurre il visibile. I disegni non possono. Sono semplici annotazioni su carta. Il segreto è la carta. La carta diventa quel che vediamo attraverso le linee, e tuttavia rimane sé stessa. In qualche disegno presente in mostra tutto sembra esistere nello spazio, la complessità di ogni cosa vibra. Eppure ciò che osserviamo è solo un progetto sulla carta. Realtà e finzione diventano inseparabili. Ci si trova alle soglie della creazione del mondo. Poiché impiegano il futuro, simili disegni prevedono. Per sempre.
Lucia Pescador, Album 900 e furti d’archivio, MuSa – Museo di Salò, fino all’8 febbraio 2026