La Finlandia, mitologie a parte: il romanzo generazionale di Kjell Westö

In Letteratura

Una Finlandia lontana dei riflettori dell’Occidente viene illuminata dal romanzo generazionale di Kjell Westö, “La sciagura di chiamarsi Skrake” (Iperborea): la storia di un mondo di confine raccontata da una vita di confine, minoranza di minoranza.

«Finland, Finland, Finland
The country where I want to be
[…]
You’re so sadly neglected
And often ignored»

(Monthy Python, Finland)


Se non fosse stato per i quindici anni ruggenti della Nokia a cavallo del millennio, tra la fortuna planetaria del modello 2100 e dei suoi epigoni e l’uno-due che non lasciò feriti (l’arrivo del primo iPhone nel 2007 e la crisi dell’euro del 2008), chissà per quanto tempo la Finlandia avrebbe vivacchiato ai bordi dell’ecumene occidentale.
È questa Finlandia lontana dai riflettori, periferica nella geografia e nell’immagine che ha di sé, che Kjell Westö racconta ne La sciagura di chiamarsi Skrake, uscito quest’estate per Iperborea nell’impeccabile
traduzione di Laura Cangemi.


Westö si è già fatto conoscere al pubblico italiano con lo straordinario e pluripremiato Miraggio 1938 (pubblicato nel 2017 sempre da Iperborea e sempre tradotto da Laura Cangemi). L’attuale edizione de La sciagura di chiamarsi Skrake, uscito in Finlandia nel 2000, lascia sperare che la casa editrice intenda pubblicare altre opere dello scrittore.


«Il nuovo secolo, il Novecento, richiedeva […] efficienza e alte prestazioni. Era diventato indispensabile specializzarsi. Alla catena di montaggio delle fabbriche di Henry Ford, a Detroit, ciascuno aveva il suo bullone o il suo dado a cui badare. Negli strati più alti della società, arte, scienza e politica erano diventati sempre più compartimenti stagni. Il dilettante si era trasformato in una figura ridicola e questo aveva comportato tragici effetti collaterali: artisti falliti e potenziali preti come Hitler e Džugašvili si erano votati alla politica.»


Un magnifico dilettante è l’eroe del romanzo, Werner Skrake, che ha due passioni maggiori, cui si dedica con quello zelo molto finlandese che assomiglia all’ostinazione: la pesca e il lancio del martello; e una passione minore: la scrittura: scrive racconti di pesca e recensioni di musica.
A raccontarci la sua vita è il figlio Wiki, il narratore, con lucidità e senza
sconti al sentimentalismo, ma con un’ironia secca, anche questa molto finlandese:


«(…) dato che la fantasia e l’intelligenza di Werner non si combinavano con particolari doti pratiche, come per esempio la capacità di far soldi a palate o la predisposizione a procurarsi con le lusinghe prestigiosi titoli onorifici o una spiccata attitudine a parlare a vanvera, le persone con una mentalità utilitaristica tendevano a vedere in lui nient’altro che un Balordo
con le Pigne in Testa.»


Il romanzo è anche la saga degli Skrake, che seguiamo dalla fine del diciannovesimo secolo all’inizio del ventunesimo, quando un Wiki ormai maturo raccoglie e mette insieme l’eredità culturale e famigliare.
Come abbiamo già visto in Miraggio 1938, la ricostruzione storica è uno dei pezzi forti di Westö.
Ne La sciagura di chiamarsi Skrake, Westö dimostra già la personalità per affrontare i periodi più bui della recente storia finlandese senza paraocchi ideologici e retorici (capacità che in Italia recentemente si è vista in Prima di noi di Giorgio Fontana): la guerra civile (1918) tra rossi filosovietici e bianchi sostenuti da Svezia e Prussia (che arriva a piazzare a Helsinki un re di stirpe tedesca per alcuni mesi); e la guerra d’inverno (1939-40), in cui la Finlandia ha sostenuto da sola la pressione dell’Unione sovietica,
proseguita nella guerra di continuazione (1941-44), in cui la Finlandia era alleata controvoglia della Germania nazista.
La famiglia Skrake appartiene alla minoranza dei finlandesi di lingua svedese, come Westö.
Nonostante sia parlato da appena il 5% dei finlandesi come prima lingua, lo svedese è una delle due lingue ufficiali del Paese, insieme al finlandese: dai cartelli stradali ai sottotitoli di serie e film, ogni cosa è scritta nelle due lingue.


«La corriera partiva da Råberga alle 5.45 e una volta in città faceva il giro largo per Vallgård e Alphyddan per poi scendere lungo Helsingegatan in modo tale che le ville del parco Fågelsång e l’insenatura di Tölö restavano sulla sinistra, e infine imboccava Mannerheimvägen e arrivava in centro entro le sei e mezzo. Non c’era spettacolo più bello al mondo, pensavo all’epoca, di quello che si apriva una volta superati il Finlandiahuset e il
Nationalmuseum, con gli imponenti grandi magazzini e i palazzi adibiti a uffici tutti allineati fino su a Skillnadsgatan, proprio mentre a oriente il sole si arrampicava sopra i tetti degli edifici accompagnato dallo sventolio e dallo sbatacchiare delle bandiere pubblicitarie aziendali.»


Wiki vive nell’immaginario Råberga, un paese costiero appena fuori i confini orientali di Helsinki. Una scelta ben precisa, perché la periferia est della capitale è la periferia sbagliata, quella con le torri di cemento e il degrado, a differenza della periferia occidentale con la borghese Espoo e la ricca Kauniainen (enclave dei parlanti svedese).


«Imboccammo la galleria del centro commerciale Forum e quando sbucammo sulla piazza inclinammo la testa all’indietro e guardammo il cielo mattutino biancoazzurro.
Attraversammo Mannerheimsvägen, passammo davanti alla statua dei Tre Fabbri all’altezza di Centralgatan piegammo a destra nello stesso istante in cui passava sferragliando il tram numero cinque. Mettemmo insieme le poche monetine che avevamo e poi comprammo del caffè in bicchieri di cartone e un pacchetto di Amiro al baracchino di legno accanto a Stockmann, di fronte all’Akademiska bokhandel»


Westö mette molta cura nella restituzione della geografia di Helsinki. Dobbiamo solo superare la difficoltà iniziale dei toponimi in svedese (invece che in finlandese, come sono generalmente conosciuti) e poi riconosciamo la Mannerheimintie, il tratto urbano dell’antica
strada che porta a Hämeenlinna e Tampere e su cui si affacciano il Museo nazionale, la aaltiana Finlandiatalo e il Parlamento (Westö non nomina il Kiasma, il museo di arte contemporanea, pure inaugurato nel 1998, né ovviamente la Musiikkitalo, l’auditorium inaugurato solo nel 2011) e la Keskuskatu, con lo storico grande magazzino Stockmann e la
Libreria accademica; ritroviamo i quartieri di Töölö, Sörnäinen e Ullanlinna: monumentale e austero il primo, proletario il secondo, con i locali equivoci sulla Vaasankatu, altoborghese il terzo, con il ristorante Sea Horse, che esiste ancora oggi. Anche le linee 3 e 5 del tram sono
ancora in attività.
Per l’anagrafe Wiki è l’ultimo degli Skrake, ma nella complessità della sua vita sentimentale che non sia l’ultimo della sua stirpe è molto più che una possibilità. Attraverso il passaggio da Wiki figlio a Wiki padre, Westö ci regala pagine intense sulla paternità.


«Quando i bambini vengono al mondo sono bluastri, bagnati e viscidi come pesci. Nell’ultima, caotica fase, subito prima di essere tirati fuori sotto la nuda luce, capita che alla madre sia praticata un’incisione. Da qualche parte vicino alla testiera del letto c’è un uomo impotente, e quell’uomo non dimenticherà mai il rumore delle forbici che tagliano le parti intime e la vista del sangue che cola.»