Kilowatt Festival 2018: tanti titoli e un omaggio a Virgilio Sieni

In Teatro

16esima edizione per Kilowatt Festival: una panoramica sui nomi coinvolti…

C’è molta danza nel programma del Kilowatt Festival 2018, giunto in questi giorni alla sua 16ma edizione. Anche per una ragione specifica: l’omaggio al coreografo Virgilio Sieni (foto in copertina), figura fondamentale di quel fertile ma indefinibile territorio tra la danza e il teatro. Le prime giornate della manifestazione di Sansepolcro sono tutte per lui con una sua azione collettiva, un convegno multidisciplinare, un documentario e un suo solo di danza pura su musiche di Bach.

Di certo come momento più rilevante si è posto il Ballo 1450_Resurrezione che ha visto coinvolte una ventina di abitanti della cittadina toscana (già quasi in Umbria), persone di tutte le età (8-70), sesso, esperienze e attività, tutti impegnati in un lavoro comune di movimento e canto in un’atmosfera sospesa fuori dal tempo e dallo spazio davanti al dipinto di Piero della Francesca appena restituito alla fruizione pubblica dopo anni di delicatissimo restauro.

Dal gruppo che sul ritmo dei propri fonemi percorre più e più volte tutta la lunghezza del grande salone si staccano via via i vari individui (tra gli altri anche una portatrice di handicap) a dialogare plasticamente e in diverse formazioni (singoli, coppie, fino gruppetti di 4 o 5 individui) con l’affresco della Resurrezione. I loro basici movimenti elementari, ormai specifici della ricerca di Sieni, restituivano la verticalità e l’orizzontalità del capolavoro del pittore quattrocentesco e solo nel fisico calpestare l’intera superfice della sala hanno assorbito e riconsegnato appieno la spiritualità del dipinto, nel contrasto la tra la composta staticità delle figure rinascimentali e il proprio potenzialmente perenne moto nel mondo.

Quasi in antitesi con la classicità di Piero e di Sieni, ma per certi versi anche in continuità con essa, il festival ha programmato l’accoppiata di due “scandalosi” assoli di danza: un danzatore e una danzatrice completamente nudi che possono avvalersi solo delle potenzialità delle proprie membra. Davide Valrosso in Biografia di un corpo presenta al pubblico in piena luce il suo corpo muscoloso ma armonioso per subito sprofondarlo in tenebre caravaggesche che lacera gestendo poche e taglienti lampade a led.

Via via si illuminano in primo piano il braccio, il bacino, la spalla, i glutei, il piede, la coscia impegnati in movimenti sempre più complessi e articolati, quasi una lezione su come l’individuo/danzatore può/deve apprende a respirare, a camminare, a gestire il proprio corpo nella vita e sul palco diviso/unito tra lo sguardo su sé stesso e l’esser guardato dagli altri. Non si può sapere quanto il Valrosso abbia preso spunto dalle esperienze delle avanguardie degli anni di Weimar, certo è che il suo nudo ricorda molto da vicino quel kabarett che si muoveva tra provocazione e rivoluzioni sperimentali. Assai più vicino ai temi della ricerca contemporanea, e dunque più interessante, si è dimostrato il solo per danzatrice Kokoro ideato e interpretato da Luna Cenere anche lei avvolta dal buio, ma nuda di schiena e stesa a terra sul palco per oltre la metà della coreografia.

I sofisticati tagli di luce, sapientemente studiati rispetto a movimenti lentissimi, quasi un butoh reinterpretato all’occidentale, mettono in evidenza le potenzialità delle singole parti del dorso che vanno adagio ad occupare la vuota oscurità dello spazio. Corpo vissuto come materia plastica muta, architettura con spalla che diventa una forma solida da quadro cubista, mano sulla scapola che tronca il busto come una Venere di Milo, incavo della colonna vertebrale che si muta in un inquietante avvallamento espressionista. Se la temporalità dell’oggi è stata centrale nella ricerca individuale della giovane coreografa napoletana, lo stesso non si può dire per High Spirit del croato Denf Collectiv che aveva annunciato un balletto per molte danzatrici “fatto di salti d’energia per evidenziare i momenti che segnano il passaggio a diverse fasi della vita”.

Dopo una residenza di varie settimane si è invece presentato con un modesto pas de deux ben sincronizzato tra le due performer Mia Zalukar e Filipa Bavcevic, ma che si è rivelato più simile a un sofisticato numero da musical anni ’60 che non a un autentico e compiuto spettacolo di danza contemporanea. Kilowatt Festival ha presentato un programma di rilievo anche per la prosa, con un ricco cartellone di titoli, alcuni già noti dalle passate stagioni come La più lunga ora di e con Vinicio Marchioni dedicato alla vita e alla poesia di Dino Campana, ma ha messo in cartellone anche alcune anteprime di rilievo.

Tra queste l’atteso debutto di Cani Morti  (foto) di Jon Fosse, nell’allestimento di Carmelo Alù che andrà in scena nel prossimo autunno a partire dal Metastasio di Prato. Il drammaturgo norvegese costruisce qui una vicenda semplicissima e claustrofobica che prende l’avvio dalla scomparsa di un cane e che mette a confronto solitudini e segreti di una famiglia del profondo nord: una madre, due fratelli, un genero e un amico di famiglia. Più che la fragile trama sono importanti i dialoghi e il non detto che da essi emerge, un linguaggio scandito da frasi mai compiutamente finite in cui le nevrosi personali e le rivalità reciproche sono nel contempo nascoste e rivelate.

La regia le colloca quasi in una prova di spettacolo dove la scenografia è volutamente superflua e gli attori sono al tempo stesso gli interpreti e i personaggi del testo di Fosse. Non tutti sono all’altezza del disegno del regista e il più adeguato risulta certamente Domenico Macrì, più duttile e profondo nel dare tridimensionalità alla figura del figlio protagonista. L’elemento che qui è rimasto principalmente mancante è il rimando all’antefatto misterioso, il perché nella famiglia si scatenino proprio quelle e non altre dinamiche. Sarà dunque interessante vedere quali risposte verranno nella prossima stagione dall’altro allestimento di questo medesimo testo che ha appena vinto, proprio in questi giorni, il premio Forever Young alla Corte Ospitale di Rubiera.

Intanto a Sansepolcro stanno per andare in scena gli spettacoli più attesi, quelli che distinguono Kilowatt nel panorama dei festival nazionali, scelti dai “visionari”. Si definiscono così i 37 comuni spettatori che si impegnano a guardare durante l’inverno centinaia di video di spettacoli per arrivare a selezionare, tra riunioni e discussioni, le novità per loro più interessanti da portare nel borgo toscano. Nel weekend in corso Kilowatt tutto vive della trasposizione dall’immagine virtuale alla concretezza live del palcoscenico.

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