Incroci di star: la disperata Judy per l’Oscar di Renée

In Cinema

Il mito di Judy Garland, grande attrice e cantante americana, straordinaria diva-bambina nel “Mago di Oz” e poi protagonista di tanti successi, torna nel film che Rupert Goold ha dedicato alla sua ultima, amara e tragica stagione. E Renée Zellweger, che ha fortemente voluto, prodotto e interpretato il film, mette la sua bravura al servizio di uno straziante ritratto di adulta-bambina. Alla quale la vita e Hollywood non hanno mai consentito né di godersi la fanciullezza, né di diventare adulta sul serio

Los Angeles, 1969. Judy Garland ha 47 anni ed è un mito, ma a Hollywood non c’è più spazio per lei. Troppo inaffidabile per le compagnie di assicurazione, troppo pericolosa per registi e produttori. Il suo terzo marito, il produttore Sidney Luft, era riuscito a riportarla al successo a metà anni Cinquanta con È nata una stella, ma il film non si era ripagato delle spese, consegnando definitivamente l’attrice al limbo dei divi sul viale del tramonto. Senza un soldo, senza una casa, dopo quattro divorzi e una quarantina di film, alla fine degli anni Sessanta Judy si ritrova a vagare nella notte losangelina trascinandosi appresso i due figli più piccoli, e incrociando per caso, quasi come fosse un’estranea, la figlia più grande, Liza, avuta dal secondo marito Vincent Minnelli e destinata in gran parte a ripercorrere la luminosa carriera artistica della madre. E anche gli stessi disastri sentimental/esistenziali, tra matrimoni andati a male (quattro anche per Liza) e dipendenze assortite da alcol e farmaci.

Per sopravvivere, Judy accetta di fare una tournée a Londra, una serie di concerti lontana dai figli ma vicina a quel pubblico di cui lei continua ad avere bisogno come di una droga, un pubblico che ancora la ama alla follia ed è pronto ad applaudirla spellandosi le mani. Ma lei ormai non ce la fa più, ha paura di tutto, le energie la abbandonano insieme alla voce, sempre più fragile, precaria, come il suo compromesso equilibrio psico-fisico. E il tentativo di ritrovare nuova vitalità al fianco di un altro, giovane marito, il quinto, è destinato a rivelarsi del tutto fallimentare. Fino alla morte, il 22 giugno 1969, come diretta conseguenza dell’abuso di psicofarmaci e alcol.

È tutto concentrato sul drammatico periodo finale della sua vita Judy di Rupert Goold, film malinconico, a tratti struggente, che mette in scena gli ultimi mesi dell’esistenza disgraziata di una bambina prodigio costretta a crescere troppo in fretta da una parte, ma dall’altra condannata a un’eterna adolescenza fragile e temeraria, perennemente in bilico tra le luci incantate e finte dei set hollywoodiani e l’oscurità (fin troppo autentica) della paura e della solitudine. Una paura raccontata in modo mirabilmente sintetico nella manciata di scene in flashback in cui lei, poco più che bambina, si muove su un set che somiglia molto a quello del Mago di Oz, in balia di un vero e proprio orco, grasso e crudele, che risponde al nome di Louis B. Mayer, il potente produttore in gran parte artefice della magnifica carriera della piccola Judy e di molti dei suoi successi.

Il prezzo da pagare si era da subito rivelato altissimo, poiché alla giovanissima diva non solo non avevano permesso di essere una bambina come le altre, ma nemmeno le avevano riconosciuto il diritto di crescere e mangiare. E le scene di Judy Garland ragazzina perennemente affamata di cibo (e d’amore), e invece destinata a ricevere solo applausi e pasticche (per tenere a bada la fame, per non ingrassare, per dormire e per svegliarsi) sono davvero strazianti. Si trattengono a fatica le lacrime in alcune scene di questo biopic illuminato dalla strepitosa presenza di Renée Zellweger, che questo film ha voluto a ogni costo, decidendo di produrlo e sottoponendosi a qualunque vessazione pur di entrare nei panni esili, macilenti quasi, di Judy Garland a un passo dalla fine. Se è vero che la voce di Renée non può certo competere con quella di Judy, sentirla intonare Over the rainbow mette davvero i brividi. In attesa che le diano l’Oscar come miglior protagonista. Difficile immaginare premio più meritato.

Judy di Rupert Goold, con Renée Zellweger, Jessie Buckley, Finn Wittrock, Rufus Sewell, Michael Gambon.

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