Jacopo Vs Jacopo

In Arte

Al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, fino al 25 maggio la mostra “Attorno a Tintoretto” propone un dialogo inatteso e folgorante: quello tra la “Deposizione di Cristo dalla Croce” di Jacopo Tintoretto e una serie di interventi di arte contemporanea tra cui spicca l’opera di Jacopo Benassi. Un dialogo che nasce da una profonda risonanza emotiva e visiva tra due artisti lontani nel tempo, uniti da una visione intensa e commossa del fare arte.


La mostra “Attorno a Tintoretto”, a cura di Giulio Manieri Elia e Nadia Righi al Museo Diocesano di Milano, si articola in due sezioni: l’esposizione della pala di Tintoretto, proveniente dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e un percorso contemporaneo progettato da Casa Testori e curato da Giuseppe Frangi, dove si confrontano con l’opera del Maestro quelle di Jacopo Benassi, Luca Bertolo, Maria Elisabetta Novello e Alberto Gianfreda. Ognuno offre un frammento, un controcanto, ma è Benassi a vibrare su una lunghezza d’onda che è quasi gemella a quella del maestro veneziano.


Tintoretto e Benassi condividono anzitutto il nome, Jacopo, come un’eco che attraversa i secoli. Ma c’è di più: la barba folta, emblematica, che incornicia il volto di entrambi; uno sguardo febbrile e partecipe sul mondo; e soprattutto, un’urgenza espressiva che affonda le radici nel dramma dell’esistenza. Vasari definì Tintoretto “il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura”. Una definizione che potrebbe adattarsi, senza troppe forzature, anche al percorso artistico di Benassi, instabile, intenso, radicale.

Il 1562 è l’anno presunto di esecuzione della Deposizione, quando Tintoretto è all’apice della sua carriera e la sua maestria ha raggiunto il suo massimo livello di precisione ed espressività. Il 1943 è l’anno di nascita della madre di Benassi, ed è titolo dell’opera a lei dedicata, un lavoro stratificato e ruvido, un reliquiario personale che scava nel tempo e nella materia.

Il primo livello è un quadro dipinto dallo stesso Benassi a diciott’anni, di cui rimane visibile solo un braccio penzolante del Cristo sorprendentemente affine a quello centrale nella Deposizione di Tintoretto. Su questo poggia una prima fotografia, quella del muro su cui quel dipinto era appeso sopra il letto della madre fino al giorno della sua morte, e su cui una volta rimosso il dipinto è rimasta la traccia dell’assenza, un alone come un’impronta fantasma. E infine, a completare la composizione saldamente cinghiata, una fotografia più piccola del comodino accanto al letto, segnato da bruciature di sigaretta sul legno, testimonianza muta di una presenza quotidiana, dolorosa, irriducibile.

 Ogni elemento è semplice, quasi povero, ma la somma è struggente, e l’immagine che affiora è quella di una madre che ci immaginiamo pallida, dolente, raccolta su quel letto come la Vergine accasciata e sorretta da Maria di Cleofa nella pala di Tintoretto. Benassi non costruisce un’icona, ma una topografia del dolore domestico che pure si fa universale, in cui fotografia, pittura, corpo e memoria si sovrappongono fino a diventare un’unica, devastante epifania.



Tintoretto e Benassi: due Jacopo, due gesti estremi. In entrambi, il dramma esistenziale si fa arte con uguale struggimento. Nessuno dei due cerca la consolazione: entrambi cercano la verità. E la trovano nella materia, nella luce, nella tensione dei corpi. In uno, la tela squassa lo spazio e lo riempie di disperazione sacra. Nell’altro, le immagini, il gesto, il legno grezzo, la tensione della cinghia, la scritta sul muro, l’installazione stessa, documentano la ferita con sobria precisione. E, in mezzo, il visitatore, chiamato non a osservare ma a sentire, a partecipare. 

Una mostra sicuramente da non perdere, un’occasione rara per attraversare il tempo e riconoscere, sotto la superficie, l’identico tremore dell’anima.


Attorno a Tintoretto. La Deposizione. Museo Diocesano Carlo Maria Martini, Milano, fino al 25 maggio 2025

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