In viaggio con Herzog e Chatwin per un sogno più vero del vero

In Cinema

Nei suoi racconti Chatwin partiva dai fatti e li modificava, li rendeva più convincenti della realtà: non diceva una mezza verità, ne diceva una e mezza. Da questo punto di vista Herzog racconta l’amico scrittore, morto di Aids trent’anni fa, e i suoi itinerari pieni di immaginazione e scoperte. Racchiuse nel famoso zaino di cuoio che fu protagonista anche sul drammatico set di “Grido di pietra”

“Chatwin era uno scrittore come nessun altro. Creava racconti mitici in forma di viaggi della mente. Sotto questo aspetto scoprimmo di essere simili, lui come scrittore, io come regista”. Questa è la dichiarazione di intenti di Werner Herzog, in apertura di Nomad – In cammino con Bruce Chatwin, documentario dedicato all’amico morto di AIDS nel 1989 ad appena 49 anni. Si può vederlo sulla piattaforma on line di cinema di qualità www.iorestoinsala.it. Le prime parole che sentiamo vengono infatti proprio dal libro più famoso di Bruce Chatwin, In Patagonia, e parlano di un pezzo di pelle di brontosauro nella sala da pranzo della nonna, un pezzo di pelle “piccolo, ma spesso e coriaceo, con ciuffi di ispidi peli rossicci”, destinato a essere il primo elemento di ispirazione del giovanissimo futuro viaggiatore. Anche se Chatwin avrebbe poi scoperto che quel pezzetto di pelle non apparteneva a un mitico animale preistorico, ma a un ben più banale bradipo gigante. Una “versione della storia meno romantica”, ma che “aveva il pregio di essere vera”, come scrisse poi lo stesso Chatwin.

La constatazione non gli impedì di continuare a schierarsi dalla parte di coloro che non smettono di difendere il diritto tutto romantico al sogno e all’immaginazione. E quando realtà e leggenda si scontrano non hanno dubbi: scelgono la leggenda. Lo stesso Herzog appartiene a buon diritto a questa schiera e non ha dubbi quando si tratta di difendere l’amico da una delle critiche più fastidiose che gli erano state rivolte: quella di essersi inventato tutto, o quasi, nei suoi racconti di viaggio. “Lo accusavano di inventare le cose e si sbagliavano”, dice Herzog. “Perché Bruce, certo partiva dai fatti ma li modificava. E li modificava in un modo tale che sembravano più veri della realtà. Non diceva una mezza verità, diceva una verità e mezza. Abbelliva i fatti per renderli ancora più veri”.

Non è forse in fondo proprio ciò che ha fatto anche Herzog nella sua vita? In una lunga e magnifica carriera che conta qualche capolavoro, una manciata di buoni film e una folta schiera di esperimenti interessanti, curiosi, affascinanti. Appartiene a questa categoria Nomad, che Herzog, giunto ormai alle soglie degli ottant’anni, dedica a Chatwin ma anche e soprattutto a sé stesso, e a un’idea di narrazione bigger than life che lo scrittore inglese e il regista tedesco hanno sempre assolutamente condiviso.

A simboleggiare fisicamente il legame tra i due uomini appare a un certo punto nel film lo zaino di cuoio che Bruce Chatwin aveva portato con sé in tanti dei suoi vagabondaggi – dall’Australia alla Patagonia, sulle vie dei canti e lungo le rotte dei mercanti di schiavi – e che aveva lasciato in eredità proprio a Herzog. Ed è sulle spalle del regista tedesco che lo zaino diventa protagonista di un’impresa leggendaria, quando Herzog, durante la lavorazione di Grido di pietra, rimane bloccato senza cibo e senza riparo per 55 ore sul Cerro Torre, una delle cime più inaccessibili al mondo, e racconta di essersi salvato (forse) proprio perché aveva potuto stare seduto sullo zaino di Bruce, invece che sul ghiaccio.

Un film dal fascino perturbante sulle tracce di creature misteriose, tra naufragi alla fine del mondo, sentieri interrotti e paesaggi dell’anima. Un emozionante racconto di terra e acqua, un inno all’amicizia e al cammino che ci commuove senza lacrime e ci prende per mano con forza e pudore, accompagnandoci alla ricerca dell’essenza della vita, in nome della “possibilità di diventare umani”. Qualunque senso si voglia dare a queste parole.

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