Parenti e Dix, un malato per due

In Teatro

Gioele Dix alle prese con il capolavoro di Molière e il confronto-omaggio al maestro Franco Parenti, tra medicina e paranoia. Dirige Andrée Ruth Shammah

Commemorando Franco Parenti in una celebrazione dedicatagli per la prima de Il malato immaginario di Molière, Andrée Ruth Shammah ricorda il regista che diede un nuovo nome al Teatro Pier Lombardo, presentandolo al pubblico con frammenti video dei suoi spettacoli ma soprattutto omaggiandolo con una regia e un’interpretazione del testo molto vicina all’attore, autore e regista milanese.

È così che Gioele Dix, uno dei vecchi interpreti nelle versioni del Malato ancora dirette da Parenti, si cala nei panni di Argante, pungolato da una servetta Tonina – Anna della Rosa, che rende viva la sua presenza di ipocondriaco brontolone.

Un malato che incapace di darsi risposte sulla vita si rifugia nelle certezze della scienza, evitando di guardare con pieno occhio la veridicità dei legami familiari e amorosi, in una patologia che è prima di tutto una vantaggiosa considerazione narcisistica a sé. Nella versione di Andrée Ruth Shammah, sotto il dito inquisitorio di Molière si accusa l’idea di una medicina come scienza imperfetta che offre asettici privilegi sociali, molto spesso contraddittoria ed inefficace.

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La scienza dotta dell’accademia è contrapposta alla passione di Cleante per Angelica (interpretata da Valentina Belard), ostacolata da Tommaso Purgon (un bravissimo Francesco Brandi) figlio eccellentissimo del Dottor Purgon (Marco Balbi). Tommaso incarna l’approccio estremizzato, teorico, matematico, argomentativo del pretendente altolocato a differenza di quello appassionato del musicista Cleante, che si fa scudo per parlare dei problemi umani non con formule arzigogolate e premeditate, ma con l’impeto improvviso che la musica e il teatro, l’arte e la complicità sono in grado di creare.

La medicina si ritrova additata a un angolo come pratica che in virtù del suo sapere si erige a maestra di soluzioni, a indiscutibile metro di misura scientifico ed umano, una critica un’immagine quasi paternalistica che si spera oggi non esista più.

Ma più di tutto, Shammah conduce a una riflessione riguardo al vero significato della cura: come Molière suggerisce attraverso le parole di Beraldo (Pietro Micci), la medicina non ci assicura la guarigione. Nonostante tutte le possibili formulazioni teoriche delle patologie e delle rispettive diagnosi, è impotente rispetto all’esistenza, alla realtà, allo scorrere ultimo degli eventi.

Come tutte le scienze è il tentativo umano e incerto di condurre alla risoluzione di problemi, lenire il malessere, ricercare le cause prime ed il funzionamento del mondo, un metodo da abbracciare, una visione di vita, come lo sono l’arte, la filosofia, o letteratura, ma che diventa, se viziata da rigidità e atteggiamenti supponenti, un meccanicismo statico ed inerte, un anti-scienziato sicuro e imperturbato sui suoi fondamenti, come mostra il personaggio del Professor Fecis (Piero Dominicaccio).

Senza bisogno di cambiamenti, la scenografia di Gianmaurizio Fercioni si ripresenta in tutta la sua forza accompagnando parole, gesti e memorie, come le testimonianze vive degli attori e della regista che raccontano una commedia francese alla maniera di un grande maestro del teatro milanese, Franco Parenti.

Il malato immaginario, di Molière, regia di Andrée Ruth Shammah, in scena al Teatro Franco Parenti fino al 1 marzo

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