Un giudice contro il Muro (dell’omertà nazista)

In Cinema

“Il labirinto del silenzio” dell’italo-tedesco Giulio Ricciarelli narra come un procuratore tedesco ricostruì, a fine anni 50, i crimini nel lager di Auschwitz

Nel 1958 a Francoforte, anno in cui è ambientato Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli, la guerra era un ricordo ormai lontano. La maggior parte dei tedeschi non aveva mai nemmeno sentito nominare il nome “Auschwitz”, e i pochi che ne conoscevano il terribile significato facevano di tutto per dimenticarlo. Nella Germania che si era lavata la coscienza in fretta a Norimberga, e si avviava a grandi passi verso il boom economico, vittime e carnefici avevano scelto il silenzio. Le prime pensavano che nessuno avrebbe potuto credere a tanto orrore, i secondi volevano fare la parte di chi ha solo ubbidito agli ordini. Niente di più, niente di meno. E, come tutti i soldati, dal giorno dopo l’armistizio si aspettavano soltanto di aver diritto di tornare a casa e dimenticare.

Il giovane pubblico ministero Johann Radmann (Alexander Fehling), che è al centro del film, non ha invece nulla da dimenticare: alla fine della guerra era ancora un bimbo, e gli avevano sempre raccontato che non c’era nulla da ricordare, suo padre era stato un eroe di guerra e ora bisognava guardare avanti, costruire la nuova Germania, ricca e ottimista. E lui ci aveva creduto.

Come tutti i giovani del mondo Johann ama bere e ballare, ha voglia di innamorarsi, crede nel futuro. Ma un giorno inciampa in un gorgo di dolore che viene dal passato, e che non si lascia cancellare. Incontra un combattivo giornalista (Thomas Gnielka, interpretato da André Szymanski) e il fragile Simon (Johannes Krisch), un artista ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, e scopre la verità su quei luoghi di sterminio che allora venivano ancora eufemisticamente chiamati “campi di detenzione preventiva”.

La terribile, incredibile verità che ricostruirà attraverso infinite testimonianze e un immenso sforzo, muovendosi a fatica in un vero e proprio labirinto, tra molta gente indifferente e ostile, condurrà il giovane protagonista a un passo dalla follia. Il risultato sarà alla fine quello che è passato alla storia come il secondo processo di Auschwitz. A differenza del primo, svoltosi a Cracovia nel 1947 e sbrigativamente concluso con la condanna a morte di una manciata di ufficiali delle SS, questo secondo è stato celebrato a Francoforte fra il 1963 e il 1965 e ha segnato un passaggio epocale, il primo momento in cui la Germania ha fatto veramente i conti con il suo passato.

Il Giorno della Memoria esiste dal 2005, da quando una risoluzione delle Nazioni Unite ha deciso che il 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, sarebbe divenuto il giorno dedicato a commemorare le vittime dell’Olocausto. Così dal 2005 ogni anno libri e film pieni di ottimi propositi ci ricordano quegli eventi, dimostrando però anche che di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno, almeno dal punto di vista dell’esito artistico.

Im Labyrinth

Ma non è questo il caso. Il film di Ricciarelli, italiano di nascita ma naturalizzato tedesco, si lascia seguire come un thriller teso e appassionante, raccontando con grande scrupolo e serietà un pezzo di storia, non solo giudiziaria e non solo tedesca, ignorato dai più. La scelta è ricostruire l’epoca e la vicenda processuale in modo preciso, prendendosi qualche libertà nella costruzione dei personaggi. Il giornalista Thomas Gnielka e il procuratore Fritz Bauer sono reali, invece il protagonista è un personaggio di finzione, che deriva dalla fusione di tre diversi procuratori realmente esistiti. Ed è una scelta, quella di mescolare realtà e finzione, che si dimostra vincente fin dall’inizio perché consente al regista di accostarsi alla storia con grande rigore senza mai dimenticare la necessità di trasmettere emozioni. Per arrivare al cuore degli spettatori, oltre che alla testa.

Il labirinto del silenziodi Giulio Ricciarelli, con Alexander Fehling, André Szymanski, Friederike Becht, Johannes Krisch

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