Dal 6 all’8 maggio scorsi si è svolta, come sempre al cinema Anteo di Milano, la quattordicesima edizione della rassegna CINEMA & ARTI BRERA, organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Brera e curata da Giacomo Agosti, Bruno Muzzolini e Riccardo Notte con la collaborazione di Ester Fuoco, che esplora il rapporto tra cinema e arti coinvolgendo grandi maestri così come studenti e studentesse del glorioso istituto Milanese.
I giovani artisti Federica Mariani, autrice di Solano nero, e Aronne Pleuteri con Situazioni gravi, studenti di Brera nonché collaboratori di Cultweek che hanno partecipato alla rassegna con i loro film, ci raccontano l’una il lavoro dell’altra e viceversa, in un dialogo nel dialogo tra arte, cinema e artisti.
FEDERICA Vs. ARONNE
SITUAZIONI GRAVI
Aronne Pleuteri | 20’ | Italia | 2025
Svariati minuti dopo.
Il corpo dell’artista/performer, ridotto (o elevato) a cadavere della sua stessa vita, è ritratto nella produzione video di Aronne Pleuteri in un costante stato di attesa e di estasi del vedere.
Nel divincolarsi tra le più banali azioni e i più comuni suoni dell’uomo metropolitano, Aronne Pleuteri esplora il libero capriccio di un corpo sospeso temporalmente, saturo di noia ed aspettative mai corrisposte, ironizzando amaramente sul presente a noi più prossimo.
“Situazioni gravi”, raccolta e montaggio di separate (ma indiscutibilmente legate) opere video, percorre e ridicolizza l’immaginazione desta dei diversi protagonisti, spesso l’artista stesso, ritratti in comuni ed oltraggiose situazioni permeate di arresti e paralisi di manovra, in cui il suono come dominante d’attenzione porta alla coabitazione musicale del motore, ruggito metropolitano, e del suono stonato di voci umane e animali orchestrate con e da strumenti musicali.

Steso sul letto di un ospedale, l’artista è materialmente cullato dal movimento della strumentazione ospedaliera e dal suo suono rugginoso, da cui non sembra riuscire a svegliarsi.
Un cane, animale-dispositivo sonoro, copre con il suono amplificato del suo masticare la biascicata recitazione umana di un pretenzioso testo, ridicolizzando forse l’uno ed elevando l’altro.
Un tubo collegato ad un auto, in moto, rumorosa, inquinante, percorre sentieri ripetuti e lunghi fino ad arrivare ad una spiaggia, dove si riversa finalmente al mare, rivolgendogli il canto di un flauto, sirena annientata.
Un’anziana signora canta leggera un inno alla sua prossima morte, ribadendo “quando arriverà la morte le sorriderò”.

Senziente ma oblioso, il corpo animato (umano-animale-macchinario) conferma con la sua voce e la sua presenza una nostalgia oppiacea, sottolineando il torpore quotidiano dell’essere umano contemporaneo attraverso il non-sense di giochi visivi e sonori. Reduci di una vita di disappunto e scomodità, i protagonisti di “Situazioni gravi” rifiutano passivamente l’essere in vita a favore di una ironica lotta dell’abitare un corpo e sostenere un’anima.
Traslazione visiva di questo sono le due speculari, trasparenti e sovrapponibili figure fantasma in bisticcio tra loro: viene evidenziata così quella tensione allo scontro (evitabile e forse solo ludico, come di resistenza a un nemico immaginario) che risulta però evanescente e futile quanto le “apparizioni” in lotta.

Viva è la terra che respira, con una lapide appoggiata accanto, e da cui si rialza l’artista, sepolto ma non morto, ora in veglia dopo un organico e premonitore riposo nella terra rivoltata, viatico e culla costruiti appositamente per lui.
Le grandi stasi di “Situazioni gravi”, frutto di mancanze di intendimento con l’esterno, portano l’anima dell’artista a fuggire da quella vita vegetativa dell’abitudine a favore di possibili ed impreviste strade per ritrovare quella fantomatica comunione con il nuovo esterno che ci circonda e ci separa, a svariati minuti (ed ulteriori ancora) da una fine del sentire auspicata ma non temuta.
ARONNE Vs. FEDERICA
SOLANO NERO
Federica Mariani | 14’26’’ | Italia | 2024
Solano Nero si avvale saggiamente delle più disparate tecniche artistiche che abbiamo a disposizione: ritagli animati, collage digitali, strambe maschere di lattice appiccicate su dei corpi, musica da trance estatica riproposta con dei sample elettronici, la accattivante voce narrante e la controversa tecnica dei sottotitoli. Scelte estetiche che cuciono un vestito colorato, e perchè no, seducente, e che sembrano tutte suggerire una loro preda ideale, un loro pubblico molto specifico. Ma il Solano Nero, ricordiamolo, è un veleno, e si serve di nascosto, nei piatti caldi e prelibati.
Perché sarebbe sciocco ravvisare in questa piacevole policromia il fulcro d’interesse di Federica Mariani, che maneggia tra le mani qualcosa di ben più pericoloso della vinavil o dei video in HD. Si tratta invece della materia viva della Storia. E certo, sì, un materiale da sbrindellare, tagliare e ricucire, ma al fine ultimo di fare emergere una verità latente che scombussola qualsivoglia ordine anche estetico, e che smaschera lo sguardo parziale di chi ha costruito la narrazione ufficiale del passato. In altre parole, di nuovo, si tratta della volontà di vincere. E questo è un lavoro duro, da fare con i guanti, non per timore o schizzinoseria, ma perché dare forma alla Storia vuol dire appropriarsi dei cadaveri e delle loro lotte dissepolte. E dei cadaveri più schifosi, quelli senza sarcofagi di marmo, lasciati alla putrefazione e all’oblio della memoria.

Federica Mariani sceglie di scavare nel meridione, nella Salerno del XI secolo, quando un gruppo di scienziate, note con il nome di Mulieres Salernitanae – Trotula de Ruggiero, Rebecca Guarna, Abella Salernitana, Mercuriade, Costanza Calenda (e chissà quante altre) – riesce a dar vita a un clima fervido di ricerca scientifica e a un centro di straordinaria importanza per lo studio e la trasmissione del sapere medico femminile. E’ la “Scuola Medica Salernitana”. Trotula, ad esempio, elabora dei preziosissimi testi illustrati, il De passionibus mulierum ante, in et post partum, il De ornatu mulierum, il De curis mulierum, che essendo, stranamente, un caso unico per un argomento veramente di poco conto per la vita nel suo genere come, ad esempio, il parto e le fasi della gravidanza, rimarranno per i medici un punto di riferimento per centinaia di anni in tutta Europa. Nonostante l’importanza dei suoi studi, Trotula, o Trotta, come anche le colleghe, lascia alle spalle solo una firma, un nome muto e sospeso nella leggenda.
È anche Federico II, poi, che — almeno cento anni dopo l’apice della Scuola Salernitana — apre le sue università vietando gli studi alle donne e confinandole unicamente a pochi mestieri di ostetricia. Contribuisce così a un lento, strutturale processo di marginalizzazione del femminile che vedrà progressivamente allontanate dal centro delle risorse, relegate alla penombra, a un esercizio clandestino del sapere.

Getta così il potere (anche di uccidere) di una medico-donna in una sorta di interdetto culturale, e la lezione salernitana in una particella di memoria pronta a subire l’effetto censorio della paura… Una paura che, nei secoli, prenderà forma: sarà mantello, sarà cappuccio, sarà forcone. Sarà strega.
Il tempo e le dicerie popolari trasfigurano così le Mulieres in figure ambigue: certo dedite alla cura e al sostegno vicendevole, ma armate di strumenti e di sapere, gravide anche di un sottotesto omicida, segreto, pronto a trafiggere chi osi accordare loro fiducia. Forse hanno avvelenato uomini di potere, forse hanno pugnalato gli infermi, forse uccidono e manipolano i propri mariti. Ma sono tutte sciocchezze… – Forse.
Federica Mariani fa riecheggiare per l’intero video questi “forse”, vivi e carichi di rabbia — e sono tra i più inquietanti che abbia mai sentito. Perché da questo lato folklorico e malvagio del femminile, “forse” inesistente, non prende le distanze con ironia o disincanto. Al contrario: se ne appropria con destrezza, lo piega al proprio fine, lo trasforma in strumento di terrore utile alla propria narrazione. Più o meno intenzionalmente, Federica Mariani dimostra di saper fare ciò che, a mio avviso, è oggi tra le operazioni più interessanti per un artista: mitopoiesi.

Parlo della capacità di sapere lavorare attivamente con l’immaginario, attraverso una retorica che non lo discuta miseramente, ma che sappia accoglierlo nel suo molteplice. Questo, a mio avviso, sembra aprire il video a una questione veramente affascinante e alla fondamenta delle società umane: qualcosa che ci svela come funziona la paura.
Quando non volevamo vedere le donne in medicina le trasformavamo sotto l’effetto di un velo fantastico. Creature grinzose e associate al maligno. Come quelle maschere di lattice che nascondono il volto delle attrici. immagini censorie e sintomatiche di un’identità negata.
Ma al tempo stesso, unità immaginarie dense di significato pronte a moltiplicarsi nella mente in attesa che qualcuno squarci quel velo e scopra il loro volto segreto.
Così per tutto il resto.