Laurent Cantet, regista francese di “Risorse umane” e “La classe” (Palma d’oro a Cannes 2008), si congeda con un film a quattro mani girato con Robin Campillo e interpretato dal bravo e giovane Eloy Phou. Una storia di adolescenza inquieta, alla scoperta di un amore diverso e di fronte ai drammi del mondo, come la guerra. Nel cast Pierfrancesco Favino e Elodie Bouchez, genitori in crisi che non riescono a capire un figlio in rivolta contro la sua vita da privilegiato e un futuro già scritto per lui
Come è accaduto a Massimo Troisi (Il postino) e Stanley Kubrick (Eyes Wide Shut), per citare due fra i casi simili più noti, anche Laurent Cantet non ha avuto la fortuna di portare a termine il suo ultimo film, Enzo. Il regista francese di Risorse umane, La classe (Palma d’Oro a Cannes 2008) e altri film di pregio, uno degli autori più interessanti di inizio 2000, è morto lo scorso anno ad appena 63 anni dopo aver progettato e scritto (con Robin Campillo e Gilles Marchand) la sceneggiatura di questo racconto di scoperte e travagli adolescenziali. Lo stesso Campillo, montatore e collaboratore di Cantet per molti film e autore nel 2017 di un pregevole film sul dramma dell’Aids (120 battiti al minuto), lo ha poi girato e completato con mano intelligente e delicata.
Enzo, interpretato da un ottimo giovane attore (Eloy Phou), da principio sembra un classico film di rovelli familiari, con al centro il sedicenne protagonista che dà il nome al film: non sapendo la strada che vuol prendere, ma rifiutando comunque la società che lo circonda, la scuola e le sue regole, ha scelto, lui figlio di una famiglia di professionisti benestanti e aperti, di fare il muratore. Mestiere duro, in un cantiere del soleggiato, marino e bellissimo Midì francese. E qui siamo già fuori del banale. A questo si aggiungono altri due temi forti del film. Enzo si innamora di un collega ucraino, non avendo prima sospettato una vena gay nel suo cuore, ed entra tramite lui in contatto con il mondo della guerra patriottica e delle armi, da cui pure è in qualche modo affascinato tanto da irrompere, pistola (peraltro finta) alla mano, nella festa in onore del fratello più grande e studioso ammesso in una prestigiosa università parigina.
Vlad (Maksym Slivins’kyj) affettuoso ma più grande di lui e lontano per tanti aspetti (età, classe, tratti caratteriali) lo respinge e per giunta gli rivela che sta per ritornare in patria a difendere la famiglia e la sua gente dagli attacchi di Putin. Tutto finito dunque per Enzo, messo a terra da un’altra sconfitta umana, forse la prima sentimentale, che infatti cambierà presto vita dopo un brutto incidente in cantiere? No, forse. Il finale regala uno spiraglio di speranza, pur sullo sfondo terribile della guerra, a questa relazione, a questa storia così sbilanciata, a questo incontro con un mondo lontano che probabilmente per Enzo sarà formativo, positivo nonostante i molti ostacoli e le difficoltà nel capirsi.
Cantet/Campillo mettono Enzo (il personaggio) chiaramente al centro del loro film, ma sono assai interessati anche al suo contesto sociale e affettivo, in cui Pierfrancesco Favino fa un padre italiano comprensivo, affettuoso ma in ritardo sullo svolte del figlio, dalla cui parte mostra sempre di volersi schierare ma con poco successo e troppe pulsioni pedagogiche. Mentre Elodie Bouchez è una madre bella e un po’ algida, forse più brava a sintonizzarsi col cuore del ragazzo ma sempre in difficoltà a lasciare da parte le sue aspettative e speranze per il futuro, in verità sempre più popolato di sorprese, non tutte accettabili. Che hanno la virulenza incontrollabile dell’età acerba e rispecchiano la voglia di fuggire da un mondo e un destino già scritti. La stessa apparente apatia di Enzo è la reazione di chi rifiuta, in modo istintivo, forse non sempre ragionato, i privilegi di uno status quo sempre più incombente, in cui ha paura di restare intrappolato.
Enzo, di Laurent Cantet e Robin Campillo, con Eloy Phou, Pierfrancesco Favino, Elodie Bouchez, Maksym Slivins’kyi, Vladyslav Holyk, Philippe Petit, Malou Khebizi