Rinunciare per essere. La vertiginosa sfida di Han Kang, “La vegetariana”.

In Letteratura

Il romanzo tripartito di Han Kang, pubblicato da Adelphi, torna su uno dei temi cari alla scrittrice coreana: l’indagine sulla scelta come determinazione di sé, che risulta ancora più dirompente e scatenante quando si configura come decisione a una rinuncia. Così, quando Yeong-hye decide di diventare vegetariana, il suo gesto la riporta improvvisamente davanti agli occhi del marito, del cognato e della sorella – che la vivono, ciascuno dalla propria angolatura, come insubordinazione, auto-affermazione, deragliamento. Una scrittura di perturbante lucidità.

Una moglie del tutto insignificante; un corpo che irradia energia come un albero cresciuto nel deserto, spoglio e solitario; una donna che varca un confine per liberarsi dalle costrizioni sociali. Questa è Yeong-hye, protagonista de La vegetariana, descritta attraverso gli sguardi del marito, del cognato e della sorella all’interno delle tre parti che compongono il romanzo con cui la scrittrice coreana Han Kang ha vinto il Man Booker International Prize nel 2016.



Sono gli altri a raccontare la storia della protagonista e a cercare di capire le motivazioni della sua scelta di non mangiare più carne, costruendone un mosaico che però risulta incompleto perché Yeong-hye, mossa dalla convinzione che il proprio dolore sia comunicabile, ma resti incomprensibile per chi si trova al di fuori di sé stessa, preferisce il silenzio.

“Perché non mangi la carne? Me lo sono sempre domandato, ma per qualche motivo non sono riuscito a chiedertelo”. Lei posò le bacchette e lo guardò. “Non devi raccontarmelo per forza, se per te è difficile” disse, continuando a lottare per scacciare le immagini erotiche che gli scorrevano nella mente.
“No” rispose lei in tono calmo. “Non è difficile. È solo che penso che non capiresti”.

Il silenzio di Yeong-hye genera un vuoto che diventa il meccanismo narrativo attorno cui si muove il romanzo che inizia da un sogno da cui la protagonista si sveglia una mattina. Un sogno di sangue all’interno di una foresta buia. Da quel momento decide di non mangiare, cucinare e servire più carne. Il primo a essere turbato da questa decisione è il marito che non comprende perché quella che fino alla sera prima era una donna dalla personalità passiva, ordinaria e che non si sognava mai di piantar grane, possa d’un tratto andare contro la sua volontà. Per l’uomo si tratta di segni d’isteria, fissazione e debolezza di nervi che teme possano sfociare in qualcosa di più grave.

“Insiste e si rifiuta di obbedirmi” è quanto il marito comunica alla suocera. La scelta di Yeong-hye diventa un problema che coinvolge anche i suoi familiari, finché, durante un pranzo, l’intera famiglia si coalizza nel tentativo di farle mangiare della carne. Con violenza il padre spinge all’interno della bocca della figlia un pezzo di maiale ma, pur di liberarsi da quella aggressione, Yeong-hye prende un coltello e lo usa contro sé stessa, tagliandosi le vene.

Per la famiglia quel tentativo di suicidio non può essere ascritto ad altro che alla follia che resta il filo conduttore anche della seconda e terza parte del romanzo in cui si attua la metamorfosi della protagonista, il suo desiderio di abbandonare il mondo umano con la sua violenza animale per trasformarsi in vegetale e dissolversi nella sua indifferenza.

Cos’è che spinge Yeong-hye verso questo desiderio di mutazione? Si tratta davvero soltanto di follia o è il dolore causato dalle imposizioni e dai soprusi a portarla a decidere di ribellarsi attraverso il corpo, unico territorio in cui può essere libera? Cos’è che ha capito e non ci rivela? O il suo è soltanto un istinto di morte o una malattia?

Se pensate che i romanzi debbano restituire certezze e spiegazioni, non leggetelo. La vegetariana genera domande, ma non ci dà risposte precise perché la protagonista, l’unica che potrebbe fornircele, ha deciso di tacere. Se invece credete che sia utile interrogare noi stessi e cercare di completare il mosaico di Yeong-hye attraverso il nostro sguardo e le nostre tessere personali, cominciate pure.

Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante. Per essere franco, la prima volta che la vidi non mi piacque nemmeno. Né alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito itterico e malaticcio, zigomi un po’ sporgenti: quella sua aria timida e giallognola mi disse tutto quello che mi occorreva sapere di lei.

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