Guilty Party. Da Lusvardi Art la mitologia dello spettacolo in tre atti

In Arte

Assumendo la forma di un’indagine performativa, la mostra Guilty Party a cura di Iana Pitenko alla galleria Lusvardi Art di Milano esplora – attraverso il lavoro di Jacopo dal Bello, Ekaterina Costa, Federica Mariani, Giorgio Mattia e Sidonie Pellegrino – come le mitologie, intese attraverso la lente di Roland Barthes, trasformino emozioni collettive come il senso di colpa e la vergogna in strumenti di manipolazione. Nell’attuale clima populista, dove i media distorcono i fatti e la storia viene riscritta per giustificare potere e violenza, la mostra mette in scena il mito per smascherarlo, rappresentando il contro-mito di ciò che intende smantellare.

All’interno della galleria d’arte Lusvardi si apre, come fosse uno spettacolo teatrale composto da tre atti, la mostra Guilty Party curata da Iana Pitenko.
Il filo rosso che collega le opere dei giovani artisti presentati è l’idea di mito per come lo definisce Roland Barthes. Un mito, se riconosciuto come tale, istruisce la critica ideologica del linguaggio della cosiddetta cultura di massa in quanto “linguaggio rubato”, trasformazione mistificante del culturale in naturale, della cultura piccolo-borghese in natura universale.
Istituzioni come governi e chiese agiscono come creatori di miti, utilizzando queste strutture affettive per naturalizzare sistemi di controllo. Nel clima odierno, dove i media distorcono i fatti e la storia viene riscritta per giustificare potere e violenza, questi miti sono narrazioni seducenti e in evoluzione che fanno leva sulle nostre emozioni per garantire l’acquiescenza.



Jacopo Dal Bello, Reverse the face of time Fridge, 2024, print on stretched canvas, medical tubes, liquid, peristaltic pump, creams

Strutturata nei tre ambienti della galleria assistiamo in ordine alle prime “rappresentazioni” proposte: nella prima sala o primo atto chiamata Debt veniamo accolti dalle pesanti installazioni di Jacopo Dal Bello, che si fa carico del senso di colpa strumentalizzato dalle istituzioni come la chiesa per esercitare il controllo sull’individuo. 

Nella sala successiva denominata Gaze si passa alla mitizzazione del corpo femminile costruito come luogo di vergogna e di senso di colpa. In questo caso la sala è affidata a due artiste, Federica Mariani propone una riflessione su un caso cronistico del XVIII secolo dove una donna, Mary Toft, affermava di dare alla luce dei conigli con tanto di performance dal vivo, denunciando come il corpo femminile fosse mistificato e degradato a spettacolarizzazione, finzione e incredulità. Le opere proposte sono dei feti di conigli in marmo, antropomorfizzati, che ricoperti dal grasso richiamano una placenta, idee concretizzate di questa impossibile figliazione. Da corollario una scritta sul muro ed un occhio di coniglio albino, che rimarcano il corpo femminile come oggetto di confine tra fascinazione e repellenza.
(…)
We made them believe our love produced babies, rabbits
It obviously wasn’t true, our love has always been platonic: women and
animals have always been a couple, we were always allies
Both treated like beasts, we’ve formed an alliance a very long time ago
And we always honored it
So we made a plan.
(…)

Federica Mariani, Mary’s Baby, 2024, marble coated with animal, fat

All’opposto le opere di Sidonie Pellegrino analizzano la figura femminile nell’ottica di santa protettrice, ponendo una riflessione su Santa Lucia e Partenope, patrone di Napoli. Come due piccoli lucci pescati nelle baie della costiera amalfitana vengono offerte al nostro sguardo le due reliquie delle patrone, invenzioni dell’artista, sugellate dalla presenza di un occhio, motivo scultoreo ricorrente in entrambe, sottolineando la presenza dello sguardo continuo sulla figura mitologica femminile.
Nell’ultimo atto della mostra, Relics, dietro una tenda da sipario, veniamo accolti dalla sala completamente buia, con piccole opere luminose che ci invitano ad avvicinarci a loro come se ci guidassero in assenza di altri punti fissi. Questa sala cerca di riflettere su come le impostazioni religiose abbiamo plasmato il singolo individuo per rispettare il potere dell’istituzione.


Sidonie Pellegrino, Protettrici, installation, plaster, statues, 2023

Le opere di Giorgio Mattia agiscono su un doppio registro visivo, disegni a grafite minuziosamente eseguiti vengono sorretti da delle architetture/protesi meccaniche, rafforzandone la visibilità e quasi costringendoci ad osservarli con maggiore interesse. 
Sempre nella stessa sala Ekaterina Costa presenta illuminata dalla torcia di un iphone una piccola scultura in vetroresina, souvenir acquistabili in ogni viaggio diventano qui dei contenitori di memorie intime dell’artista, legandosi alla storia della sua famiglia, invitando lo spettatore a decostruire il mito universale e a concentrarsi sulle mitologie personali. 



Ekaterina Costa, 3D laser engraved photograph in crystal block, iphone, stainless, steel, 2024

Durante l’opening gli spettatori venivano invitati ad assistere alla performance Fraud and imposture, dove Federica Mariani e Sidonie Pellegrino poste agli angoli opposti della seconda sala, circondate dalle loro opere, declamavano le proprie ricerche tra finzione e fatto storico, rispondendosi tra di loro come in un dialogo tra sordi dove ciò che ermergeva erano le tensioni creatrici delle due artiste.

Giorgio Mattia, Dead flag blues, iron, pencil on paper

Le opere di Guilty Party non sono mai puramente di concetto, ma affascinano l’osservatore per come la materia viene plasmata di volta in volta da ogni artista in modo così personale e chiaro, avvalendosi del disegno, dell’installazione e della scultura. Si esce così dalla mostra arricchiti e consapevoli delle varie declinazioni del mito. E del suo contrario.

Guilty Party in three acts, Lusardi Art, Milano

In copertina: Giorgio Mattia, Dead flag blues, iron, pencil on paper

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