Riti e liturgie dell’editoria italiana in due decaloghi dello scrittore Giulio Mozzi, mentre si conclude l’edizione 2015
1. Prima fu il Salone del libro. Poi il Salone andò a ramengo, e diventò Fiera. Ora è di nuovo Salone, ma ad andare a ramengo è (si dice) il libro. Sic transit gloria mundi.
2. Al Salone del libro ci sono tutti, cioè troppi.
3. La frase più spesso ripetuta al Salone, quando ci si incontra casualmente, è: “Ora devo correre… andare… Ci vediamo dopo…”, e naturalmente non ci si incrocia più.
4. Ogni anno al Salone c’è la novità strana. Una volta furono i libri sott’olio (ma non ebbero successo). Poi furono i libri digitali (ma troppo in anticipo sui tempi: esistevano le macchinette per leggerli, ma i libri no). Poi furono i libri personalizzati: sceglievi il nome dei personaggi (il protagonista eroico eri tu, naturalmente) e ti spedivano il libro personalizzato a casa. Quest’anno la novità sono i libri che per comperarli ti pagano (in bond emessi da fondi d’investimento che hanno comperato quote di banche che possiedono società finanziarie che controllano delle holding che hanno quote di partecipazione importanti in società assicurative che assicurano i debiti dei fondi d’investimento che hanno emesso i bond).
5. Per diversi anni c’è stato un crescente entusiasmo per l’inesorabile incrementarsi del numero degli editori presenti al Salone. Finché qualcuno si è accorto che, pur crescendo il numero degli editori, il numero di libri venduti restava uguale. Ovvero: la torta è sempre quella, aumentano le persone sedute attorno al tavolo.
6. Al Salone si incontrano i Professionisti Editoriali Di Sinistra e i Professionisti Editoriali Di Destra. Per i primi l’argomento del giorno è l’avida Mondadori che si pappa il concorrente Rcs Libri, alla faccia del pluralismo eccetera; per i secondi l’argomento del giorno è la generosissima Mondadori che salva per i capelli quegli scriteriati di Rcs Libri, salvando un patrimonio culturale eccetera. Tutti convengono, peraltro, che la prossima mossa sarà la vendita di una Mondadori più grossa e più appetibile a un qualche gruppo sovranazionale: qualcosa tipo Bertelsmann o Bertelsmann (secondo altri, invece, Bertelsmann).
7. Con un po’ di fortuna, al Salone del libro è possibile riuscire a toccare uno Scrittore o una Scrittrice. Talvolta si riesce addirittura a parlarci. Non si hanno notizie di matrimoni.
8. A tarda sera, poco prima della chiusura, uno speciale carrello passa tra gli stand a ritirare – per portarli al macero – i dattiloscritti consegnati durante il giorno da speranzosi autori inediti e speranzose autrici inedite.
9. L’angolo di Salone riservato ai progetti editoriali appena avviati (uno spazio dove tradizionalmente ogni microeditore ha a disposizione un tavolino, piccolo, una sedia, piccola, uno scaffale, piccolo, e su prenotazione una standista, giunonica) non si chiamerà più “Incubatoio”, ma direttamente “Incubo”.
10. Una volta si andava al Salone del libro con giusto in tasca i soldi per la bottiglietta d’acqua e il panino (“Sennò compro di tutto, e poi a casa la moglie / il marito mi fa nero/a”). Nel 2015 acqua e panino si portano da casa. Auguri!
Dieci cose da sapere sul Salone del libro 2015, che oggi chiude
1. Come ogni anno da almeno dieci anni, gli unici libri che ho comperato al Salone sono dell’editore mantovano Corraini. (Sì, quello dei libri di Bruno Munari e di Enzo Mari, di “Cappuccetto verde” e “Cappuccetto giallo”, del libro delle forchette, del dizionario dei gesti, eccetera, e ultimamente dei libri di Keri Smith).
2. C’era gente che girava con in mano dei blocchetti di adesivi a forma di manina col pollice in su – i “Mi piace”, insomma – e ne appiccicava qua e là sui libri esposti. Non so chi li distribuisse. Sospetto che si tratti di uno strumento di compensazione: non posso comperarmi questo libro (o: non ho realmente voglia di leggerlo), e sostituisco la soddisfazione dell’acquisto e della lettura (che mi fanno sentire colto, informato, à la page ecc.) con l’applicazione del “Mi piace”.
3. Non ci ho guardato più che tanto, ma mi pare che gli editori che pubblicano regolarmente a spese degli autori siano immarcescibili. Il giorno in cui la Ditta deciderà di escluderli sarà un buon giorno. Se non altro perché, essendo adeguati al loro pubblico (fatto di autori desiderosi di illusione e privi di senso critico), costoro mettono in piedi degli stand orribili. Fanno male agli occhi.
4. Ho partecipato (dovere) a un unico appuntamento: quello in cui il Premio Calvino presenta i libri premiati o segnalati nell’anno o negli anni precedenti – e nel frattempo pubblicati. Un appuntamento veloce, senza fronzoli. Pubblico (molti i “lettori” del Premio) attento e partecipe. Solita cortesia, solita modestia non priva di fierezza. Il Premio Calvino è un patrimonio.
5. Classifica delle frasi sentite più spesso, in ordine decrescente: “Questo è l’ultimo anno che ci vengo”, “Quando sei arrivato?”, “Ma tu a che festa vai stasera?”, “Sei riuscito a capire dove sono i bagni?” (ce n’è ovunque, non ci si può lamentare), “Che caldo!”.
6. Di tanto in tanto i corridoi del Salone erano attraversati da armigeri in cotta di ferro, stivali e lancia. Ogni tanto da dietro, da destra, da sinistra, ti assaliva un rullo di tamburi. Ogni tanto si vedeva, al bar, un paladino che beveva il caffè o sbranava un panino. Il significato di tutto questo restò oscuro.
7. Mio nonno paterno – funzionario di banca – cominciava sempre la lettura del quotidiano cittadino dalla pagina dei morti. Mi sono sorpreso, sfogliando il catalogo del Salone, a cercare gli editori assenti. Qualcuno ha ritenuto più conveniente non esserci, qualcuno ha sospeso la produzione per prudenza, qualcuno ha chiuso, qualcuno è fallito. Di alcuni, benché abbia chiesto in giro, semplicemente non si sa più nulla.
8. Dice A: “Questo è l’ultimo anno in cui il Salone conterrà gli stand di Mondadori e Rizzoli”. Io, ingenuo: “Se ne vanno?”. A: “No, l’anno prossimo il Salone sarà contenuto nello stand Mondadori-Rizzoli”.
9. Sul treno che mi riporta a casa, accanto a me siede una donna sulla trentina; di fronte, una coppia sui settanta. Non siamo ancora arrivati a Novara, e la donna sulla trentina si è già presentata come scrittrice, ha già tirato fuori il suo libro (pubblicato da una nota casa editrice a spese degli autori), l’ha già venduto alla sbalordita coppia sui settanta. Io leggo Geografia storica d’Europa di Cliffort Thorpe Smith, Laterza, 842 pagine, comperato usato nei giorni scorsi, e ascolto con gli auricolari Birth and rebirth di Antony Braxton e Max Roach. Quando la donna sulla trentina tenta di rivolgersi a me, la ignoro. Oltretutto, sbirciando, ho visto che il libro è un libro di poesie; e in copertina c’è qualcosa come un disegno di cielo con gabbiani.
10. Tra poco, pochissimo, gli unici libri a essere stampati su carta saranno quelli degli autori a proprie spese. E il Salone si farà solo per loro. Questa cosa mi viene in mente nell’istante in cui, chiuso il Clifford Thorpe Smith e staccati gli auricolari, giro la testa verso il finestrino e mi addormento.
Immagine: Blackened books di Giulia Van Pelt