In “Happy Holidays” Shirley è ebrea e il suo fidanzato Rami arabo. Vivono in Israele a la relazione è rifiutata sia da una famiglia sia dall’altra. Il difficile equilibrio tra loro si rompe quando la ragazza scopre di essere incinta e sceglie di proseguire da sola la gravidanza. Secondo film del palestinese Scandar Copti, già candidato all’oscar per il debutto con “Ajami”, schiera un ottimo cast di interpreti non professionisti che sostiene una narrazione stratificata, fatta di intrecci di sguardi e giudizi sospesi
Shirley è ebrea e il suo fidanzato Rami arabo, entrambi vivono ad Haifa e sono cittadini di Israele: in teoria dovrebbero essere liberi di vivere la vita che vogliono, in pratica sono invischiati in una rete infinita di limiti e restrizioni, pregiudizi e condizionamenti, che rendono ogni scelta difficile, ogni decisione potenzialmente drammatica. La loro relazione non è infatti accettata né da una famiglia né dall’altra, e vive in una sorta di zona grigia fatta di non detti e di una tolleranza solo apparente. Un equilibrio destinato a infrangersi nel momento in cui Shirley scopre di essere incinta. Lei non vuole abortire ed è disposta anche a portare avanti la gravidanza da sola, ma si ritrova contro tutti, a partire da Rami, spaventato dalle conseguenze e deciso a non voler diventare padre. A qualunque costo.
Intanto sua sorella Frida viene coinvolta in un banale incidente d’auto, senza particolari conseguenze, che rischia però di far scoprire ai suoi genitori che la vita che lei conduce a Gerusalemme, dove frequenta l’università, è ben lontana dal rispettare le regole che loro danno per scontate. E non è solo una questione generazionale: anche il giovane medico Walid, amico di Rami, pur con qualche distinguo accetta in gran parte i precetti della tradizione. Forse solo Frida è davvero consapevole della necessità di rivendicare una vera libertà, a partire dalla possibilità di vivere i propri desideri e disporre liberamente del proprio corpo. Proprio ciò che una società patriarcale non può nemmeno immaginare di concedere alle donne. Ed è un divieto che vale sia per le donne arabe che per le ebree.
Happy Holidays, opera seconda del regista palestinese Scandar Copti, già candidato agli Oscar con il precedente Ajami, firmato nel 2009 con il regista ebreo Yaron Shani, mostra un intreccio di relazioni complesso sullo sfondo di una società inquieta e profondamente infelice, attraversata da tensioni laceranti e incapace di trovare un equilibrio. E si noti che il film è ambientato ben prima del 7 ottobre 2023, cioè prima del sanguinoso attentato di Hamas, della guerra, della sistematica distruzione di Gaza. E questa consapevolezza ne rende a dir poco disperante la visione.
In entrambi i film di Copti le relazioni tra arabi ed ebrei all’interno dello stato di Israele sono messe in scena senza minimamente edulcorare una situazione esplosiva, fondata com’è sulla diffusa incapacità di comprendere e sostenere le ragioni dell’altro. Proprio quello che invece lui si sforza di fare costruendo una narrazione stratificata, fatta di intrecci di sguardi e di sospensione del giudizio. In ognuno dei capitoli in cui è diviso Happy Holidays (da notare l’amarissima ironia del titolo, che allude alle festività imminenti nel momento in cui si svolge la storia) viene mostrato un diverso punto di vista e spesso uno stesso evento ci viene narrato da angolazioni diverse, quando non diametralmente opposte. Una scelta che a tratti rende non di facilissima lettura il film, richiedendo allo spettatore un surplus di attenzione, ma riesce d’altra parte a dar conto di una realtà complicata e confusa, dalle molteplici e aggrovigliate sfaccettature, tutte ugualmente importanti ma drammaticamente impossibili da abbracciare con un unico sguardo.
Da notare infine la bravura del cast, interamente formato da non professionisti. E si fa quasi fatica a crederlo, perché tutti gli interpreti si rivelano a sorpresa capaci di restituire ai personaggi profondità e verità.
Happy Holidays, di Scandar Copti, con Manar Shehab, Wafaa Aoun, Merav Mamorsky, Toufic Danial, Kousi Orfahli