Bowie 3/ La leggenda in una canzone

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Nel momento di massima commozione per la morte improvvisa del Duca, la memoria di ciascuno di noi torna alla canzone che più ci ha colpito.…

Nel momento di massima commozione per la morte improvvisa del Duca, la memoria di ciascuno di noi torna alla canzone che più ci ha colpito. Ognuno ha la sua con l’inevitabile bagaglio di emozioni e di ricordi. Ecco quelle della redazione di Cultweek.

The Man Who Sold The World, 1970
The Man Who Sold The World è una delle canzoni più enigmatiche di David Bowie. L’atmosfera malinconica probabilmente si riferisce al rapporto del cantante con il fratellastro affetto da schizofrenia. O, come lo stesso Bowie rivelò in un’intervista alla BBC, “alla ricerca di una parte di se stessi, senza la quale non ci si può comprendere”. (Niccolò Cesare)

Kooks, 1971
Di quell’Uomo del Rinascimento che è stato David Bowie, scelgo Heroes (1977), siamo eroi anche solo per un giorno. Le ragazzine che vogliono tutto e lo vogliono subito (Rebel rebel, 1974). Changes (1972) con l’esortazione “girati e affronta lo straniero”, niente paura, voleva dire fai i conti con la diversità. L’elenco potrebbe allungarsi. Ma se proprio devo scegliere una canzone del cuore, scelgo Kooks del 1971, composta per la nascita del figlio Duncan. Diceva, più o meno: “Abbiamo comprato tante cose per farti stare al caldo e tenerti asciutto, una vecchia culla buffa con la vernice che non asciugherà mai, e poi ti ho comprato un paio di scarpe, una tromba da suonare e un libro di regole con le cose da dire alla gente quando ti critica, perché se stai con noi crescerai anche tu un po’ strano”. (Roberto Casalini)

Station to Station, 1976
Mio papà è l’appassionato di musica originale di famiglia. Quando ero piccola, mi parlava sempre del suo grande mito: il Duca Bianco. Queste due parole suscitavano un fascino enorme su di me: immaginavo un altissimo mago, un re, un profeta dalle mille sfaccettature. Quando poi sono cresciuta, ho capito che non mi ero sbagliata più di tanto: ho scoperto che esisteva David Bowie, persona reale, ma più reale degli altri, un talento superiore capace di evocare universi e dimensioni al di là della vita umana. Station to Station è la canzone che dipinge il personaggio del Duca Bianco: oltre a rappresentare l’inizio di una delle fasi sperimentali più complesse e interessanti della sua carriera, rimarrà sempre, per me, il simbolo del suo fascino, del suo essere capace di abitare uno spazio tra realtà e finzione. (Chiara Amoretti)

Heroes, 1977
A Kottbusser Tor, alle 8 del martedì, Klaus e Maria si incontravano intrecciando le mani attorno a una tazza di caffè. Niente li teneva uniti, a parte le labbra scottate da una bevanda brodosa nel gelo della mattina, di fronte una stazione disastrata di Berlino Est. Nel loro giorno da eroi si baciavano come se nulla attorno esistesse, dopo che una fila di mattoni li aveva separati per dieci anni, e poi riuniti, a metà. Gli spari erano già lontani, nel febbraio 1990. (Chiara Tripaldi)

The secret life of arabia, 1977
Partire per un un posto mai visto prima, sentire le dune sotto il culo, l’aria calda e dolce che ti accarezza, l’inquietudine di non sapere dove andare, la meraviglia dello stile di chi canta quello che stai vivendo…..the secret life of arabia è il pezzo che chiude Heroes, un brano che fa da ponte fra il bianco nero berlinese e i colori degli anni ottanta del caro David….sembra quasi che Bowie volesse chiudere la sua trilogia fatta di musica elettronica e rigore postindustriale con un piccolo, adorabile sogno arabo. Che spesso è diventato il mio. (Eddi Berni)

Modern Love, 1983
Frances Ha che attraversa di corsa di Manhattan, in un bianco e nero alleniano ma con smart phone: sotto l’emiolia iniziale di Modern love, poi entra la batteria, infine Bowie. Frances corre, piroetta, accenna dei pas jetè, con lo scapigliato entusiasmo che ha tranquillizzato la totalità degli spettatori tardo ventenni, facendoli sentire fieri della loro età anfibia. (Mattia Palma)

Lazarus, 2016
Bowie è stato per me un insegnante brillante; con le sue canzoni e con il suo modo di vivere e di fare spettacolo, il Duca Bianco ha dimostrato al suo pubblico che ognuno di noi avrebbe potuto essere qualsiasi cosa; uno space man, un duca, una star, un artista. Con la sua grande intelligenza e innovazione ci ha trasportati in un altro mondo, in un’altra galassia, dimostrando con ogni canzone di essere sempre un passo avanti rispetto agli altri. E poi ci ha salutati, sempre a modo suo, sempre attraverso l’arte, con un album che arriva dritto al cuore.
Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama, can’t be stolen
Everybody knows me now
(Silvia Belfanti)

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