Cosa resta dopo una rivoluzione?

In Teatro

“Gli Uccelli” di Aristofane secondo Atelier Teatro: si ride, ma lo spettacolo è malinconico. La differenza la potrebbero fare gli esseri umani, se restassero umani

Atelier teatro nasce nel 2008 dall’incontro di Ruggero Caverni e Giulia Salis con il loro insegnante di recitazione Mamadou Dioume che (noto per essere stato scelto da Peter Brook per l’interpretazione di Bhima nel Mahābhārata) ne mantiene la direzione artistica fino al 2014. 

Da quel momento in poi, i due giovani attori si assumono rispettivamente la direzione artistica e la presidenza e si dedicano alla realizzazione scenica della commedia greca di Aristofane.

 Nel 2017, per loro, il destino ha in serbo un altro seminario, un altro sodalizio. Quello con l’attore e regista Carlo Boso, fondatore insieme a Danuta Zarazik di Aidas (Académie Internationale Des Arts du Spectacle). 

«Abbiamo partecipato a un suo corso sulle maschere e commedia dell’arte e poi – dichiara Caverni – ci siamo messi a parlare con lui. Avevamo una visione comune e da lì abbiamo iniziato a creare collaborazioni».

Per Atelier Teatro, prima del lavoro, è importante la condivisione di valori e amicizia.

La passione per il teatro per il giovane direttore è arrivata intorno ai quattordici anni, grazie alla Compagnia Picciola che organizzava festival competitivi per gruppi teatrali delle scuole al San Fedele. 

«Non ho/abbiamo avuto un percorso accademico – spiega Caverni – Ad un certo punto, mi sono concentrato sugli studi liceali ed universitari, poi ho ripreso la mia passione e trasformata in lavoro».

Atelier Teatro ha iniziato così a dotarsi di un palco di legno che gli attori della compagnia montano e smontano in giro per le piazze di periferia per portare la cultura in quei luoghi dove l’accesso non è così immediato. Vengono in mente i carri di Tespi e Paolo Grassi (di cui Boso è stato allievo). 

Nel 2020 Atelier Teatro è l’organizzatore del progetto Le mille e una piazza, festival di teatro popolare realizzato nell’ambito del progetto di Fondazione Cariplo Lacittàintorno con il contributo dei Municipi 3,4,6 e 9 del Comune di Milano e in collaborazione con le associazioni di territorio CISTA’, Made in Corvetto e Terzo Paesaggio

Protocolli rigidi, sicurezza e attività all’aperto caratterizzano il festival che quest’anno – per la sessione primaverile denonimata Palchi Fioriti (fitto il calendario) si è aperto con l’allestimento degli Uccelli di Aristofane presso i Giardini Neversa, dietro corso Lodi, a Milano.

Un lavoro drammaturgico sulla parola che lo depura delle espressioni volgari che seppur presenti nel testo originali << non aggiungono e non tolgono nulla al senso – afferma Caverni>>. In realtà, il lavoro di Atelier Teatro si caratterizza per rivolgersi a un pubblico transgenerazionale. Dai bambini agli adulti. << Vogliamo rivolgerci anche ai bambini- specifica Caverni – anzi, facciamo un grande lavoro in collaborazione con scuole. Realizziamo letture interattive con gli alunni. Ad ogni modo, se in occasione di uno spettacolo all’aperto per tutti – sebbene questo in particolare, Gli Uccelli di Aristofane, sia più adatto a uno spazio chiuso – inanello volgarità c’è il rischio che il genitore si lamenti e perdo anche una fetta di pubblico. Per che cosa?>>

Le espressioni tipiche della commedia, anche sessiste, sebbene rimaneggiate, però, restano. «È insito nel testo di Aristofane, ma è un’occasione per riflettere sull’uomo, su di me, anche. Può capitare di ricascare – è un fiume in piena il direttore artistico di  Atelier Teatro –  in ciò che con mente e razionalità si allontana, ma per fattori culturali da qualche parte c’è il rischio che rimanga».

Gli Uccelli nella riscrittura di Atelier Teatro è un’attuale critica ai limiti della democrazia e a ciò che cambia, se davvero qualcosa cambia, dopo una rivoluzione. 

«Pistetero non agisce per grandi ideali, ma per sé stesso, sul fondo – approfondisce Caverni – Nel testo di Aristofane la commedia finisce con una sorta di banchetto. Noi no. Non ci accontentiamo. Non abbiamo soluzioni, ma una volta che Pistetero arriva in una posizione di potere agisce nello stesso modo dei suoi predecessori». 

Una metafora sul senso dell’uomo di un mondo molto più in guerra che in pace.

Le musiche popolari nel corso dello spettacolo si mischiano, si trasformano. Diventano inni o ulteriore elemento di critica ai limiti della democrazia e a un modo di recepire con superficialità fenomeni mass-mediatici.

Dietro alla profondità o alla sofferenza di un artista che scrive, dell’indagine di uomo, c’è il rischio che resti solo un motivetto da canticchiare con allegria in un momento storico di entusiasmo, ma complesso. Come ad esempio l’Italia dal boom economico a oggi, verrebbe da dire.

«Certo, nello spettacolo abbiamo inserito nel Blu dipinto di Blu, ma non è una critica a Domenico Modugno, anzi. Forse una grossolanità da parte nostra c’è. Lo abbiamo inserito per il riferimento al mondo del cielo della città di Nubicuculia del testo di Aristofane – asserisce Caverni – ma d’altronde quante persone del pubblico, pensiamo tra i nostri familiari, si sono interrogate sulla complessità, sul senso vero dietro a un autore come Modugno? Ad ogni modo – conclude l’attore –  ritorniamo a Pistetero. Che cosa costruiamo? Che cosa costruisce un uomo dopo? Anche il populismo in fondo, forse, è dare risposte semplici, molto semplici, a problemi complessi? Qual è la soluzione? E dopo una rivoluzione? Cambia davvero qualcosa?».

In fondo, cantava qualcuno, sono solo canzonette.