Sven Helbig: viaggio intorno al suono

In Musica

Dieci tappe dal Kyrie Eleison alle sonorità elettroniche per scoprire il senso profondo della musica. Il 28 aprile il compositore tedesco sarà all’Auditorium San Fedele con il suo progetto “I Eat the Sun and Drink the Rain”. Ogni brano contribuisce a tracciare un percorso poetico attraverso l’evoluzione musicale alla ricerca del sublime e di ciò che in fin dei conti chiamiamo umano

La rassegna Inner Spaces, giunta alla penultima tappa dell’edizione primavera 2025 (si concluderà il 12 maggio con Sandro Mussida), lunedì 28 aprile ospita all’Auditorium San Fedele Sven Helbig e Mélia Roger.
Il compositore tedesco Sven Helbig e il suo coro (Sophia Chamber Choir) diretto da Wilhelm Keitel presentano I Eat the Sun and Drink the Rain, un’opera interdisciplinare mentre scorre ininterrottamente sullo schermo una traccia visiva realizzata dall’artista islandese Máni M. Sigfússon. L’opera è un viaggio che conduce dal Kyrie Eleison all’interpretazione de L’Infinito di Giacomo Leopardi, passando attraverso varie riflessioni sullo spirito umano. Ogni composizione è pensata per descrivere un momento di ricerca e di introspezione, in cui gli esseri umani si confrontano con la vastità del mondo naturale, trovando rifugio nel mistero della vita e nell’infinito che li circonda. La dimensione corale di I Eat the Sun and Drink the Rain gioca un ruolo centrale, elevando l’esperienza musicale a un livello spirituale, dove l’unione delle voci umane e delle sonorità elettroniche crea un’atmosfera meditativa.
La carriera di Sven Helbig ha segnato un punto di svolta nell’integrazione tra musica classica e sperimentazione elettronica. Il suo approccio innovativo è contraddistinto dalla capacità di unire la tradizione orchestrale con le sonorità elettroniche. 

Sven Helbig in prova con la Staatskapelle di Dresda (foto @ Claudia Weingart)

In occasione del concerto del 28 aprile, abbiamo raggiunto Sven Helbig per una conversazione sulla sua musica e sul lavoro che presenta a San Fedele. 

Quali argomenti affronti in I Eat the Sun and Drink the Rain?
Nel brano affronto diverse tematiche che ruotano intorno alla natura umana. Le persone vogliono sempre appartenere a qualcosa. È un istinto profondamente radicato quello di lottare contro la possibile mancanza di significato. Religioni, club, matrimoni e partiti politici esistono perché l’individuo cerca una risonanza, qualcosa che possa dare un senso alla sua vita. Così facendo, cercano uno scopo e la redenzione: la redenzione da un’esistenza finita e incerta.

Come è organizzata la composizione?
I Eat the Sun and Drink the Rain è un viaggio poetico alla ricerca di ciò che desideriamo chiamare “umano”. Ho creato dieci episodi diversi, ognuno dei quali esplora questa ricerca. Al centro di tutto c’è la questione del senso della vita, del sublime.

Come descriveresti I Eat the Sun and Drink the Rain? E la tua musica?
Il canto è la madre di tutta la musica. Affonda nelle radici più profonde della nostra esistenza. Quando le persone cantano insieme degli accordi, avvertono maggiormente la forza della somma che delle sue parti. Con questo in mente, ho cercato melodie e armonie che fossero cantabili e facili da seguire, in modo che potessero creare un legame con l’ascoltatore. Evito esperimenti tonali duri per creare un senso di apertura. Questo approccio si applica non solo alla mia musica corale, ma anche alle mie composizioni strumentali.

Quali sono le tue influenze musicali?
Ascolto vari generi di musica. Negli ultimi anni, soprattutto elettronica. Il mio primo amore in quel campo furono i Venetian Snares. La musica classica ha plasmato la mia vita per molto tempo. Sono stato particolarmente influenzato da Brahms, Bach e John Tavener. Ma sono anche un batterista e ho suonato jazz per molti anni. Brad Mehldau con il suo primo trio è stata la mia più grande influenza in quell’ambito.

Secondo te, in che modo la musica elettronica può interagire con la musica classica?
La musica elettronica ha raggiunto la maturità. Esiste un’ampia gamma di strumenti e grandi virtuosi nei generatori elettronici di suoni. Ormai la musica elettronica è al pari della musica classica in termini di complessità, profondità, serietà e diversità. Ciò fornisce a noi musicisti una vasta gamma di possibilità espressive. Non faccio più distinzione tra i due. I suoni elettronici sono semplicemente un altro strumento nel vasto regno delle possibilità musicali.

In copertina Sven Helbig (foto @ Claudia Weingart)

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