Ci guardano, flusso di pensieri e di coscienza

In Teatro

FOTO © LUGANO ARTE E CULTURA (si ringrazia per la gentile concessione dell'immagine)

Un video in dieci monologhi che chiama in causa il rapporto tra parola e linguaggio, gesto e movimento, azione e pensiero all’interno di una interessante rassegna

FOTO © LUGANO ARTE E CULTURA (si ringrazia per la gentile concessione dell’immagine d’apertura)

Nella bella rassegna Lingua madre – Capsule per il futuro in corso al LAC di Lugano, progetto di Carmelo Rifici e Paola Tripoli, ci sono le suggestioni dell’eterno presente delle emozioni legate ai modi dello spettacolo, crearlo, viverlo e riceverlo.

Un confronto continuo tra essere o non essere in scena o nella tua coscienza, tra dare e avere, padri e figli, silenzio e parola, questa grande protagonista nell’eternità di un tempo che il teatro e anche il cinema fissano e prenotano per il presente storico di sempre, per l’emozione, qualunque sia e da ovunque derivi, cinema, teatro, arte, tv o mass media o vita stessa o esperienze di artisti al quadrato come Picasso che replica Velasquez.

Il ragionamento pare intellettualistico ma se vedete questo oggetto artistico palpitante e misterioso fatto come un film ma recitato come a teatro, tutto sarà chiaro. Molto anche per la sintonizzata e complice bravura dei giovani allievi della scuola Ronconi del Piccolo Teatro, che Rifici dirige e che tra breve ad eyes wide shut saranno nel saggio di fine anno in Doppio sogno di Schnitzler.

Il video si chiama Ci guardano – prontuario di un innocente e sviluppa il suo percorso attraverso dieci monologhi, come un flusso di pensiero e coscienza che va al di là del limiti del Tempo e chiama in causa il rapporto tra parola e linguaggio, gesto e movimento, azione e pensiero, un rito metaforico tra padre e figlio, sacrificale come nella tragedia greca: non a caso tra gli ospiti c’è Ifigenia.

E non a caso vengono alla luce alcuni dei temi che Rifici ha trattato negli ultimi anni, aggrappando l’ispirazione proprio al mito e all’uso che se ne può fare oggi. La camera a mano insegue gli attori personaggi, dialogando con un ospite invisibile ma presente che è il teatro, studio di un rapporto che da verbale diventa fisico e poi torna in parola, come un ininterrotto viaggio che si riflette nella coscienza del Re spettatore.

Ci sono molti specchi in Ci guardano, più che in un film di Losey mentre la camera a mano insegue parole e azioni, gesti e riflessioni nello spazio del palco del LAC, fino a finire in una riflessione collettiva che è emozionante e commovente perché oscilla nel cuore e distilla le migliori emozioni.

Un lavoro video sul teatro e sul suo linguaggio recepito attraverso gli strumenti “esteriori” del cinema in cui si specchia in un gioco di riflessioni tra vittima e carnefice il cui ruolo può tranquillamente passare dalla scena in platea: il teatro è la realtà sostitutiva di chi osserva, occhio che osserva, luogo di chi guarda, secondo interpretazioni della parola greca che si traduce in migliaia di anni di esperienza personale e collettiva, psicologica e sociale.

Rifici fa una sfida all’OK Corral tra la Lògos e Mythos, la parola liberatrice e la narrazione simbolica della storia che ci riguarda, da Gesù al figlio di Ulisse ma anche al povero Alfredino finito nel pozzo e divorato dai vermi della terra e dai mass media.

La parola ci rivela e intanto ci libera dal mito e dal sacrificio, si trasforma in energia creativa e poetica con cui seduce l’uomo, gli offre ombre dove c’è il buio. Nel video la parola diventa volta per volta lo specchio del pensiero, del sentimento, di una tensione verso l’eternità, addirittura Gesù.

Il linguaggio diventa padrone assoluto della storia: ma la riuscita del video di Rifici sta proprio nella ideale commistione di questi elementi, restituendo spontaneità multipla alle emozioni. Arrivano a parlarci di loro, nell’ordine non certo sparso, Isacco, Ifigenia, Emily Dickinson, Gesù, Artaud, Telemaco, l’Alfredino del pozzo, l’infanta Margherita che sta nel quadro di Velasquez rivisto da Picasso in un geniale raddoppio della vena creativa, Concetta e Nana.

Ognuno è il capro espiatorio di una storia e la premessa di una scomparsa che, nel conflitto tra parola e corpo, lascia una scia di un sentiero di promesse che attraversano le tenebre della storia e dell’arte stessa. La speranza che l’essere umano si liberi dal corpo per diventare parola e linguaggio allo stato puro – riflette Rifici, regista e autore – è una delle narrazioni probabili anche se spesso la parola del padre non arriva fino al figlio e la bomba della separazione continua a scoppiare ad aeternum in ogni minuto.

La relazione che il video auspica è quella che si forma nei nostri occhi a colmare relazioni e connessioni, storie e geografie, mentre il destino dei figli sacrificati Isacco e Ifigenia, sarà osservato da una giovane donne, magari è miss Dickinson, laggiù nel Massachusetts nel 1870.

Dal rito si passa all’arte, alla creazione poetica della parola che sutura le ferite, ma è quel personaggio che pare Cristo che sbugiarda ogni illazione ed ogni bambino di Hiroshima o Chernobyl diventa uno dei tanti Cristi riflessi, giacché ogni vittima e ogni assassinio sono indici di un fallimento, finché l’infanta Margherita si stuferà di essere guardata nel dipinto e fuggirà dai nostri insaziabili occhi.

Il regista Rifici, aiutato da Ugo Fiore, ha manovrato benissimo i talenti dei soia lievi, gli splendori nell’erba: Catherine Bertoni, Francesco Maruccia, Giulia di Rienzi, Roberta Ricciardi, Sebastian Luque Herrera, Alberto Pirazzini, Giacomo Toccacelli, Alberto Marcello, Emilia Tiburzi, Aurora Spreafico, Rachele Gatti.

Visibile gratuitamente sul sito del LAC di Lugano:

www.luganolac.ch/lingua-madre     

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