Cate Blanchett e Rooney Mara straordinarie protagoniste del superbo e trasgressivo melò di Todd Haynes, ambientato in una gelida America anni Cinquanta
New York, dicembre 1952. Carol, protagonista del film di Todd Haynes, è bionda, sofisticata, diafana come un’apparizione, con la pelle bianchissima e le mani che danzano lievi, disegnando nell’aria i contorni di un mondo dorato, fatto di comodi lussi e immense libertà. Dal bisogno economico, dalla necessità di lavorare, dal freddo dell’inverno e dalle pastoie della vita quotidiana.
In fuga da un marito poco amato, alla ricerca di un regalo di Natale per la figlia bambina o forse di uno sguardo capace di accenderle il cuore, Carol inciampa in un trenino elettrico e in Therese, bruna commessa dagli occhi giovani e incantati. È subito desiderio, attrazione inesorabile, muto riconoscersi e inseguirsi di due anime che si scoprono gemelle ancora prima di dare un nome all’emozione che le travolge.
E si cercano, si perdono, si ritrovano, in un movimento che si avvolge come una spirale e sboccia come un fiore, freme come una foglia fragile esposta al vento e insiste come una radice piantata saldamente nel terreno. Un movimento che la macchina da presa descrive con passione e pudore, seguendo l’infinito gioco degli sguardi e talora correndo avanti, usando le traiettorie del desiderio per disegnare nel modo più chiaro il perimetro di un amore negato, o forse impossibile.
Perché l’amore fra due donne non è semplicemente scandaloso, nell’America degli anni Cinquanta, è proprio indicibile, una smagliatura che rischia di trasformarsi in voragine pur continuando a rimanere senza nome. Almeno fino a quando Carol e Therese non decideranno di abbandonare le strade innevate della gelida New York, chiusa nel suo reticolo di invisibili convenzioni e assoluti divieti, per andare verso Ovest, verso la luce, il caldo, la libertà. Quella vera, che non si compera con il libretto degli assegni ma con la rabbia, le lacrime, la paura, il coraggio.
Therese è Rooney Mara, premiata a Cannes come miglior attrice e convincente nel ruolo all’apparenza semplice ma sfaccettato di una ragazza della working class alla ricerca del suo posto nel mondo, grazie a quella macchina fotografica che all’inizio del film maneggia con l’incerta passione di una principiante e prima della fine avrà imparato a puntare come una lente di ingrandimento, che allarga la visione, fissa e comprende anche ciò che alla comprensione razionale sfugge per definizione.
Carol è Cate Blanchett, e che non sia stata premiata è il vero scandalo. È meraviglioso il personaggio che le ha cucito addosso Todd Haynes, a partire dal bel libro di Patricia Highsmith, poi di suo Cate ci mette una capacità rara di creare personaggi bigger than life. E infatti la regina degli elfi sembra essersi incarnata, ma senza scendere del tutto sulla terra, piuttosto rimanendo sospesa a mezz’aria, come una creatura evanescente e indimenticabile, capace di catturare la luce e rifrangerla tutto intorno, come un fuoco d’artificio di emozioni.
Un melò fiammeggiante. Davvero. Proprio come quelli di una volta, i melodrammi diretti da Douglas Sirk, già ispiratore e amico di Rainer Werner Fassbinder, che Todd Haynes sembra aver studiato fin nei minimi dettagli, cercando di rubarne il segreto, quel misterioso e magnifico ingrediente che consentiva di mettere in scena con impeccabile eleganza universi complessi e stratificati, assolutamente artificiali e al tempo stesso profondamente autentici.
Con un’avvertenza: Haynes non è soltanto un abile imitatore, uno che copia e rende omaggio al grande cinema di una volta. È uno che ci crede. Crede che il cinema sia uno specchio, dove il mondo si riflette e i sentimenti trovano casa, dove luce e buio si incontrano e sprizzano scintille, e nel divampare delle fiamme – a volte – è possibile cogliere qualche incandescente frammento di verità.
Carol di Todd Haynes, con Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler, Sarah Paulson, Jack Lacy