Con ben 24 opere provenienti da collezioni di tutto il mondo, la grande mostra CARAVAGGIO 2025, a cura di Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon a Palazzo Barberini a Roma, condivide gli esiti dei più recenti studi caravaggeschi e riesce ad avviare inedite riflessioni dopo l’ormai storica mostra curata da Roberto Longhi a Milano nel 1951, che sottrasse all’oblio la figura del grande Maestro. Grazie al grande successo di pubblico e all’eccezionale interesse nazionale e internazionale, le Gallerie Nazionali di Arte Antica annunciano la proroga fino al 20 luglio 2025.
“Come si può paragonare la carne e il sangue all’olio e ai pigmenti delle terre?”. Sono le parole che il regista britannico Derek Jarman affida al suo Michelangelo Merisi, nel film Caravaggio del 1986. Quasi un’antifrasi, che schernendo il mezzo pittorico ne dichiara l’implicita connessione al corpo delle cose. La pittura ad olio sembra essere nata per immedesimarsi con la realtà fisica e Caravaggio è l’artista che rende manifesta questa affinità.

Tra le trasposizioni cinematografiche della figura di Michelangelo Merisi, quella a firma Jarman è la più autentica, perché sfacciata nel tradire le fonti documentarie dopo averle attentamente assimilate. Jarman gira in studio, tra oggetti di scena artificiosi e anacronismi spiazzanti, così come il pittore lombardo ritrae i soggetti in vesti contemporanee e allestimenti posticci, sorprendendo l’osservatore con sovrapposizioni tra mito e cronaca.

L’attenzione per l’opera di Merisi si rinnova, dopo secoli di disinteresse, grazie a Roberto Longhi, i cui studi decennali culminano nella Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, tenutasi al Palazzo Reale di Milano nel 1951. Da allora Caravaggio catalizza l’attenzione di esperti e pubblico, abitando l’immaginario collettivo anche grazie alle famigerate vicissitudini personali. Ma l’anticonformismo dell’artista, più che nell’intensa biografia, è rintracciabile in un corpus di opere che appare da subito moderno, complice il tessuto culturale che ne accoglie la riscoperta e ne determina la rilettura secondo criteri correnti.

Il successo della mostra di Palazzo Reale del ’51 coincide col periodo di diffusione del movimento neorealista, che in quella pittura radicata nel vero riconosce le proprie istanze. Si innesca così un cortocircuito in cui i popolani dei vicoli romani del XVI secolo, ingaggiati da Caravaggio come modelli di posa, si sovrappongono agli emarginati e ai lavoratori impoveriti del dopoguerra, protagonisti dei film di Rossellini e Visconti. I santi caravaggeschi, intrisi di umanità e identità popolare, riappaiono uguali nei film di Pasolini, che di Longhi segue le lezioni all’Università di Bologna.

Madrid (ES), Collezione Privata. Crediti: Icon Trust
Dell’ininterrotta serie di mostre dedicate a Michelangelo Merisi, quella in corso alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma è tra le più necessarie. Con oltre venti dipinti, alcuni dei quali affiancati per la prima volta, e grazie a prestiti eccezionali come l’Ecce Homo appena rinvenuto in Spagna, il progetto condivide gli esiti dei più recenti studi caravaggeschi e riesce ad avviare inedite riflessioni. Anche se le sale di Caravaggio 2025, sovraffollate e rumorose, fanno riflettere su quanto le grandi mostre, ancorchè nate da un inconfutabile movente scientifico, siano ormai loro malgrado integrate nell’industria dello svago.

All’inizio del percorso il Bacchino Malato formula una prima dirompente antitesi contro le tradizioni rinascimentali. Il procedimento creativo è smascherato. L’inquadratura è stretta su un ragazzo, forse lo stesso pittore, che impersona il dio greco del vino. Un lenzuolo bianco avvolto a mo’ di toga, una ghirlanda d’edera e un grappolo d’uva sono il suo travestimento. Completa la composizione una tavola scabra con frutta e, come sfondo, non un paesaggio arcadico, bensì la parete spoglia di uno studio. La pruina biancastra che ricopre gli acini richiama l’incarnato livido del giovane, che si offre a chi guarda come un operaio generoso che adempie ai suoi compiti.

Pose languide, bocche dischiuse, espressioni mendiche collegano il Bacchino ai musici poco vestiti del Concerto. L’erotismo, che sia o meno indicativo della sessualità dell’artista o dei suoi committenti, è un dato certo della produzione caravaggesca, ed un attacco diretto ai dettami del pensiero maggioritario. Ne La Buona Ventura, lo scambio di sguardi tra la zingara e il raggirato rampollo ha l’intensità di una promessa sessuale. In Giuditta e Oloferne, il petto umido e i capezzoli turgidi dell’eroina biblica affiorano sotto l’abito trasparente, al culmine dell’atto violento.

Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma (MiC)
Bibliotheca Hertziana, Istituto Max Planck per la storia dell’arte / Enrico Fontolan
A partire dalla Giuditta, il tragico diventa caratteristica del periodo maturo di Merisi, arrivando al risultato ultimo e più estremo nel Martirio di Sant’Orsola. L’ibridazione tra contemporaneità e mito, assieme alla densità del gesto pittorico, escludono il naturalismo e svelano la finzione. I colori della tradizione lombarda, dimenticati, cedono il posto a un’oscurità catramosa da cui i personaggi faticano ad emergere. I bagliori già rembranteschi dell’armatura di Attila si affiancano al bianco lunare emanato dal corpo della santa.

Le immagini di Caravaggio raggiungono il realismo tramite l’invenzione e lo straniamento. In un saggio del 1973, Pasolini descrive le sue figure dipinte “come separate, artificiali, come riflesse in uno specchio cosmico”. Visioni di un sogno che restano vere anche dopo il risveglio.
Caravaggio 2025, Palazzo Barberini, Roma, prorogata fino al 20 luglio 2025
In copertina: Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Narciso, olio su tela, particolare. Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma (MiC) – Bibliotheca Hertziana, Istituto Max Planck per la storia dell’arte / Enrico Fontolan