The Spoleto experiment

In Arte

Alla Fondazione Pomodoro si racconta la storia di Giovanni Carandente, geniale critico d’arte che trasformò una città in una mostra di scultura a cielo aperto

Mostra dopo mostra è sempre più chiaro come la Fondazione Arnaldo Pomodoro possieda la vocazione a raccontare storie. Questa volta il protagonista è Giovanni Carandente (Napoli, 30 agosto 1920 – Roma, 7 giugno 2009) , storico e critico d’arte, funzionario di soprintendenza, o più semplicemente – come lo definì la scultrice americana Beverly Pepper in un telegramma – «un amore, un amico, un genio».

E veramente di un genio si tratta, perché nel 1962 Carandente si inventa di contattare una cinquantina di scultori sparsi per il mondo chiedendo di inviare una o due opere a Spoleto per allestire “Sculture nella Città”. Un museo di scultura contemporanea all’aperto, o meglio, una mostra diffusa per le strade e le piazze della cittadina umbra, la prima nel suo genere. Un esperimento che andò a buon fine e che, negli anni a venire, sarebbe stato replicato in ogni angolo del globo.

Lettera di Alexander Calder a Giovanni Carandente con il progetto per la scultura "Teodelapio", 20 aprile 1962. Bozzetto per il Teodelapio, 1962; courtesy Palazzo Collicola Arti Visive Spoleto - Museo Carandente, Spoleto
Lettera di Alexander Calder a Giovanni Carandente con il progetto per la scultura “Teodelapio”, 20 aprile 1962. Bozzetto per il Teodelapio, 1962; courtesy Palazzo Collicola Arti Visive Spoleto – Museo Carandente, Spoleto.

Ma non è finita qui. Fra quei cinquanta artisti, Carandente ne sceglie dieci e li spedisce a realizzare opere pensate ad hoc per la mostra stessa nelle officine siderurgiche dell’Italsider. Un episodio di committenza da rinascimento dell’Italia del boom, auspici due “infiltrati” nello stabilimento di Cornigliano: Eugenio Carmi, art-director ante litteram, e Gianlupo Osti, un direttore generale di sapore olivettiano, convinto che l’industria dovesse produrre cultura oltre che merce.

Un esperimento irripetibile, un’utopia, un miracolo. È questo il cuore della mostra Tutto è felice nella vita dell’arte. Omaggio a Giovanni Carandente, curata da Luciano Caprile e Stefano Esengrini, che hanno saputo restituire il fascino di quell’esperienza convocando nella galleria della Fondazione bozzetti, modellini, schizzi, progetti, lettere, telegrammi, cartoline e filmati d’epoca, nonché un gruppo di straordinarie fotografie di Ugo MulasTanta ricchezza – frutto della collaborazione di fondazioni estere, collezionisti privati e musei pubblici, lo spoletino Palazzo Collicola in primis – sarebbe nulla senza la sapienza di un allestimento che non cerca di ingabbiare le opere quanto di restituire agli oggetti esposti la loro giusta dimensione, aiutando il visitatore a guardarli: sembra insomma di trovarsi in uno studio di progettazione più che ad una mostra.

Alexander Calder, Ritratto di Giovanni Carandente, 1967; Fotografia Dario Tettamanzi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro.
Alexander Calder, Ritratto di Giovanni Carandente, 1967; Fotografia Dario Tettamanzi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro.

Rendere giustizia a Carandente, oggi purtroppo quasi dimenticato, non vuol dire però solamente riesumare Spoleto 1962. Se ne accorge chi guarda attentamente la mostra e, ancor di più, chi sfoglia il catalogo. Ad un prezzo che si può tranquillamente definire politico, la Fondazione offre testi e immagini di rito – sempre di qualità – assieme a testimonianze inedite di artisti, apparati bio-bibliografici, e una preziosa selezione dei saggi dedicati dal critico ad alcuni grandi protagonisti della scultura internazionale: Calder, Caro, Chillida, Moore e Smith.

Un ritratto a 360° insomma, che la Fondazione approfondisce ulteriormente negli incontri organizzati a latere della mostra presso lo studio di Arnaldo Pomodoro, un’altra occasione da non perdere.

Tutto è felice nella vita dell’arte. Omaggio a Giovanni Carandente, a cura di Luciano Caprile e Stefano Esengrini, Fondazione Arnaldo Pomodoro, fino all’11 dicembre.

Immagine di copertina: La scultrice Beverly Pepper nello stabilimento Italsider di Piombino. Fotografia Italsider, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro

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