Un regalo da Elias Canetti

In Letteratura

Canetti esplora la forma breve dell’aforisma attraverso una raccolta inedita, dedicata all’amica pittrice: “Aforismi per Marie-Louise”

Le raccolte di aforismi hanno le origini più disparate. Si sa, ad esempio, che i Discorsi di Confucio furono raccolti dai suoi discepoli; che i Pensieri di Pascal avrebbero dovuto confluire in una monumentale apologia del cristianesimo; e che Oscar Wilde, campione indiscusso dell’aforisma da social network, concepì i suoi motti di spirito soltanto nell’ambito di opere più vaste, come racconti e commedie. Non è raro neppure che una raccolta di aforismi sia legata a una determinata occasione, com’è il caso di Minima Moralia di Theodor Adorno, dedicato all’amico e collega Max Horkheimer per il suo cinquantesimo compleanno.

Non fa eccezione questa raccolta inedita di Elias Canetti. Aforismi per Marie-Louise è un agile libriccino (che in Italia è edito da Adelphi: e da chi se no?) che comprende 129 frammenti rimasti ignoti per decenni, finché non sono stati ritrovati tra le carte della pittrice Marie-Louise von Motesiczky – amica, amante e confidente di Canetti – sotto la curiosa forma di un curatissimo manoscritto.

Redatto in bella grafia con inchiostro blu, titoli e dedica in pastello giallo, e rilegato da un cordoncino dorato, il manoscritto era stato offerto a Marie-Louise come dono per il suo trentaseiesimo compleanno il 24 ottobre 1942, mentre in Russia infuriava la battaglia di Stalingrado e in Inghilterra – dove Canetti e la Motesiczky erano esuli – giungevano fiumi di notizie ed echi caotici delle violenze perpetrate nei paesi occupati. Fa un certo effetto pensare a Elias Canetti – veemente, incalzante e sicuro di sé – mentre imbastisce con le sue mani un oggetto così delicato.

Con la moglie Veza si era rifugiato in Inghilterra tre anni prima, e lì conduceva la sua vita da esule – precaria ma sicura –, già irrimediabilmente avviluppato nell’opera della sua vita: il poderosissimo Massa e potere, che vedrà la luce solo molti anni più tardi. E proprio lì a Londra Canetti aveva incontrato Marie-Louise, con la quale aveva instaurato una relazione destinata a durare più di mezzo secolo, fatta di amore, amicizia e una fitta corrispondenza, attraverso la quale di volta in volta lo scrittore le confiderà la sua ira nei confronti di Hermann Broch, affermerà l’indipendenza del suo lavoro da quello di Adorno, e tesserà le lodi di Franz Steiner, «l’unico capace di comprendere i suoi studi».

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La forma letteraria dell’aforisma non gli era nuova: ci si era già cimentato nel ’25, ma solo nel 1942 iniziò a dedicarsi con sistematicità ai suoi quaderni d’appunti. Il motivo è presto detto: le annotazioni erano un’importantissima «valvola di sfogo» che gli permetteva di evadere dalla concentrazione assoluta e totalizzante su un’opera ambiziosa come Massa e potere, come lui stesso dichiara nella nota introduttiva a La provincia dell’uomo. «Nei periodi in cui mi era in qualche modo possibile, trascorrevo un paio d’ore al giorno a mettere per iscritto ciò che mi passava per la testa»: ciò che cerca Canetti in queste ore di evasione è la libertà che un lavoro così sistematico non poteva offrirgli.

Negli aforismi, invece, tutto era lecito: «poteva essere corto o lungo, ardente o freddo, cattivo o buono. Poiché non veniva mai riletto, non c’era motivo di vergognarsi se la sua franchezza risultava magari imbarazzante o non perfettamente chiara».

Per Canetti l’«appunto» – espressione che preferisce rispetto ad altre come «aforisma» e «frammento» – è un concetto estremamente elastico, è scrittura aperta, che spazia tra l’immediatezza del diario e il rigore della riflessione – perché pur sempre di esercizio del pensiero si tratta. È tra queste due esigenze apparentemente in contrasto che si struttura la forma breve di Elias Canetti.

Un sollievo, quello dell’appunto, che si traduce ciclicamente in una vera e propria repulsione nei confronti del suo contrario, la sistematizzazione. E non la sistematizzazione di Kant o Hegel, ma la propria, quella dell’autore di Massa e potere: un’opera talmente ambiziosa da non lasciare spazio all’invenzione fugace. Un’opera che, al contrario, esigeva uno studio matto, rigoroso, fitto di ripensamenti: in fin dei conti sistematico.

Naturalmente Canetti conosce bene la tradizione aforistica nella quale si inserisce, portata avanti del resto anche dal suo mentore e amico Karl Kraus. Una tradizione che comprende Protagora, Lichtenberg, Novalis, Schopenhauer, Marx. Ma anche i moralisti francesi: Pascal e La Rochefoucauld. Quest’ultimo in particolare non è mai citato espressamente da Canetti, ma della sua peculiarità stilistica – configurare una massima come una definizione spiazzante che associa un concetto al suo contrario – faceva un largo uso («Sentimentalismo è quando la bontà diventa corruttibile»).

A dispetto della dedica, che può trarre in inganno facendo pensare a qualcosa di melenso, Aforismi per Marie-Louise, più di tanti altri testi, ruota intorno al tema della guerra e affronta di petto, con linguaggio crudo, le atrocità del presente che in Massa e potere sono invece osservate da una certa distanza.

«Combattono fra le dita dei piedi, nell’ombelico, dentro le narici, combattono nel didietro, sotto le ascelle, dentro le orecchie e in bocca, non c’è luogo nascosto, non c’è palmo, non c’è poro, nelle cui profondità non combattano l’uno contro l’altro all’ultimo sangue».

Sono questi echi di guerra, così razionali ma anche dannatamente emotivi, che rendono interessante la piccola raccolta, la quale si aggiunge come un tassello a un’altra più ampia, la già citata Provincia dell’uomo, che lo accompagnerà per decenni come l’ora d’aria, per dargli coraggio e fargli riprendere fiato durante la stesura di Massa e potere: la sua vera grande ossessione.

Aforismi per Marie-Louise di Elias Canetti (Adelphi, 2015, pp. 101, 12 euro)

Illustrazioni di Anisa Spaho

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