Ottimo il musical allestito da Massimo Piparo dal film di Daldry, uno spaccato dell’Inghilterra alla Loach che protesta in miniera: ma c’è chi protegge un sogno sulle punte
Finalmente un musical in cui quando parlano non si deve tappare le orecchie tanto è banale e superficiale ed inutile il linguaggio. Un musical adulto, dove la trinità espressiva di musica, parola e danza è in perfetta ed omogenea sintonia e che porta con sé un messaggio di tolleranza evergreen applicato alla natura dei propri desideri artistici (ed ovviamente anche sessuali), come lo è per Billy Elliot il balletto classico. E non è detto come pensano i machi minatori della famiglia di Billy, in sciopero contro la Thatcher nella contea di Durham, che i ballerini siano tutti frou frou, come garantisce un ampio repertorio di macchiette del cinema italiano anni ’50.
Vi ricorderete il film di gran successo emotivo del 2000 di Stephen Daldry, autore che viene dal teatro, con Jamie Bell, poi saltuariamente rivisto sugli schermi. E’ la stessa storia, certo, in scena con le musiche belle e dal vivo di Elton John e nell’edizione della compagnia di Massimo Romeo Piparo, attuale patron del Sistina, con le azzeccate coreografie di Roberto Croce e una bella scena funzionale, pubblica e privata, di cui purtroppo a Milano si perde tutta la parte in alto per la dimensione in Cinemascope del palco del teatro Nuovo, che ha sempre fatto infuriare Visconti fin dai tempi dello Sguardo dal ponte in cui era sacrificato proprio un pezzo di ponte. A parte questo, che non influisce sulla resa espressiva e sentimentale dello spettacolo, se amate il musical, il melò, Elton John, e il cinema proletario di Loach, non perdetevi lo show in scena a Milano fino al 10 gennaio.
Dove, cosa straordinaria, convivono due mondi e si completano a vicenda, sorpassandosi a vicenda, lungo le quasi tre ore di spettacolo che passano in un soffio. Vince il dosaggio mirabile di questi elementi, scioperi di gente che sta sotto terra contro ballerini che stanno sul palco, lavoratori della miniera contro la Thatcher e laghi dei cigni, sindacati in lotta e Ciaikovskji (che a suo modo era in lotta pure lui), famiglie proletarie e ragazzi frou frou con la conchiglia per proteggere le zone delicate (dopo una caduta, Billy esclama tenendosi stretto l’inguine: ora capisco perché si chiama lo schiaccianoci!). Dentro questo mondo, non scalfitto dal tempo, ci sono i vari caratteri anche un poco folk: il padre tutto d’un pezzo, il fratello rude, la nonna golosa e svampita, la insegnante di danza buona e intuitiva, l’amichetto che non nasconde un poco di imprevisto e giovanile amore per Billy e il suo desiderio di sfida e di rivalsa che rotola diritto verso un happy end ma aperto (e qui il film era più spettacolare).
La storia del teen ager che non vuole boxare (come il Prewitt-Clift in “Da qui all’eternità”) ma vuole ballare sulle punte ma si trova contro padre e fratello “maschiacci”, rivive in un perfetto mix musicale (Elton, appunto), drammaturgico (l’intelligente copione di Lee Hall ispirato dal cinema), coreografico (Croce rende spiritosi, entusiasti una dozzina di ragazzini in tutù). Lo show sposa intera la scommessa con la vita, con un sospetto di retorica e qualche caratterizzazione che funziona per il comico. Complicità generazionali vivono nel cast strepitoso di attori che rende commovente, divertente, interessante lo spettacolo. E i momenti clou sono affidati ai due ragazzi star: il Billy del 15enne Alessandro Frola, già esperto che, sognando davvero di diventare Bolle, riesce a toccare quando e come vuole, oltre a ballare bene, le varie corde dello spettacolo, in fusione millesimale con l’amichetto spiritoso Christian Roberto con cui fa un numero a tip tap che solleva tale entusiasmo in sala che si ferma lo show. Insieme a Cabaret il miglior musical dell’anno.
Billy Elliot, di Lee Hall, in scena al Teatro Nuovo fino al 10 gennaio
(Per il video si ringrazia Allinfo.it – La mediazione creativa)