“Anna A.”, storia di una scrittrice che visse nel passato ma la cui tragedia parla al nostro presente

In Musica

Silvia Colasanti mette in musica alla Scala la vita difficile e dolorosa della grande poetessa russa Achmatova al tempo del regime sovietico. Un’opera “tascabile” che in un’ora e mezza, grazie anche al bel libretto scritto dal “russista” Paolo Nori, riesce a far riflettere su temi alti e universali che ci riguardano da vicino. Tra cui i rapporti con il potere. E il Potere alla fine si materializza sul palco in una scena rivelatrice

Se andrete a vedere – e dovreste, lo merita – un’operina breve e toccante dal titolo Anna A., sparsa in sette recite leggere come coriandoli, alla Scala, da qui al 2 dicembre, quasi sempre la mattina e il primissimo pomeriggio (tranne lunedì 1 dicembre, alle 20). Se verrete conquistati – impossibile di no – dalla storia che racconta, quella di Anna Achmatova, poetessa meravigliosa (e donna meravigliosa), che negli anni del terrore di Stalin passò diciassette mesi in fila davanti al carcere di San Pietroburgo, insieme a tante madri come lei, nella vana speranza di riprendersi o almeno vedere il figlio imprigionato senza colpa; alla quale uccidono due mariti; che affronta a testa alta l’emarginazione e il silenzio imposti dal regime; che assiste alla diaspora degli amici artisti e letterati che rendono la sua vita degna di essere vissuta. Se, incuriositi da quel mondo, vi verrà voglia di leggere le poesie di Anna Achmatova. Se andrete a frugare le opere e i giorni di chi condivideva le sue passioni, i suoi rischi e le sue pene: Osip Mandel’štam, Marina Cvetaeva, Boris Pasternak, Michail Bulgakov. Se, per caso, vi venisse anche voglia di prendere o riprendere in mano, che so, L’idiota di Dostoevskij, Guerra e Pace di Tolstoj, Eugenio Oneghin di Puškin, Le anime morte di Gogol, avrete in mano anche la chiave per capire la tragedia del nostro presente: nessun fesso cowboy potrà mai raggirare un russo, erede anche sordido e perverso di quel mondo fatto di introspezione e di complessità. 

Anna A. è un’opera che per il suo felice senso della sintesi potremmo dire “tascabile” senza sminuirla, al contrario: nel respiro unico di meno di un’ora e mezza riesce a far riflettere su temi alti e universali, a raccontare storie (come deve fare il teatro), a dare voce e corpo a un universo di donne (mogli, madri, amanti se si vuole), sull’onda di una musica che evoca, s’insinua e, sì, commuove. 

Sul libretto di Paolo Nori, russista straordinario, Silvia Colasanti ha composto una partitura di forza quieta e disarmante. L’orchestra è strumentalmente e armonicamente sapiente, senza sovraccarichi; la vocalità dei solisti e del coro (da camera anche questo, istruito e diretto da Dario Grandini) è sempre sulla parola: non una sillaba scivola via senza significato o chiara evidenza. Quasi superfluo il testo che scorre sul display, ma che rassicura: nessuno potrà dire di essere stato trascurato. 

L’opera inizia dalla fine: Anna è nel sanatorio di Domoedovo, malata, ai suoi ultimi giorni. Ricorda e racconta, nell’attesa che il figlio, finalmente libero ma ignaro di quel che lei ha fatto per salvarlo, vada a trovarla. Speranza vana. All’inizio siamo in una dimensione da teatro cosiddetto di prosa; linea che percorre l’intera opera come mezzo di comunicazione diretta. La “Anna del Presente” (1966, anno della sua morte), parla e recita con la voce di Elena Ghiaurov, attrice ammirevole, che non sa cosa siano la retorica e il manierismo,  la forza di comunicare sì (il sangue non mente). Accanto a lei è l’amica Lidia – Carlotta Viscovo – personaggio chiave perché furono donne come la fedele Lidija Čukovskaja che, mandando a memoria le poesie di Anna, le diffondevano e le facevano vivere contro ogni editto di morte, visibili a chi meritava, invisibili a chi le voleva mute. 

Canta invece, con voce di soprano, la “Anna Giovane”, (Laura Lolita Perešivana ed Etīna Emīlija Saulīte in alternanza), che fa rivivere il passato, le unioni, le separazioni, i matrimoni, le perdite, gli atti di coraggio (come la lettera a Stalin per chiedere la liberazione di figlio e marito), il lavoro instancabile, il dialogo con gli artisti che insieme a lei sfidavano il potere: Osip Mandel’štam, Michail Bulgakov, Boris Pasternak. Due Anne diverse e concordi anche nell’abito, giallo e azzurro, come i colori dell’Ucraina: Anna era nata a Odessa. 

Tutto arriva al pubblico grazie al pensiero forte che regge la drammaturgia con solida coerenza e alla convinzione di coloro che la muovono: orchestra, solisti e coro sono giovani allievi dell’Accademia della Scala; vengono da ogni parte del mondo e non hanno difficoltà a immergersi in una storia crudele di ieri che parla di noi. Tutti ben tenuti e indirizzati dalla direzione di Anna Skryleva, che con Silvia Colasanti condivide l’essere pure compositrice. 

Anche lo spettacolo è di mano femminile. Giulia Giammona, regista italiana che lavora in Germania, l’ha progettato astratto (scene di Lisa Behensky, costumi moderni e non di Giada Masi), agìto dentro ambienti cubici trasparenti, moderni, a vista, modulari, dove ogni spazio può essere tutto, perché proiezioni in bianco e nero (di Martin Vallon) ci riportano nella San Pietroburgo degli anni Dieci, Venti, Trenta, ci fanno vedere i (bei) volti di quel mondo, con qualche sovrapposizione meno convincente dei cantanti, che duplicano gli originali con qualche gestualità moderna un po’ ingenua (coreografie di Alessandra Bareggi). Il solito eccesso di scrupolo: richiamare la vita di ogni giorno anche quando la vediamo già. 

La drammaturgia e la musica di Anna A. procedono con passo leggero ma sicuro verso due momenti-verità. Nel finale, l’unico personaggio astratto, il Potere (affidato al solo cantante extra Accademia, il baritono Damiano Salerno), si ritaglia una scena rivelatrice. Si rivolge ai personaggi e li mette nell’angolo: “Compiaciuti siete. Morte, distruzione, un mare di macerie. Contenti adesso? Ora tacete… Datemi la vostra libertà, sarete felici. Io sono il Potere: la sua immagine, la sua incarnazione. Esistevo prima, esisterò dopo. Ho avuto molte forme, ne prenderò altre… Volevate la libertà. Ingenui! La libertà ve la darò io. Cosa ne farete?… Non vi serve, me la prendo io…. Ve ne do un’altra: una libertà diversa, una libertà mia… La sottomissione è la pace… Mi occuperò di voi… Vi farò felici… Questa è la libertà: quella che vi do io. In fondo, ragionate. Che cos’è la libertà? Una parola”. 

Il momento della verità in musica, Silvia Colasanti lo riserva quando, prima dell’assolo parlato di Anna del Presente, che tira le fila di tutto, la Anna del Passato e le Madri cantano, in un coro sommesso e potente, una preghiera laica: “Ho imparato come cascano le facce, e dalle palpebre guarda la paura, come, in scrittura cuneiforme, il dolore traccia le sue severe scritture. Come, d’un tratto, da cinerei o neri, i riccioli diventano d’argento, il sorriso appassisce sulle docili labbra e in un arido ghigno trema la paura… E non preghiamo per noi sole, ma per tutte quelle che erano là”.  Il pubblico dice che questa è emozione. Si alza e applaude. 
Anna A.: storia vera di una scrittrice che studiò l’italiano per leggere Dante come Dante scriveva. 

Foto: Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala.

Teatro alla Scala: Silvia Colasanti Anna A. Dirige Anna Skryleva, regia di Giulia Giammona, libretto di Paolo Nori (repliche: 19 ottobre, 19 novembre, 23 novembre, 1 dicembre)

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